La rosa dei venti non è solo un diagramma che indica i nomi dei venti, l’orientamento delle direzioni cardinali (nord, est, sud e ovest) e i loro punti intermedi, ma è anche un simbolo di matrice universale in quanto riscontrata in molte culture antiche attraverso il mondo.
La troviamo rappresentata sulle bussole, sulle mappe e a volte sui monumenti. La sua origine è ancora incerta, e la sua evoluzione attraverso le culture e i secoli è ricca e movimentata, ma ciò che possiamo affermare con certezza è che è legata a doppio filo alla nostra storia e al nostro folklore.
Un po’ di storia: le origini della rosa dei venti
I venti ebbero una funzione importante nella sopravvivenza dell’uomo antico: una funzione meteorologica che definiva il tempo, così cruciale per le comunità agricole, ma anche divinatoria. La loro provenienza, le loro qualità furono decisive per la scelta dei loro nomi che evolsero lungo i secoli. È risaputo che i Fenici furono i primi ad utilizzare la rosa dei venti, fu poi utilizzata nell’antica Grecia e infine migliorata dai marinai italiani. Da allora i nomi dei venti seguirono le loro scoperte attraverso il mondo.
Per comprendere come sono nati i nomi dei venti, occorre fare un passo indietro ed osservare il modo in cui l’essere umano era solito situarsi nel mondo. Secondo l’antropologia, la definizione dei punti cardinali si è evoluta lungo la storia grazie all’osservazione delle caratteristiche geografiche locali. Se prima i punti di riferimento erano i corpi celesti (la stella polare, le costellazioni, ecc…) o alcuni elementi del paesaggio (“oltre le montagne”, “verso il mare”), i punti cardinali sono andati man mano specificandosi con l’osservazione della corsa del sole nel cielo e degli eventi atmosferici (temperatura, umidità, rovesci, temporali).
Per esempio, molte popolazioni tendevano, e lo facciamo tutt’oggi, ad allineare l’alba con l’est e il tramonto con l’ovest, la provenienza di un vento freddo col nord e con quello caldo col sud.
Tuttavia, in origine gli antichi greci osservavano una certa distinzione tra i punti cardinali, quali:
• Arctos (ἄρκτος, “orso”, l’Orsa Maggiore, per il nord),
• Anatole (ἀνατολή, “alba”, est),
• Mesembria (μεσημβρία, “mezzogiorno”, sud)
• Dusis (δύσις, “tramonto” o Espero, “sera”, ovest)
…e i venti (Borea, Noto, Euro, Zefiro), quest’ultimi usati a scopo meteorologico.
L’etimologia dei nomi dei quattro venti greci arcaici è ancora incerta. Borea potrebbe derivare da boros e oros ( “montagne”, geograficamente a nord). Notos deriverebbe da”notios” (“umido”, in riferimento alle calde piogge provenienti da sud). Euro e Zefiro sembrano derivare da Eos, “luminosità” e Zophos, “oscurità” , in riferimento all’alba e al tramonto. I due schemi confluirono ben presto e i nomi dei venti finirono per indicare le direzioni cardinali.
L’ evoluzione dei nomi dei venti
In origine Aristotele, il celebre filoso della Grecia Antica, identificò dieci venti che spiravano da altrettante direzioni, tuttavia Timostene di Rodi, navigatore e geografo del III s. a.C ne aggiunse due per ristabilire la simmetria, dando nascita ad un sistema a 12 venti più utile per la navigazione. Eratostene, astronomo contemporaneo di Timostene, dedusse invece due venti dal sistema di Aristotele producendo la classica rosa con gli 8 venti, usata dagli Antichi Romani che sostituirono i nomi con equivalenti latini: Settentrione (N), Aquilone (NNE), Subsolano (E), Volturno (SE), Austro (S), Africo (SO), Favonio (O) e Coro (NO), come riporta Plinio il Vecchio in Naturalis historia.
Il contributo dei marinai
L’attuale nomenclatura dei venti è invece da attribuire più ai marinai del Mediterraneo del XIV s. che agli antichi Romani. Essi la menzionarono nelle loro rappresentazioni cartografiche: la rosa dei venti era allora posizionata per convenzione nel mar Ionio, spesso in corrispondenza dell’isola di Zante, fatto che determinò il nome attribuito ai venti in base alla loro provenienza. Fu poi ripresa dalle Repubbliche marinare (Genova, Venezia, Pisa, Amalfi) e ufficializzata.
• (N) Tramontana è un termine italianizzato di ultramontes, “oltre le montagne” in riferimento alle Alpi dell’Italia settentrionale;
• (NE) Grecale si riferisce alla Grecia o ancora Bora, da Borea.
• (E) Levante, correlato alla posizione del Sole all’alba;
• (SE) Scirocco deriva dall’arabo al-Sharq (est), ma anche in riferimento alla Siria;
• (S) Ostro deriva dal latino Auster;
• (SO) Libeccio o Garbino; derivano rispettivamente da “Libia” e dall’arabo al-Gharb (ovest);
• (O) Ponente è correlato alla posizione del Sole al tramonto;
• (NO) Maestro o Maestrale deve il suo nome a Roma, la Magistra Mundi.
I nomi dei venti nella saggezza popolare
Anticamente i nostri avi facevano riferimento alla volte celeste; gli astri fungevano da punto di riferimento nei loro viaggi oltre le terre conosciute. Poi i venti divennero messaggeri, forze della natura, entità quasi divine che era possibile imbrigliare nelle vele, ascoltare ed osservare per prevedere il tempo atmosferico. Da prevedere il tempo a predire il futuro, il passo fu breve e nacquero così alcune pratiche divinatorie legate ai venti: l’aeromanzia, l’anemoscopia, e alla divisione dello spazio secondo i punti cardinali come nell’interrogazione del templum secondo gli Etruschi.
Alcune vestigia di queste antiche pratiche sono rimaste nel folklore, nelle tradizioni contadine. Basta pensare ai falò propiziatori della Befana. Nel Panevin veneto, dalla direzione del fumo e delle faville si traggono gli auspici per l’anno nuovo: “Se el fun va a la marina, ciol el sac e va a farina; se el va a la montagna, no se ghe magna” (se il fumo va verso sud, prendi il sacco e vai a farina, se va a nord, non si mangia).
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Oggi come secoli fa, gli eventi atmosferici che caratterizzano alcuni quadranti del mondo sono favorevoli e nefasti, simboli di vita o carestia, a secondo della loro provenienza e del costrutto mitologico e narrativo ad essa collegata.
Alcuni detti popolari regionali
Individuare i venti e la loro provenienza aiutava ad anticipare i cambiamenti atmosferici. I venti preannunciavano la pioggia, il bel tempo, la neve, i temporali. La rosa dei venti era uno strumento prezioso e un metodo mnemonico fondamentale per comprendere quando seminare e quando raccogliere, quando andare a pescare o tenere le navi in porto. Ben lo sapevano i nostri nonni che intorno ai nomi dei venti crearono un ricco corollario di detti popolari utili sia ai lavori nei campi che in mare.
Citiamo per esempio dal Veneto: El vento de garbin el fa spuà le vide (il vento di libeccio fa “lacrimare” le viti); dall’Emilia-Romagna: Siròch ad prêma matêna l’imbròja la marêna (Scirocco di prima mattina, il tempo volge al peggio). Quând che piöv cun e’ siròch uj dà pièn mo e dùra un tòc (Quando piove con lo scirocco piove piano ma dura molto); dalla Sicilia: Punenti pisci nenti, luvanti pisci tanti (Ponente, niente pesci; Levante, pesci tanti) o ancora Tramuntana tutti dintra a tana (Tramontana, tutti dentro la tana).
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Fonti e approfondimenti:
• Associazione Nazionale Marinai d’Italia. Eolo nelle rose dei venti (pdf)
• Fleury, Philippe. La Rosa dei Venti nell'antichità greco-romana. UNICAEN, 2001.
• I cardini del cielo, di Vittorio Di Cesare, l'Astronomia n. 38 (ottobre 1984) pp. 20-23