Io sono una a cui il padre é morto molte volte.
Innanzitutto mio padre è morto quando avevo solo 19 anni. Lui era il mio punto di riferimento nella vita e la sua morte è stata un dramma per me. Ricordo che volevo andare via, via, via da questo mondo.
Per fortuna, facendo l’autostop, ho conosciuto un imprenditore che stava costruendo un villaggio turistico in Sri Lanka e mi ha proposto di andare nell’isola tropicale per collaborare al progetto come segretaria di direzione.
Ai tempi, per una ragazzina come me, appena uscita dal liceo, lo Sri Lanka era davvero un altro mondo. Le cose hanno preso una piega inattesa. La guerra civile in cui allora vessava l’isola ha impedito all’imprenditore italiano di procedere nel suo progetto ed io ho incontrato sull’isola Michael Williams, l’uomo che mi ha iniziata allo yoga sciamanico e che poi mi ha condotta nell’eremitaggio della foresta di Habarana, nel cuore dell’isola presso un eremitaggio buddhista Theravada.
Sono stata sei anni nel romitaggio dei monaci studiando Buddhismo e praticando meditazione, fino
a quando il mio maestro di meditazione, il Venerabile Gata Thera è morto e, a pochi mesi di distanza da lui, anche Michael ha lasciato il corpo.
Così ho perso il mio secondo e terzo padre e sono tornata in Europa.
Ho studiato psicologia all’Università e dopo la laurea, in Svizzera, ho conosciuto James Hillman. Il grande psicoanalista è stato il mio maestro occidentale. È lui che mi ha spinta a fondare l’Associazione di Nonterapia e l’Imaginal Academy dove insegno da oltre trent’anni life coaching, counseling ad approccio immaginale, yoga sciamanico, mindfulness immaginale, psicogenealogia e costellazioni familiari.
Ma anche Hillman ha lasciato il corpo ed io ho perso il quarto padre. Per ricordarlo e onorarlo, ho scritto un saggio sulla sua vita e sulla sua visione. È stato pubblicato da Edizioni Mediterranee e si intitola “James Hillman, il cammino del fare anima e dell’ecologia profonda”, è una guida pratica di psicologia immaginale.
Insomma, per me che ho perso almeno 4 padri, l’archetipo della morte del padre è molto significativo.
Perdere il padre è una delle esperienze più difficili che si possano vivere. Tutte le volte in cui è successo a me, ho sentito il mondo scivolarmi sotto i piedi, come se tutto quello che conoscevo, tutto quello che ero, non avesse più senso. Il padre è stato per me il maestro, il punto di riferimento, una guida, una presenza solida nella mia vita. E quando se n’è andato, nonostante tutto il mio lavoro spirituale e la mia ricerca interiore, il dolore è stato intenso, lacerante.
La morte di una persona amata ti porta dritta in faccia alla verità: niente dura per sempre. Ma nel momento in cui affrontiamo questa verità, abbiamo anche l’opportunità di trasformarla in qualcosa di più grande. Io ho vissuto la morte del padre, non solo come una perdita, ma come un momento di profonda connessione con la vita, con l’universo.
Il lutto come rito di passaggio
Ogni volta che mio padre è morto, ho capito una cosa fondamentale: il lutto è un rito di passaggio.
È come attraversare una porta, una soglia che ti invita a lasciare andare ciò che conoscevi per abbracciare l’ignoto. In tutte le tradizioni sciamaniche che ho studiato e vissuto, la morte è sempre stata vista come una trasformazione, non come una fine. Questo mi ha dato una certa forza, un’ancora su cui fare affidamento nei momenti più bui.
Ogni volta che mi sentivo sopraffatta, mi ricordavo di un insegnamento fondamentale: la vita e la morte sono due facce della stessa medaglia. Non possiamo vivere pienamente senza confrontarci con la morte, perché è proprio attraverso il dolore della perdita che possiamo scoprire una nuova profondità nel nostro essere.
Il lutto, quindi, è stato per me una vera e propria iniziazione. Mi ha portata a esplorare aspetti di me stessa che non conoscevo, a rivedere il legame che avevo con il padre, non più solo come figlia, ma come anima in cammino. Sentivo che dovevo lasciare andare l’immagine del padre che avevo sempre avuto, per accoglierlo in una nuova forma, più sottile, più spirituale.
Il legame invisibile: mio padre oltre la morte
Quello che ho scoperto, nel mio percorso di meditazione e lavoro spirituale, è che la morte non spezza davvero i legami. Il mio legame con il padre non è mai stato fatto solo di abbracci, di parole o di momenti vissuti insieme.
Quando parlo di legame invisibile, non intendo dire che il dolore sparisce. Il dolore c’è, eccome se c’è. Ma è accompagnato da una consapevolezza più grande: mio padre non se n’è mai davvero andato. È semplicemente passato in un’altra dimensione, e io posso continuare a comunicare con lui attraverso il cuore, attraverso la meditazione, attraverso l’amore che non muore mai.
La natura come rifugio e cura
Un altro aspetto che mi ha aiutato moltissimo nel vivere la mancanza di mio padre è stato il contatto con la natura. La natura è stata per me un grande rifugio, un luogo in cui sentivo di poter lasciare andare il dolore, di potermi riconnettere con il ciclo naturale della vita. Camminare nei boschi, sentire il vento sul viso, osservare il ciclo delle stagioni: tutto questo mi ha aiutata a ricordare che la vita è un continuo flusso, e che anche la morte è parte di questo flusso.
Tutti i miei padri amavano la natura, e ogni volta che mi immergo in essa, sento di essere vicina a loro. È come se la natura stessa mi parlasse, come se gli alberi, il cielo, gli uccelli mi ricordassero che la vita continua, che la morte non è una fine, ma un cambiamento. Questo mi ha dato una grande pace, una sensazione di appartenenza al tutto.
Quando mi sentivo sopraffatta dal dolore, spesso mi sedevo ai piedi di un albero e lasciavo che le lacrime scorressero. Era un pianto che non chiedeva risposte, ma solo accoglienza. E la natura, nella sua immensa saggezza, mi ha sempre offerto questo: accoglienza, presenza, guarigione. È lì che ho trovato la forza di andare avanti, di continuare a vivere e onorare mio padre attraverso la mia vita.
Onorare la sua memoria con la vita
La più grande lezione che ho imparato dalla morte dei miei padri è stata questa: il modo migliore per onorare la loro memoria è vivere pienamente la mia vita. I miei padri non avrebbero mai voluto che io rimanessi bloccata nel dolore. Avrebbero voluto che vivessi, che portassi avanti i loro insegnamenti, che continuassi a crescere e a evolvermi.
Ogni giorno, cerco di onorare il padre attraverso le mie azioni, le mie scelte, il mio lavoro. Porto con me i loro valori, i loro insegnamenti, ma allo stesso tempo cerco di essere fedele a me stessa, di seguire il mio percorso. Loro non sono più qui fisicamente, ma sento la loro presenza in ogni passo che faccio. Sono guide silenziose, forze che mi sostengono nei momenti difficili, fari che illuminano la strada.
In conclusione, la morte del padre è stata una delle esperienze più dolorose della mia vita, ma anche una delle più trasformative. Mi ha insegnato a vivere la mancanza non come un vuoto incolmabile, ma come un’opportunità di connessione profonda con me stessa, con la vita, con l’universo. E ogni giorno, attraverso la mia vita, cerco di onorare l’archetipo di padre spirito, sapendo che, in qualche modo, mio padre, in tutte le sue forme, è sempre con me.
Articolo di Selene Calloni Williams
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