Ormai da qualche anno l’ultima notte di ottobre si festeggia Halloween e in questi giorni dell’anno tutto è addobbato con zucche, fantasmi e streghe. Ricordare che i nostri calendari recitano “Ognissanti” e “Commemorazione dei defunti” sembra qualcosa di vintage eppure queste due ricorrenze di cui si sta perdendo il valore hanno un grande importanza educativa per i bambini.
Se si domanda agli adulti perché festeggiano Halloween raramente si sente una spiegazione dell’origine di questa celebrazione, semplicemente la si riduce a qualcosa di divertente sintetizzata con “dolcetto o scherzetto”. Spesso questa festa diventa una sorta di secondo Carnevale e si ignora la valenza pedagogica che ha l’interrogarsi sulle nostre radici, il parlare coi bambini dei loro antenati e della loro storia, e dell’importanza del sentimento di gratitudine e di appartenenza attraverso la narrazione dei ricordi.
Niente in contrario quindi con la festicciola in giro per le strade ma almeno affianchiamola anche ad altro.
In queste giornate scompare spesso il discorso sulla morte per lasciare posto al divertimento e ai travestimenti e infatti il tema della morte è quasi diventato un tabù per i più piccoli: difronte a questo mistero non sappiamo come rispondere ai bambini, perché le loro domande ci pongono davanti alla nostra visione della morte e della vita e alla nostra paura della loro paura. Il bisogno di proteggere dal dolore porta spesso i genitori a non portare i figli ai funerali e al cimitero che sono riti di commiato fondamentali per elaborare un lutto.
Quello della morte è un tema esistenziale che si pone in modo preponderante nei bambini, che una sera a cena di punto in bianco ti dicono: “Ma io non voglio che tu muori!” oppure “Io non voglio
diventare grande se no poi muoio…”. E magari c’è la morte di un animale domestico o di una persona cara ed è una responsabilità dare risposta a queste affermazioni. La morte per i bambini non
può essere un tabù o coincidere con l’esaurimento delle “vite” dei videogiochi.
Però si cucinano con i bambini biscotti a forma di lapide, li si porta in giro e inevitabilmente entrano in contatto anche con la versione adulta di questa “festa” fatta di coltelli, volti dipinti di sangue, scheletri: il mondo del bambino è prepotentemente simbolico e il simbolico agisce fortemente dentro di lui che non è in grado nella prima infanzia di filtrarlo e di sistematizzarlo. Tanti dicono no ai funerali per non traumatizzare i bambini, ma pensate al trauma di non aver salutato la nonna per l’ultima volta, magari avendo anche preparato un disegno per lei.
Qual è dunque il senso di mettere i bambini a contatto con
simboli di paura in un momento della crescita in cui le paure lavorano dentro di loro e
fanno fatica a discriminare tra mondo reale e immaginario?
Vorrei spostare l’attenzione su un’altra possibilità: la Festa degli Antenati.
La Festa degli Antenati è l’occasione per ri-COR-dare (riportare al cuore) e ringraziare con i bambini chi li ha preceduti. Significa raccontargli un pezzo della loro storia, e questo è un atto di profondo amore. I bambini devono avere la possibilità di porre domande esistenziali ad adulti che sanno raccoglierle e onorarle.
I bambini sono ciò che sono grazie ai loro antenati e hanno bisogno di saperlo: la loro storia è unica ma fa parte di una storia che li precede e da qui inizia la costruzione della loro identità. Hanno bisogno di essere accompagnati a sentire la dimensione della presenza attraverso il ricordo, hanno bisogno che gli venga narrata la storia dei loro avi attraverso i piccoli gesti quotidiani: “Questa è la torta che faceva la nonna, il nonno diceva sempre così…”, di sentirsi eredi di riti e modi di essere che costruiscono la loro identità e li rendano orgogliosi di essere portatori di qualcosa di prezioso.
In un mondo di rumore la Festa degli Antenati è un’occasione per fare silenzio, attraverso ritualità e simboli che nutrono l’interiorità dei bambini. Ad esempio si può tenere accesa una candela bianca dal 31 ottobre al 2 novembre, raccontare storie di famiglia attraverso aneddoti, fotografie, costruire l’albero genealogico, creare un album di famiglia, raccontare ai bambini perché e come è stato scelto il loro nome, portarli al cimitero con un fiore, perché anche se i nostri morti non sono lì, i vivi hanno spesso bisogno di una forma rituale.
I bambini hanno bisogno di sapere che il contrario di morte non è vita ma è nascita, e che la Vita le racchiude entrambe. Come il seme muore per dar vita a una pianta, come l’albero perde tutte le sue foglie ciclicamente, ma continua a esistere. Così, guardando un cielo stellato potranno sentire, nel loro cuore, di non essere soli, perché l’Amore sopravvive alla morte.
Articolo di Laura Mazzarelli, Il Cammino Pedagogico
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