Quando dentro di noi sentiamo la spinta a conoscere la storia della nostra famiglia e dei nostri avi e intraprendiamo una ricerca genealogica, seguiamo una pista fondamentale segnata da un codice ben preciso che ci porta verso le nostre origini: il cognome.
Il cognome ha una funzione identificativa e segna il confine tra il collettivo e la famiglia. Può raccontarci molto della storia che si nasconde nel nostro passato famigliare: a volte indica un luogo di origine, una caratteristica che ha segnato i membri della nostra famiglia, un evento significativo, una professione passata di generazione in generazione e poi dimenticata. Ci aiuta a risalire il fiume del tempo lungo un sentiero che porta una scritta, quella del riconoscimento della nostra ascendenza, della nostra identità.
Nome, prenome, cognome
Il cognome è un’eredità, la prova di appartenenza ad una determinata famiglia che permette di identificarci tra la moltitudine ma è anche la prima pista che ci permette di tracciare il nostro albero genealogico e scoprire fino a quando e dove le sue radici sono radicate. Ma da dove viene il nostro cognome e qual è il suo significato?
L’uso del cognome risale all’antichità durante la quale gli antichi Romani usavano la cosiddetta tri nomina, ovvero tre nomi per definirsi ufficialmente:
• il praenomen corrispondeva al nostro nome personale
• il nomen, assimilabile al nostro cognome, indicava la gens di appartenenza dell’individuo, ovvero la sua famiglia “allargata”, la sua stirpe.
• il cognomen era una sorta di soprannome, nel caso in cui bisognasse distinguere individui con gli stessi praenomen e nomen, derivava da caratteristiche particolari e poteva essere trasmesso da padre in figlio in seno allo stesso nucleo famigliare.
Questo sistema, seppur con alcune difficoltà, sopravvisse fino al Rinascimento. Per esempio, il famoso drammaturgo veneziano Angelo (prenome) Beolco (nome) era stato “cognominato” (soprannominato) Ruzante (“rozzo”) per l’oggetto delle sue opere.
In passato, era difficile riconoscere la paternità di un bambino. Il riconoscimento della madre era legato al parto ma la questione era ben diversa riguardo alla paternità. Per molto tempo, solo il primogenito era a pieno titolo riconosciuto come legittimo, in quanto la donna era tenuta a giungere illibata alle nozze e per questo motivo il bambino nato dalla prima unione era per forza riconosciuto come “figlio di”, motivo per il quale era disegnato per continuare la stirpe ed ereditare il patrimonio (casa, bestiame, beni,…).
La definizione dell’identità in relazione all’ascendenza paterna garantiva pertanto il riconoscimento giuridico e la protezione del patrimonio.
→ Leggi anche: Albero genealogico, perché è importante disegnarlo
Il cognome, una visione storica del nostro passato
Per molto tempo i cognomi funsero da spartiacque tra i nobili e la gente comune che faceva semplicemente riferimento al capo famiglia. Tuttavia, dal Medioevo sorse la necessità di definire meglio l’identità delle persone in quanto la crescente popolazione portava a numerosi casi di omonimia. Il cognome assunto o scelto poteva essere patronimico o matronimico come per esempio: Di Pietro, De Luca, De Maria; toponimico come d’Abano, d’Assisi, Da Cararra; o ancora indicare una caratteristica fisica: Basso, Rossi, Gobbo, Piccoli. Alcuni cognomi hanno una chiara assonanza dialettale permettendo di circoscrivere il territorio di provenienza come Trevisan per il Veneto e Caruso per la Sicilia.
I bambini abbandonati nelle numerose ruote degli esposti delle città e di cui non si conoscevano i genitori ricevettero in orfanotrofio un cognome che ricordava la loro condizione: Diotaiuti, Diotallevi, Sperandio, Esposti, Proietti, Trovati, Trovatelli, Incerti, Innocenti, d’Esposito,…
Inoltre, il lavoro definiva già in passato le persone, spesso raggruppate in corporazioni di arti e mestieri dando nascita a molti cognomi come Medici, Poeta, Dal Molin. I fornai diedero nascita ai Fornero, Fornari; i fabbri si chiamarono Ferro, Fabbri, Ferrari; i guardiani del bestiame si chiamarono Vaccaro, Pecoraro, Pegorari.
L’enigma dei cognomi dispersi
Durante una ricerca genealogica a ritroso è possibile imbattersi nella perdita delle tracce di un determinato cognome, come se ad un certo punto della storia fosse spuntato dal nulla! Al livello storico è possibile incontrare alcuni inghippi che hanno favorito la mutazione di un cognome, sostenendo l’abnorme varietà di cognomi nel nostro paese che ammonta a ben 350.000 (mentre la Cina ne conta 700 circa).
Sin dal 1563 col Concilio di Trento, l’iscrizione delle anime legate ai nuclei famigliari era principalmente deputata ai curati obbligati a stilare a mano i registri parrocchiali nei quali i battezzati erano registrati con nome, cognome, e relativa ascendenza (padre e madre). Vi erano annotati in seguito le date di tutti i loro sacramenti (comunione, cresima, matrimonio, ecc.) e i fatti importanti della loro vita, ovvero “vita, morte e miracoli” come si suol dire.
I cognomi dispersi per errori di grafia
I manoscritti anagrafici o parrocchiali potevano naturalmente riportare errori di trascrizione, fatto che portò al mutamento di alcuni cognomi, complice l’alto tasso di analfabetismo dei cittadini. Una “o” poteva col tempo diventare una “a”, una “j” diventa magicamente una “i” e viceversa , portando alla scissione di un ceppo famigliare unito in origine.
… per motivi economici
Nella Serenissima del 1670, le autorità nutrivano un maggior interesse per la professione degli artigiani che per la loro ascendenza: “nelli artefici in loco del cognome si metterà l’esercitio” imposero i Provveditori alla Sanità dell’epoca. Troviamo quindi il censimento di cognomi derivanti da professione come, per esempio, Pescador (pescatore), Cortesan (corteggiano), Marangoni (carpentiere), che rimpiazzano il cognome d’origine!
… per motivi religiosi
Se le parrocchie ricoprirono a lungo il ruolo ufficioso di anagrafe per i fedeli, l’identificazione delle persone di confessione religiosa diversa fu più complessa e mutevole, come fu il caso delle numerose famiglie di fede ebraica nella nostra penisola.
Già dal Medioevo, in virtù degli diversi spostamenti ai quali le comunità ebraiche furono costrette durante la diaspora, molte di loro scelsero di dichiararsi agli Stati con un cognome toponimico, ovvero del luogo di provenienza. Per esempio, Toledano indicava la provenienza di una famiglia sefardita da Toledo, in Spagna, mentre Berliner, da Berlino.
Ogni spostamento dunque poteva comportare un cambio di cognome: un certo David Da Venezia, spostatosi poi verso Piombino poteva poi chiamarsi David Piombino. Ci furono anche numerosi casi di italianizzazione di cognomi di matrice ebraica: Asaraz divenne Asaro; Di Elia, Delia; Chabib, Amato, ecc.
… per motivi politici
Nel 1927, il regime fascista impose l’italianizzazione dei cognomi del territorio della Venezia Giulia, per “restituzione” o “riduzione”. Il processo di restituzione si applicava automaticamente a tutti i cognomi di matrice latina e/o italiana precedentemente alterati sotto il regime austriaco come poteva essere Fabianich, da Fabiani, per esempio; mentre la riduzione avveniva, per “libera” scelta nei casi di cognomi austriachi o slavi. Per esempio, il cognome Vodopivec divenne Bevilacqua, da voda, “acqua”, e pivec, “bevitore”, mentre Müller fu tradotto in Molinari.
Questo provvedimento portò all’accorpamento in alcuni casi di diversi ceppi famigliari che avevano cognomi stranieri diversi: il cognome Vecchiett per esempio si ritrovò ad unire i Vekjet, i Vekiet e gli Starc.
Secondo gli storici, questo processo di italianizzazione coinvolse oltre 50 000 persone rendendo le ricerche genealogiche particolarmente ardue.
Risalite alle origini del vostro cognome: troverete simboli e segnali che vi vogliono portare. Onorare le radici è l’unico modo per volare, trovando così la propria missione di vita…
Fonti e approfondimenti:
• Dicciottostorie: ITALIANCICH!
• La civiltà dei nomi
• I cognomi nel medioevo
• I cognomi veneziani che derivano dai nomi delle arti e dei mestieri
• UNIPInews: Per la storia dei cognomi ebraici in Italia