Una ricerca svedese ha dimostrato che anche il neonato prematuro può crescere in salute e migliorare la sua condizione di nato pretermine grazie al contatto diretto della propria pelle con quella dei genitori.
Scorcio storico sulla nascita delle incubatrici
Fino a meno di un secolo fa, quando i bambini nascevano prima del termine dei nove mesi, i neonati prematuri venivano rimandati a casa dall’ospedale senza cure particolari, abbandonati al loro destino. Nelle campagne meridionali, i bambini venivano protetti e fatti crescere nel cotone, come raccontano ancora oggi alcune mamme ai propri figli.
Dentro la tasca di un qualunque mattino
Dentro la tasca ti porterei
Nel fazzoletto di cotone e profumo
Nel fazzoletto ti nasconderei
(Gianmaria Testa, “Dentro la tasca di un qualunque mattino”)
La Francia nell’Ottocento diventa protagonista della progettazione di apparecchiature per la crescita sicura dei neonati prematuri, essendo afflitta da un’elevata mortalità infantile che rese la cura dei neonati priorità nazionale a causa anche del crollo demografico. Negli anni Settanta dell’Ottocento, il medico francese Stéphane Tarnier ebbe l’idea per la prima incubatrice per neonati ispirato da un sistema per tenere al caldo i pulcini che aveva visto allo zoo di Parigi.
La chioccia empiea di gridi la radura,
ché aveva scorto la vivanda ghiotta,
e i pulcini correan avidi, in frotta,
quand’ella vide in ciel la macchia scura.
… Guardano in alto le pupille ignare.
Ed io che vidi ho l’anima smarrita,
e, ricordando, gemo: Madre. Madre!
(Giovanni Cena, “La chioccia”)
I prototipo del medico francese utilizzava acqua riscaldata da una lampada ad alcool in una caldaia esterna; acqua che veniva poi fatta circolare tramite un serbatoio dentro l’apparato. L’incubatrice era grande circa un metro cubo e poteva contenere più di un neonato al suo interno. Questo apparecchio venne subito utilizzato da Tarnier in uno dei più grandi ospedali parigini, la Maternité. L’incubatrice ebbe un impatto notevole e Tarnier e il suo staff riuscirono a dimezzare le morti dei neonati prematuri.
Lo strumento serviva per riscaldare i neonati, come già accadeva in altri ospedali europei, dove si progettavano tubi riscaldanti, come nell’orfanotrofio imperiale di Mosca (Vospitatel′nyj dom v Moskve) e nell’ospedale pediatrico di Lipsia e si crede che furono di ispirazione per Tarnier nello sviluppo della sua incubatrice. Alla fine del diciannovesimo secolo il prototipo di Tarnier venne semplificato ulteriormente dal creatore stesso con la collaborazione di Alfred Auvard, un suo internista. L’aria entrava da un foro di aspirazione, passava in un compartimento con le bottiglie di acqua calda e circolava verso l’alto per convezione prima di uscire attraverso un anemometro. La temperatura poteva essere controllata mediante un termostato perfettamente visibile assieme al bambino grazie ad una piccola finestra al di sopra dell’incubatrice. L’ambiente manteneva una temperatura costante durante il cambio delle bottiglie di acqua, che avveniva ogni 2 ore.
Il successore di Tarnier, Pierre Budin. promosse l’apertura di speciali services des débiles, letteralmente dipartimenti (per la cura) dei deboli, nei quali vennero largamente usate le incubatrici per permettere le prime cure a neonati prematuri o deboli, i quali venivano successivamente trasferiti negli ospedali. Ma già nella Francia di quell’epoca la madre era ritenuta centrale nel programma di miglioramento delle condizioni dei neonati, che aveva nell’incubatrice il suo strumento di riferimento. Molti medici francesi, tra cui anche Budin, ritenevano di elevata importanza la cura materna e la nutrizione del neonato mediante il latte della madre.
Il latte materno è una meraviglia e, nonostante l’aggressiva pressione esercitata dalle industrie dei latti artificiali, i pediatri ora finalmente consigliano l’allattamento materno almeno nei primi sei mesi di vita del nascituro.
(Franco Berrino)
Non essendo garantito il ricambio d’aria per la mancanza di un sistema di ventilazione il modello Budin non era ritenuto sicuro per la trasmissione di infezioni, a questo problema sopperì il modello di Alexandre Lion, ideato sul finire del XIX secolo, nel quale sia la camera che conteneva il neonato, che tutto il resto dell’apparato era situato su dei supporti (piedi) metallici, che rendevano la dimensione dell’incubatrice paragonabile a quella di un’infermiera. L’interno racchiudeva un complesso sistema di riscaldamento auto-regolante, ma anche di “purificazione” dell’aria respirata dal neonato.
L’incubatrice ebbe ulteriori sviluppi quando arrivò nel continente americano nell’ultimo decennio del XIX secolo, e venne considerata fin dall’inizio come simbolo della nuova tecnologia su cui basarsi per la cura dei neonati prematuri. Il primo pediatra che se ne interessò nel nuovo continente fu Thomas Morgan Rotch che considerava l’incubatrice come un utero artificiale. Il dispositivo doveva, quindi, ricreare al meglio le condizioni dalle quali il neonato era stato costretto a uscire, ovvero silenzio, buio e calore.
Il problema della prematurità neonatale non si è chiuso con i progetti della Francia del secolo scorso né con quelli americani, è anzi ancora oggi un tema delicato: sono, infatti, 15 milioni i neonati che ogni anno nascono prima del termine con tre settimane di anticipo rispetto alla data presunta e purtroppo un milione di loro non sopravvive (stime Oms). Un bambino che nasce prematuro è un bambino che viene al mondo prima della 37ma settimana di gestazione. È un problema così sentito che l’Organizzazione Mondiale della Sanità – Oms dedica il 17 novembre alla celebrazione della Giornata Mondiale della Prematurità. Sono piccolissime creature fragili eppure già grandi guerrieri, dovendo combattere sin dal primo giorno di vita per la vita, soprattutto i nati troppo precocemente che non hanno avuto il tempo di permettere la formazione o maturazione di alcuni apparati quali quello polmonare o intestinale e il sistema immunitario.
Così piccola e fragile
mi sembri tu e sto sbagliando di più.
Così piccola accanto a me
e fragile o no
ma in fondo sei molto più forte di me!
(Enrico Riccardi / Luigi Albertelli)
Che cos’è il contatto pelle a pelle
Appena una mamma partorisce, il neonato viene appoggiato sul suo petto, a riunire quel legame interrotto con il taglio del cordone ombelicale e a far conoscere finalmente mamma e figli non dall’interno, ma dall’esterno del ventre. Il contatto “pelle a pelle”, conosciuto meglio come “skin to skin”, è il primo contatto che avviene tra il neonato e la sua mamma.
[Pelle a pelle] È una pratica che consiste nel posizionare il neonato nudo subito dopo la nascita sul petto della mamma, pelle a pelle, coperti da una coperta. La testa del bambino rimane fuori e il bambino è nudo e non avvolto. Questo è un momento molto speciale per la madre e il bambino. È un tempo per coccolarsi, baciarsi, annusarsi, pelle contro pelle, per ritrovare il porto sicuro.
(Valeria Maria Conti)
È il primo contatto che terrà uniti mamma e bambino dal principio e per sempre. Un rapporto così tenero e stretto che anche i pittori rinascimentali non riescono a spezzare per tramandare con le loro opere la sacralità della gestazione della vergine Maria. E per questo Giovanni Bellini non trattiene mai le sue Madonne dal cercare la pelle del figlio per giocare come una mamma mortale con il piedino o la coscetta dei suoi piccoli Gesù.
Ci sono evidenze scientifiche a sostegno della pratica “skin to skin”: l‘Infant feeding surving del 2010 supporta questa pratica perché l’opportunità di fare stare insieme così vicini madre e figlio aiuta l’allattamento precoce.
Si parla di Bonding, ossia legame di attaccamento: la madre impara a conoscere e a rispondere ai bisogni nutritivi del bambino consentendo così l’avvio dell’allattamento precoce. Ciò accade anche perché ogni neonato, quando viene adagiato sull’addome della mamma subito dopo la nascita, è capace di trovare il seno materno istintivamente, fenomeno conosciuto come breast crawling e raccomandato da Unicef, Oms e Waba. Il neonato si fa strada istintivamente lungo il torace nudo della mamma e arriva al seno.
Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità rivolge un’attenzione particolare per i bimbi prematuri grazie al Kangoor Mother Care per lo sviluppo neurologico, psicologico e fisico del neonato, che pone l’accento su uno degli aspetti fondamentali della cura del neonato prematuro: il contatto con i suoi genitori.
L’abbraccio di un genitore: una terapia potente. Sostenere il contatto pelle a pelle fin dal momento della nascita.
(Fondazione Europea per la cura dei neonati pretermine)
Contatto a pelle a pelle anche per i prematuri
Secondo il metodo Kangaroo Care (KC), il contatto pelle a pelle costituisce un importante momento terapeutico per i neonati, ma anche per i genitori. Diminuisce infatti lo stress post-partum, aiuta ad aumentare fiducia e autostima per la sensazione di poter fare qualcosa di positivo per il bambino.
Mantenere l’unione tra il neonato e i genitori, dopo il parto, è diventato un modo nuovo e positivo di lavorare nella regione di Gävleborg. Sia i genitori che il personale testimoniano gli effetti positivi, e colleghi curiosi da tutta la Svezia vanno in visita di studio nella contea per saperne di più. Questo avviene perché, dopo una gravidanza, la pelle e gli ormoni della madre sono appositamente adattati per dare al neonato una cura pelle a pelle ottimale.
Stringimi madre
Ho molto peccato
Ma la vita è un suicidio
L’amore è un rogo
E voglio un pensiero superficiale
Che renda la pelle splendida
(Manuel Agnelli, “Voglio una pelle splendida”)
In questa contea della Svezia, c’è un uso ridotto dell’incubatrice, a favore del contatto pelle-pelle. Un neonato ha bisogno di provare vicinanza e calore, anche se nato prematuro o ammalato: meno bambini sono ricoverati con una temperatura corporea bassa e le incubatrici sono ora utilizzate sempre meno. Il nuovo metodo di lavoro svedese si svolge ponendo il neonato subito dopo la nascita sul seno della mamma dove può rimanere e dove il bambino riceve anche le cure di cui ha bisogno. Il metodo pelle a pelle è iniziato come un progetto, ma ora è un metodo di lavoro consolidato, nel parto e nell’assistenza sanitaria femminile nella regione di Gävleborg. I benefici sono bambini e madri più sani e famiglie più sicure: la madre è sdraiata in un letto dell’ospedale, con il bambino sul petto avvolto in una coperta bianca.
Molte volte crediamo che la tecnologia o le attrezzature più recenti forniscano la migliore assistenza. Ma il petto della madre è spesso il più importante affinché il bambino si sviluppi in modo ottimale.
(Jennika Pettersson)
“Zero separazione” è l’obiettivo di Jennika Pettersson, che è stata una delle capofila del progetto “Newborn united family” che si è svolto tra il 2016 e il 2022 negli ospedali di Gävle e Hudiksvall. Si impegna a sviluppare nuovi modi di lavorare per evitare la separazione completa tra il bambino prematuro o a termine e la madre dopo il momento della nascita.
Nel passato, genitrice e neonato venivano curati in reparti separati, se uno di loro era malato. Il bambino veniva spesso messo in un’incubatrice per ottenere calore e umidità, venendo così privato della vicinanza della madre. Potevano passare diversi giorni prima che si ricongiungessero. “Molte ricerche attuali dimostrano che una separazione precoce può essere dannosa”, afferma Nils Ludwig, capo del progetto e medico senior dell’assistenza sanitaria femminile nell’ospedale di Hudiksvall. Gli studi attuali dimostrano, infatti, lo sviluppo di effetti negativi sia psicologici che fisici sia per la madre che per il bambino se manca la vicinanza. La separazione tra bambino e genitori può portare il bambino a svilupparsi peggio, il bambino ha complicazioni e ha bisogno di cure per un tempo più lungo. Potrebbe anche portare a danni permanenti. Con il metodo “separazione zero”, invece, la cura e la madre diventano luogo sicuro di cura. E in generale, la famiglia, infatti, il padre o un partner possono sostituire la madre, se necessario.
Il beneficio è reciproco: anche il recupero delle madri malate ne risente positivamente. La ricerca mostra che una madre assistita in terapia intensiva si riprende più velocemente se il bambino viene appoggiato sul suo petto, sostiene Pettersson.
Sai da dove vieni?
… vicino all’acqua d’inverno
io e lei sollevammo un rosso fuoco
consumandoci le labbra
baciandoci l’anima,
gettando al fuoco tutto,
bruciandoci la vita.
Così venisti al mondo.
(Pablo Neruda, “Figlio”)