Reagire alle provocazioni si rivela spesso un vero e proprio boomerang sul piano della comunicazione. Chi provoca mette in atto un comportamento aggressivo o seduttivo finalizzato a sollecitare una precisa reazione nell’altro, a controllarne in qualche modo azioni e reazioni.
Reagire alle provocazioni ci rende vittime di una manipolazione
Immaginiamo una discussione di coppia. Lui parlando accenna in maniera apparentemente distratta a una ex fidanzata con cui però è in qualche modo ancora assiduamente in contatto… Lei inizia allora a dubitare della fedeltà del compagno, diventa fredda, distante, indagatoria e controllante. Lui diventa aggressivo e insofferente, la accusa di soffocarlo e smette di chiamarla o di scriverle per alcuni giorni…
Oppure pensiamo ad una riunione aziendale, dove più persone devono cooperare per trovare un accordo su strategie e decisioni da prendere in un momento critico della vita dell’azienda. Alcuni non sembrano affatto interessati a entrare realmente nel merito delle questioni, men che mai ad avere a cuore la risoluzione del problema comune. Approfittano piuttosto del momento di crisi per fare polemica, sferrare indirette accuse o sospetti verso i vertici della dirigenza, insomma per mettere in cattiva luce chi ha il potete al fine di recuperare un qualche vantaggio…
Come si vede, ci si può imbattere nella provocazione nei più svariati contesti di relazione. E se non viene riconosciuta come tale rischia di catturarci come una calamita facendoci agire contro il nostro interesse. Sì perché reagire alle provocazioni significa in qualche modo cadere vittime di un comportamento manipolatorio da parte dell’altro.
Un tentativo indiretto di controllare l’altro
Noi esseri umani abbiamo, per dirla in termini semplici, due grandi modalità con cui possiamo reagire emotivamente ai contesti interpersonali.
La prima è la più primitiva e tende semplicemente a farci considerare “amici” solo coloro che si adattano perfettamente ai nostri bisogni e alle nostre fantasie. E a considerare pericolosi “nemici” tutte le persone che in qualche modo ci deludono, discostandosi dalle nostre attese/pretese.
Tutti noi funzioniamo più o meno così agli esordi della nostra vita psichica. In effetti, se ci pensate, un neonato non ha chiaro affatto di essere una pensioncina distinta e separata da colei o colui che lo accudisce e lo nutre. Reagirà con infinita beatitudine ogni volta che un suo bisogno viene esattamente soddisfatto. E con ira e disperazione estrema non appena qualcosa, piccola o grande, non va nella direzione auspicata.
Questa modalità di funzionamento rimane sottotraccia e si integra naturalmente, e per nostra fortuna, con modi più sofisticati e realistici di intendere e gestire le relazioni interpersonali. Tanto più realistici quanto più riusciamo a riconoscere all’altro la sua specificità di persona, distinta da noi e rinunciamo alla pretesa di poterlo gestire e controllare in funzione dei nostri bisogni.
La provocazione è un tentativo, molto sfumato e articolato, di ristabilire un possesso sull’altro, di pilotarne e manipolarne sentimenti, reazioni e comportamenti (Carli, 1987; 2003). Quando accade si sta pericolosamente cadendo verso una modalità di funzionamento controllante e meno realistica.
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Provocazioni intenzionali e implicite
Alcune persone mettono in atto deliberatamente comportamenti manipolatori o provocatori. Ma più spesso, specie quando la provocazione è una costante interpersonale, questo meccanismo si stabilisce in maniera inconscia e può logorare relazioni strette, intime che si intrattengono con costanza e quotidianità. Per non reagire alle provocazioni occorre anzitutto riconoscerle come tali e imparare a gestire la propria reattività emozionale. Ecco alcuni spunti di riflessione.
1. Fate caso a come l’altro vi sta facendo sentire
Se avvertite l’assoluta “urgenza” di reagire, rispondere, dire o fare qualcosa questo è il primo segnale che dovrebbe insospettirvi. Possono esserci molti altri motivi che portano a reagire impulsivamente in una relazione senza pensare. Ma la provocazione dell’altro può essere uno di questi. In ogni caso provate a fermarvi un momento e a riflettere…
2. State ripetendo un copione già scritto?
Può darsi che nel reagire alle provocazioni vi accada a posteriori di riconoscere uno schema ricorrente. Di rendervi conto che una certa persona, magari in una certa situazione, ha ricorrentemente il potere di farvi perdere le staffe… Se è uno schema che si ripete può darsi che vi stiate lasciando manipolare più di quanto non vorreste…
3. Chi vi provoca vi fa sentire “obbligati”
La provocazione interpersonale è come una sorta di calamita. E reagire alle provocazioni è un po’ come sentirsene irrefrenabilmente attratti. Quando l’altro ci sta provocando, con un gesto aggressivo o seduttivo, non sentiamo solo l’urgenza di rispondere in un certo modo, ma ci sentiamo anche in qualche modo “obbligati” a farlo. Come se non avessimo altra scelta, come se in quel momento quella fosse l’unica cosa da fare… Tutte le volte che sentiamo di “non avere altra scelta” quasi mai è vero. Si hanno più o meno sempre delle alternative. Se ci sentiamo così è solo perché abbiamo temporaneamente perso di vista la possibilità di pensarle… Meglio fermarsi a recuperarle allora prima di agire!
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4. Quante energie volete spendere?
Rispondere alle provocazioni risucchia energie emozionali e non dà nulla in cambio. Immaginate le vostre energie psichiche come le monete di un borsellino, in ogni situazione interpersonale ne spendete un tot a seconda di ciò che vi torna indietro. Quanto siete disposti a spendere per soddisfare le mire di un provocatore? Quanto potere volete concedergli? Perché se vi sentite esauriti, svuotati, senza energie qualcosa non sta andando per il verso giusto…
5. E voi quanto e come provocate gli altri?
Nessuno di noi è esente dalla dinamica della provocazione. E’ parte integrante del nostro armamentario psichico come si diceva. E tutti potenzialmente potrebbero farvi ricorso, specie nei momenti di crisi. Imparare a riconoscere la dinamica provocatoria in noi stessi ci renderà anche più consapevoli di quando gli altri, mossi dalla stessa urgenza emozionale, la agiscono su di noi.
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Bibliografia
Renzo Carli (1987). Psicologia clinica – introduzione alla teoria della tecnica, UTET.
Renzo Carli & Rosa Maria Paniccia (2003). Analisi della domanda, Il Mulino.