Le donne senza figli sono tra le categorie sociali che più attraggono visioni e giudizi stereotipati. Sulla maternità e l’autorealizzazione della donna vigono da sempre visioni riduttive e semplicistiche. Questi stereotipi sono noti e culturalmente condivisi. E rischiano di ridurre ad elementi concreti, fattuali, aspetti e dimensioni della psiche ricchi invece di complessità e forieri di infinite possibilità di espressione.
La generatività del femminile non si riduce esclusivamente alla riproduttività fattuale, concreta. Lo sviluppo della psiche femminile non coincide necessariamente con il mettere al mondo un figlio biologico. Alcune donne sono senza figli per scelta, altre per destino e devono elaborare in lutto della mancata maternità. Altre ancora diventano madri in modi diversi da quelli convenzionali che vanno al di là della continuità genetica. Ma una vita senza figli, o senza figli biologici, non è in sé meno appagante o meno creativa di una imperniata sulla genitorialità.
Donne senza figli e stereotipi di genere
L’irrinunciabile differenza fra la capacità procreativa biologica di uomini e donne ha storicamente identificato il femminile con il materno fin dai tempi più antichi. Le antiche religioni politeistiche e ancor prima le antiche società matriarcali hanno sviluppato culti e riti complessi e articolati sulla generatività femminile. La Grande Madre, intesa come archetipo psicologico, ha trovato molteplici espressioni nelle divinità femminili che hanno animato il pantheon di ogni cultura umana. Dalla madre generativa della prole, alla madre intesa come avvicendarsi dei cicli della Natura e dispensatrice di morte e rinascita per gli esseri umani. Per gli antichi, infatti, la gestazione erano un evento misterioso tanto quanto l’avvicendarsi delle stagioni. La prima portava nuova vita, la seconda assicurava, anno dopo anno, nuovi raccolti e nuovi frutti della terra.
Questi culti hanno accompagnato civiltà di forte stampo patriarcale in cui il destino prevalente della donna coincideva con quello di moglie e madre. Solo in tempi moderni, grazie alle conquiste più avanzate della società e ai contributi intellettuali in campo psicologico, filosofico e sociologico si è iniziato a parlare di autodeterminazione e autorealizzazione della donna a prescindere dalla maternità biologica.
Eppure gli stereotipi di genere ancora gravano sulle donne senza figli. Spesso le donne stesse sono portate a pensare di diversi sentire da meno o in difetto se non seguono scontatamente la strada attesa per loro.
“C’è una strana malafede nel conciliare il disprezzo per le donne con il rispetto di cui si circondano le madri. È un paradosso criminale negare alla donna ogni attività pubblica, precluderle la carriera maschile, proclamare la sua incapacità in tutti i campi, e affidarle l’impresa più delicata e più grave: la formazione di un essere umano.”
(Simone de Beauvoir)
La generatività è una tappa evolutiva nella vita adulta di ogni donna
La generatività è una tappa fondamentale dello sviluppo psicosociale sia degli uomini che delle donne. Lo ha evidenziato primo fra tutti Erik Erikson. Egli, nel descrivere le tappe evolutive del ciclo di vita, ha sostenuto quanto questo aspetto rappresenti un traguardo evolutivo fondamentale nell’età adulta.
Ma che significa generatività? Non significa solamente avere figli, né il fatto di riprodursi sul piano biologico è garanzia, di per sé, di aver effettivamente raggiunto questo traguardo.
La generatività, prima ancora che un atto concreto, è infatti un assetto mentale. Si tratta della capacità adulta di investire in un progetto che vada oltre sé stessi e i propri personali interessi individuali. Significa accettare di essere strumenti responsabili e necessari alla crescita e allo sviluppo di qualcosa o qualcuno che sia altro da sé. Si può esprimere questo nel diventare genitori. Ma anche nel dar vita ad un progetto diverso, come fondare un’Associazione o un’impresa, farsi promotori di una causa, dar vita a qualcosa che anche sul piano sociale, economico o artistico prima non c’era e a cui si è disposti a dedicare la propria esistenza.
In questo senso la generatività è una tappa evolutiva della psiche adulta. Riguarda gli uomini o le donne senza figli, coloro che sono genitori, coppie o persone eterosessuali e omosessuali. Si tratta di una condizione della mente. Non si riduce a un atto biologico.
Parità di genere non significa essere uguali
La donna naturalmente deve confrontarsi con la propria potenziale generatività in modi diversi e peculiari al suo genere. Quali che siano poi i destini che questa dimensione avrà nella sua vita individuale.
Il dato biologico in questo senso ricalca delle differenze, sane e profonde, nella psiche di uomini e donne che vanno riconosciute e non evitate. L’uomo approccia al prodotto della sua generatività da testimone esterno. In un certo senso egli “adotta” il prodotto del suo concepimento solo dopo che la donna lo ha nutrito e vissuto come parte di sé stessa. Questo pone su due piani psichici molto diversi uomini e donne. E che si intenda onorare la generatività della psiche con dei figli o altri progetti, questa differenza fra i generi è un tema imprescindibile. Ogni donna non può trovare sufficienti strade di autodeterminazione se prima non si confronta e non accetta profondamente dentro di sé la sua ineludibile differenza.
Donne senza figli e donne madri: dare la vita come sviluppo psichico
La donna deve riconoscere e rispettare l’enorme potenziale generativo biologico e psichico che alberga dentro sé stessa. È un potere, quello del femminile, capace di attraversare la vita e la morte, perché connesso agli eterni cicli di vita-morte-vita della Natura.
Ogni donna che abbia partorito con consapevolezza (indipendentemente dalla tipologia di parto) ha incontrato queste dimensioni dentro di sé. Ha sperimentato cosa vuol dire lasciarsi attraversare da ciò che deve nascere e, con questo, morire e rinascere a propria volta. Una donna che mette al mondo, che dà la vita ne viene trasformata dall’interno, dopo non sarà più la stessa.
Questo potere, questa possibilità di lasciare che il proprio essere assuma nuove forme per generare altro rappresenta l’essenza dello sviluppo e della realizzazione generativa femminile. Le donne senza figli non hanno, da un punto di vista psichico, un destino necessariamente diverso da coloro che diventano madri. In entrambi i casi, quel che si sarà realizzato corrisponderà ad un’autorealizzazione di sé se sarà l’esito di un processo creativo e generativo della psiche. Se una scelta di vita viene invece compiuta in adesione a stereotipi e aspettative sociali, o in contrapposizione a queste, rischierà invece di rivelarsi sterile, non dal punto di vista biologico, ma da quello psichico.
Le donne senza figli non sono più egoiste e le madri non sono votate al sacrificio
È importante provare a sgombrare il campo anche da un altro fraintendimento. E cioè che le donne senza figli (le cosiddette childless o childfree) mettano sé stesse al primo posto o abbiano “troppo” amor proprio.
Questa idea che assegna stereotipalmente una certa dose di “egoismo” alle donne senza figli sottintende un altro stereotipo complementare. E cioè quello della madre sacrificale, che mette da parte sé stessa per dedicarsi esclusivamente ai bambini.
A livello culturale sono ancora forti le polarizzazioni che pretendono di distinguere un materno oblativo e sacrificale da un femminile autarchico, avaro e distanziante. Questi stereotipi non dicono nulla di vero delle donne reali. Dicono molto di come, nella psiche collettiva, sia ancora difficile integrare aspetti diversi femminile. Le madri provano fisiologicamente sia sentimenti di dedizione e tenerezza, che vissuti di insofferenza per i loro bambini. Le donne felici senza figli che si dedicano “anima e corpo” ad un progetto possono viverlo in maniera totalizzante ed esclusiva. Attingendo, in tal modo, alle stesse energie generative della psiche creativa.
Ogni donna può realizzare la piena generatività psichica solo integrandola con la sua crescita personale. Si tratta di un atto di generosità ed egoismo al tempo stesso. Di qualcosa che, mentre dà vita ad altro, arricchisce la propria autorealizzazione, non le impone certo delle rinunce.
L’eredità intellettuale di Simone de Beauvoir
Ha fatto storia un’intervista di Simone de Beauvoir del 1977 per un’emittente canadese per il modo in cui ella rispose alle domande decisamente provocatorie del suo non proprio lusinghiero intervistatore…
“Ci sono donne, ma anche uomini, che credono che tu abbia perso un’esperienza cruciale, quella della maternità. E che, da questo punto di vista, sei “mutilata”. Secondo loro, ciò squalificherebbe tutto ciò che hai detto e tutte le tue tesi”
“La ritengo un’assurdità, perché so che se avessi voluto scrivere un libro sulla maternità per come è vissuta dall’interno, allora avrebbero potuto farmi questa critica. (…) Quando ho scritto Il secondo sesso ho fatto un tipo di lavoro sociologico, antropologico, e ho parlato dall’esterno di condizioni differenti dalla mia. Ho parlato tanto di prostitute quanto di madri e donne nel corso degli anni, perciò questa critica non ha senso. Che io non sia o non sia stata una madre, ciò che dico riguardo alle donne non è limitato alla mia esperienza personale. Secondo questo ragionamento fare sociologia sarebbe impossibile, dato che se non sei un corvo non puoi scrivere di corvi. Rispetto alla mutilazione trovo anche questa un’assurdità, perché supporrebbe una predisposizione naturale nell’essere donna. Mentre ci sono invece diecimila modi di vivere la propria femminilità, così come la mascolinità, senza nessuna mutilazione. Si tratterebbe di mutilazione se tu desiderassi qualcosa che non hai. Ma se non la desideri e non ce l’hai, è differente”.
(Simone de Beauvoir)
Per saperne di più:
Di Pietro A. & Tavella P. (2006). Madri selvagge. Contro la tecnorapina del corpo femminile. Einaudi.