L’ipotesi dell’esistenza di una personalità psicosomatica venne avanzata dai primi psicologi che individuarono alcune somiglianze nel funzionamento psichico dei pazienti psicosomatici. In realtà si tratta di un termine scorretto che non identifica una precisa tipologia di personalità, per come noi oggi la intendiamo. Ma allude a un deficit nella regolazione affettiva (Taylor, Bagby & Parker, 1997) che impedisce a queste persone di vivere e gestire gli affetti dolorosi come tali sperimentando al loro posto un dolore o altro disagio a livello corporeo.
“L’esperienza psicanalitica insegna che il senso di infelicità e di insoddisfazione può esser profondamente represso; una persona può consciamente sentirsi soddisfatta, e soltanto i suoi sogni, malattie psicosomatiche, insonnia, e molti altri sintomi possono rivelare l’infelicità sotterranea. La tendenza a reprimere l’insoddisfazione e l’infelicità è fortemente sostenuta dal diffuso sentimento che il non essere soddisfatti significhi essere «un fallimento».”
(Erich Fromm, Psicoanalisi della società contemporanea, 1955)
Malattie psicosomatiche e difese psicologiche
La somatizzazione è uno dei meccanismi di difesa più arcaici mediante il quale, per sfuggire alla pressione di un’emozione intollerabile, la esprimiamo mediante un malessere corporeo. Questo ci garantisce ugualmente la possibilità di ricevere cure e attenzioni da parte delle persone che abbiamo intorno senza dover tuttavia sperimentare un dolore psichico come tale.
Si tratta di una modalità molto comune dell’infanzia, quando i bambini possono esprimere un malessere emozionale mediante una qualsiasi lamentela fisica – si pensi al classico “mal di pancia” – non avendo ancora la capacità per riconoscerla ed esprimerla a livello emozionale. Fin dall’inizio della nostra vita in effetti i nostri bisogni fisici ed emotivi sono fusi insieme e solo con lo sviluppo e la crescita impariamo e distinguerli gli uni degli altri. Ma questa modalità somatizzante rimane a far parte del nostro bagaglio mentale per tutta la vita. Tutti noi possiamo occasionalmente scoprire di aver “somatizzato” qualche disagio o che più semplicemente momenti di stress o di conflitti emotivi possono aver esacerbato disturbi fisici preesistenti.
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Alcune persone però, appartenenti ai tipi di personalità più diversi, possono avere una cronica incapacità a vivere le emozioni come tali e esprimendole ripetutamente mediante sintomi psicosomatici.
“Ho fatto un patto sai con le mie emozioni…
le lascio vivere e loro non mi fanno fuori!”
(Vasco Rossi)
Personalità psicosomatica e via emotiva
Fin dagli anni ’50 diversi autori (Dunbar, 1947; Ruesch, 1948; Alexander, 1950), studiando i pazienti psicosomatici, riscontrarono diverse caratteristiche comuni nel loro funzionamento tanto che venne avanzata l’ipotesi dell’esistenza di una personalità psicosomatica. Questo termine non è più del tutto esatto nell’economia della tassonomia dei tipi di personalità a cui oggi si fa riferimento. Sottende però alcune caratteristiche che effettivamente caratterizzano la maggior parte di pazienti psicosomatici. Gli studiosi hanno osservato, infatti, che queste persone hanno una cronica difficoltà a vivere, esprimere e gestire le emozioni. Così come sperimentano un’analoga difficoltà a riconoscerle e decodificarle negli altri. Sono cognitivamente contraddistinte da un pensiero operatorio (Marty, M’Uzan e David, 1963; 1980): una modalità di pensiero concreto, privo di fantasie e immaginazione.
Questa scarsa introspezione unita a un funzionamento cognitivo così concreto e utilitaristico e a un deficit nella regolazione delle emozioni vennero riconcettualizzate nel costrutto di Alessitimia (Sifneos e Nemiah, 1973). Questa parole significa letteralmente “non avere parole per le emozioni” e indica la difficoltà principale dei pazienti psicosomatici.
“Spesso la gente non ha le emozioni chiare.
Altro che le idee.”
(Anonimo)
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Accudimento e regolazione affettiva
Queste persone, nel corso del proprio sviluppo cognitivo e affettivo, sembrerebbero non aver fruito di contesti interpersonali sufficientemente responsivi in cui poter comprendere la portata delle proprie reazioni emotive e imparare a gestirle. Questo può avvenire per le motivazioni più diverse. Non per forza si tratta di ambienti di accudimento abbandonici o trascuranti. Non di rado si riscontra questa dinamica anche in famiglie apparentemente ben funzionati, dove non sono accaduti traumi o abusi. In questi contesti spesso i genitori hanno instaurato un accudimento improntato alla concretezza piuttosto che all’ascolto emotivo. Si tratta di contesti familiari a bassa espressività emozionale dove i bisogni del bambino sono soddisfatti quasi esclusivamente dal punto di vista fisico e concreto. Spesso l’alessitimia può essere un tratto dei genitori stessi, privi degli strumenti necessari a sintonizzarsi con i bisogni emotivi propri e del bambino.
Non parliamo necessariamente di contesti familiari trascuranti o traumatici, ma di famiglie ben funzionanti, dove tuttavia i figli sono stati amati e curati più sul piano materiale che emotivo-affettivo.
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Alessitimia e personalità psicosomatica
L’alessitimia è alla base di molti disturbi psicologici: dai disturbi alimentari al disturbo di panico alla depressione o alcune organizzazioni di personalità (Taylor, Bagby e Parker, 1997). Nelle persone somatizzanti il deficit di regolazione affettiva si evidenzia in maniera netta. Queste persone sono talmente prive degli strumenti per poter tollerare le emozioni che non possono sperimentarle a livello mentale. Appaiono allora fredde, emotivamente piatte, prive di immaginazione e creatività. Sperimentano il dolore mentale, la rabbia, l’angoscia o la paura come dolore fisico perché se vivessero la portata mentale delle proprie emozioni potrebbero esserne sopraffatte.
La personalità psicosomatica non è dunque una tassonomia di disturbo che possa essere diagnosticata con un test della personalità. Ma fa riferimento a una modalità di funzionamento più complessa, basata sull’incapacità a vivere e regolare le emozioni. Questo crea innumerevoli disagi e limitazioni nella vita affettiva ed è alla base di diversi disturbi psicologici incluse le malattie psicosomatiche.
Spesso chi ha una modalità psicosomatica di affrontare i problemi non riesce a riconoscere la portata emozionale dei propri malesseri. Lo stesso concetto di disturbo psicosomatico potrà sembrare un’etichetta vuota che i medici assegnano per identificare il paziente come malato immaginario. Per queste persone dunque iniziare un percorso di psicoterapia – che sia una psicoterapia cognitivo-comportamentale, psicodinamica o altro – può essere non semplice. Spesso arrivano dietro invio di un medico, e vedono la consultazione psicologica come “ultima spiaggia” dopo aver consultato una sequela di professionisti medici che non hanno saputo dar loro una “diagnosi”.
È però un primo passo per iniziare un viaggio che possa iniziare dal sintomo corporeo, l’unico linguaggio che il paziente psicosomatico conosce e su cui può essere ascoltato, e “tradurre” pian piano i significati emozionali che lo sottendono. Aiutare la persona a riconoscere e padroneggiare le proprie emozioni è l’obiettivo principale di questi percorsi.
“L’aspetto delle cose varia secondo le emozioni; e così noi vediamo magia e bellezza in loro, ma, in realtà, magia e bellezza sono in noi.”
(Khalil Gibran)
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