Leonardo Martini era un’imprenditore di Vicenza. Nel 1967 fonda la Dioma srl, un’azienda che si occupa di stampaggio di materie plastiche.
Dopo una breve malattia si è spento all’età di 72 anni.
Non aveva figli e non voleva dare la propria ditta in mano ad estranei o comunque a persone che non la conoscevano a fondo: ha così deciso di lasciarla in eredità ai suoi 25 operai. Chi meglio di loro, impegnanti quotidianamente a contribuire al benessere dell’azienda, poteva continuare la sua opera d’imprenditore?
Un gesto che sta facendo riflettere molto, in un mondo dove l’operaio è spesso purtroppo considerato solo un numero. Martini invece ribalta la situazione e fa comprendere che senza i dipendenti un’azienda non è niente.
Ieri si è svolto il funerale, un rito laico voluto dai suoi dipendenti. Quale luogo migliore della fabbrica stessa? Luogo che simboleggia la sua casa, il suo lavoro, la sua famiglia.
La bara è stata posizionata così tra le scaffalature del grande capannone industriale, i fiori tra i bancali. Si intravede in alto una gru che sostiene l’uomo di Leonardo, scultura che rappresenta l’unione tra l’arte e la scienza.
Al posto del prete che celebra la cerimonia di saluto a Leonardo ci sono amici e dipendenti che parlano uno dopo l’altro di lui.
Ora saranno i suoi dipendenti a continuare l’opera, un’opera che nonostante la crisi si è rivelata sempre in piena salute. Ma già i nuovi proprietari dell’azienda hanno dichiarato “Ora non dobbiamo tradirlo!”.
Un gesto nobile che merita una riflessione importante riguardo i rapporti di lavoro attuali. Non può più esistere una relazione tra capo e dipendenti basato sulla subordinazione ma deve essere invece una relazione basata sulla fiducia, sulla collaborazione, sulla relazione alla pari tra persone all’interno della quale ognuno ha diverse competenze, diversi ruoli ma dove ognuno contribuisce in modo costruttivo al benessere dell’azienda.
Elena Bernabè