Sono nata a 1200 km da casa mia, da quel luogo al quale sento di appartenere, corpo e anima. È stata una ricerca lunga ed estenuante, fatta di momenti difficili, paure, smarrimenti e parecchie “inversioni a U” in corso di strada perché il cuore mi portava da una parte e la testa, da un’altra; ma alla fine ho scelto il cuore. Ora, lì dove sono, sento di poter mettere radici profonde perché quella terra mi chiama, la sento affine a me, sento che mi sostiene. Non sento più il disagio di non appartenere al luogo dove vivo. Non sento più la voglia di fuggire. Ho trovato la mia terra, il mio posto nel mondo.
Per alcuni di noi, la “casa, dolce casa” è un sogno nel cassetto. Si viaggia, si perlustra il mondo con valige, bagagli, scatole di cartone tra un trasloco e l’altro, a volte pure col zaino in spalla. Si viaggia di casa in casa, di paese in paese, e a volte di cultura in cultura senza trovare il proprio posto nel mondo, sentendosi più degli uccelli migratori che degli alberi dalle possenti radici.
Ma volte capita che alla voglia di scoprire il mondo si mescoli una silenziosa fuga da se stessi: viaggiamo per perderci nel mondo invece di ritrovare il nostro centro, perché ci siamo talmente abituati a rincorrere la felicità altrove che pensare di trovarla nelle proprie scarpe sembrerebbe un controsenso.
Ma dov’è casa se non lì dove stiamo bene? E se non sentiamo bene dentro di noi, lo troveremo mai all’esterno, quel posto dove sentiamo di poter posare le valigie?
“La tua casa non è dove sei nato.
Casa è dove cessano tutti i tuoi tentativi di fuga.”
(Naguib Mahfouz)
Fuggire nel mondo per allontanarsi da se stessi
Fuggire è forse un tentativo di smarrire la nostra ombra correndo più veloce di lei, di lasciarla indietro per strada? Ma quante volta ha funzionato? Praticamente mai.
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Forse si pensa di potersi separare da quel lato di noi che ci segue ovunque e che ci è scomodo, che ci spaventa, a furia di viaggi e traslochi. Abbiamo paura della nostra ombra? Una paura folle! Una paura che ci farebbe raggiungere i picchi di Machu Picchu invece di avere il coraggio di fermarsi un po’ per guardarci dentro. Tuttavia, quel tentativo di fuga fallirà perché il mondo stesso ci porterà dentro di noi: le prove che potremmo affrontare saranno tali da sforzarci a guardarci dentro, perché sarà il mondo stesso a farci da specchio. E così, chi fugge da sé stesso finirà per riconoscersi in ogni angolo del pianeta. Ogni luogo gli parlerà di sé, di ciò che cerca, di ciò che è.
I fardelli più pesanti che portiamo sulle spalle sono spesso quelle cose che ci sembrano inutili e di cui non riusciamo a spogliarci, ci stanno attaccate alla pelle come una maschera che ci impedisce di guardarci dritto negli occhi: ricordi dolorosi, pensieri assillanti, errori e problemi vari ai quali pensiamo in continuazione senza riuscire a risolverli.
Poi aggiungiamo a questo bagaglio un po’ di emozioni che non riusciamo né a definire né a metabolizzare, che non abbiamo voglia di accogliere ed ascoltare, e quei tratti del nostro carattere che ci sembrano scomodi, inopportuni, che vorremo cambiare ma che, se riuscissimo a riconoscere al loro giusto valore, potrebbero diventare delle piccole gemme. Ma occorrerebbe saperli guardare con un occhio benevolo, gentile, compassionevole… Ma siamo in grado di guardarci in questo modo, siamo capaci di volerci bene malgrado i nostri difetti, malgrado le nostre fragilità? Ci diamo la possibilità di vivere ed apprezzare la nostra vulnerabilità?
“Là dove sei felice, sei a casa.”
(Proverbio tibetano)
Casa è dove non hai più bisogno di fuggire
Quando riusciamo ad accogliere noi stessi dentro di noi, quando riusciamo a guardarci con benevolenza, quando decidiamo che il nostro tempo è troppo prezioso per continuare a sprecarlo in ripensamenti , tra gli “avrei dovuto” e i “se avessi saputo”, quando decidiamo di dare un senso al momento presente e a quello che abbiamo tra le mani (e sulle spalle), ci diamo la possibilità di fare pace con noi stessi, di entrare dentro di noi con gentilezza senza volerci punire per le nostre fragilità. Bussiamo a quella porta che ha sempre aspettato un segno da parte nostra per aprirsi e portarci verso quell’unico posto al mondo dove possiamo stare bene e senza il quale tutti i paradisi della Terra potrebbero sembrare delle brutte copie del purgatorio.
E quando troviamo quel posto dentro di noi dove ci sentiamo accolti e sostenuti, dove ogni parte di noi è la benvenuta, anche in quel momento il mondo ci fa da specchio e riconosciamo il posto al quale apparteniamo: il nostro posto nel mondo, quel luogo che chiameremo “casa”.
“Casa è dove conosci gli spazi abbastanza bene da riuscire a orientarti anche al buio. Non funziona poi molto diversamente dentro le persone.”
(@Saraturchina)
Sandra “Eshewa” Saporito
Autrice e operatrice in discipline bio-naturali
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