Le persone emotive sanno bene che ci sono tantissime emozioni che entrano in contatto con il nostro essere più profondo. A volte ce ne sono alcune di cui non conosciamo nemmeno il nome. Ci sentiamo in balia di alcune sensazioni che non riusciamo a catalogare in una singola emozione e dunque ci sembra di essere persi. Siamo confusi, poco lucidi, per nulla razionali.
Il bambino piccolo si sente così molto spesso. Avverte ciò che sta capitando nel suo corpo e nel suo animo, non sa come descriverlo nè come esprimerlo, così va per tentativi ed errori, mettendo in pratica ciò che ha visto, sentito o ciò che gli viene naturale fare. Sulla base della reazione altrui tarerà la sua emotività e l’espressione della stessa. Se la sua reazione è stata socialmente accolta, si concederà di provarla ancora, altrimenti farà nuovi tentativi.
I genitori e gli insegnanti hanno il delicatissimo ruolo di essere l’abbraccio caldo e accogliente nel quale il bambino può sentirsi libero di essere, senza inibizioni.
Nell’esperienza di educatrice mi è capitato di sentire genitori dire al bambino: “Non devi piangere” , perché loro non sopportavano il pianto del bambino. Li faceva sentire in colpa (quando accadeva al distacco); inadeguati (quando capitava al ritorno a casa). Ma se imparassimo ad osservare con gli occhi dell’altro, del bambino in questo caso, capiremmo che egli non vuole giudicare noi, ma esprimere se stesso. Nel nostro perentorio “non piangere” esiste invece un giudizio insito che descrive il pianto come un’emozione negativa, da bannare. Non viene nemmeno spiegato il motivo.
Oppure viene sminuito il loro dolore con la frase :
“Non piangere perché non ce n’è motivo”.
Chi può dire quando c’è o non c’è motivo? “ Come fai tu (mamma, papà, insegnante) a dire che io non ho motivo di piangere? Quando la mia mamma(tu) va via mi sento solo, spaesato. Ho paura che lei possa non tornare mai più. Ho paura che non voglia stare con me, mentre io vorrei solo stare sempre e sempre con lei.”
Questa potrebbe essere la voce del bambino silente che vede andare via la sua mamma. Di fronte a questo diremmo ancora che non ha motivo di piangere?
Tu, mamma, gli diresti ancora “non devi piangere”?
A volte poi segue il “ricatto morale” : “Se smetti di piangere ti porto …..”
Questa è un’altra frase dannosa. Sminuisce i sentimenti del bambino, lo castra nella sua espressione e si pensa che un regalo, un cibo che gli piace o altro, possano “comprare” la sua finta serenità. Il più delle volte i bambini non si fanno comprare da questo, ma come sempre, è l’Amore che li guida. L’Amore per la mamma che gli chiede di non piangere, li porta a trattenere dentro di sè quella sofferenza tanto grande, ma sempre più piccola dell’amore che provano. E ci mostrano, ancora una volta, di essere loro i veri Maestri. Loro che senza giudizio ci accolgono in ogni dimostrazione del nostro essere. Quando siamo felici, tristi, arrabbiati, annoiati, malinconici, stanchi, euforici. Loro sono lì. Accanto a noi. E non si stufano mai.
Senza contare che dire ad un bambino “Se piangi non ti porto la sorpresa” , nel momento del distacco per esempio, fa sentire il bambino incompreso, confuso e insicuro. Con quella frase castrante, mostriamo al bambino anche una totale sfiducia nei confronti di chi lo accudirà quando noi saremo via. Se devo darti un premio o una punizione per far sì che tu ti convinca a stare in un posto, vuol dire che è un posto brutto, nel quale non si può trovare altro motivo (gioioso) per cui valga la pena restare.
Stessa cosa, pericolosissima, sul cibo:“Se mangi tutto ti porto…”
Il bambino perderà presto il gusto del cibo. Mangerà per conquistare non solo la sorpresa, ma per far contenta la mamma (o il papà) , senza curarsi di ciò che realmente desidera.
Castrare l’espressione delle emozioni è pericolosissimo. I danni che si provocano possono diventare irreparabili.
Un bambino “emotivamente rotto”, è un bambino a cui viene tolta l’essenza.
Tutta la naturalezza, la spontaneità, la spensieratezza. Diviene adulto nel corpo di un bambino e ne risulta un uomo spezzato. Mente, corpo e anima devono viaggiare alla stessa velocità.
Negare un’emozione o reprimerla, porterà il bambino a chiudersi in se stesso, a non esprimere più i suoi stati d’animo, generando così un malessere sempre più profondo, fino alla totale perdita di identità.
Così come la tristezza o la paura, anche la rabbia viene rifiutata. Sento spesso dire: “Non devi arrabbiarti, non hai motivo”
Stesso copione per situazioni differenti.
Perché le emozioni forti come rabbia, paura, tristezza vengono vissute (dall’adulto) come emozioni negative, che fanno soffrire e quindi da evitare. In realtà tutte le emozioni hanno il loro compito.
La paura ha una funzione protettiva. È l’amigdala che contiene questo lato così vulnerabile di noi, che ci ha portato però alla salvezza quando eravamo cavernicoli. La paura viene quando avvertiamo un pericolo. Se ho paura o fuggo o mi blocco. In ogni caso agisco per la mia salvezza.
La rabbia serve a tutelare noi stessi. Ci arrabbiamo quando ci sentiamo minacciati, non rispettati, offesi. La rabbia ci aiuta a ricordarci che ci siamo anche noi e che dobbiamo ascoltarci.
La tristezza permette al cuore di lasciarsi andare, di rilassarsi. Ci consente di apprezzare la Gioia e di essere sempre accarezzati da una mano amica.
Le emozioni che noi consideriamo negative sono in realtà la nostra salvezza. Permettiamo ai bambini di essere loro stessi, di esprimere le loro emozioni, qualunque esse siano.Accogliamoli a braccia aperte, non lasciamoli in balia della confusione emotiva. Facciamoli sentire amati per qualsiasi emozione essi racchiudano in sè. Siamo fatti di tanti piccoli pezzi che insieme creano quel tutt’uno che fa di noi gli esseri unici e speciali che siamo. Impariamo da loro ad accettarli così come sono e ad amarli proprio per questo, come loro fanno con noi.
“L’uomo è come un oggetto fabbricato a mano: ognuno è diverso dall’altro, ognuno ha un proprio spirito creatore che ne fa un’opera d’arte della natura.”M.Montessori “Il segreto dell’infanzia”
Educatrice Manuela Griso