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Psicologia

Genitori Di Bambini Senza Battito: Quando L'Amore Trasforma Il Dolore

Di Sandra Saporito - 11 Novembre 2017

Fino al 25-30% delle gravidanze si concludono con un aborto spontaneo, così viene definita l’interruzione involontaria di gravidanza entro le 20 settimane dal concepimento, per cause che possono andare da anomalie cromosomiche dell’embrione a malattie croniche della madre come il diabete, i disturbi tiroidei o l’ovaio policistico.

Capita spesso durante le primissime settimane, a volte pure senza che la donna se ne renda conto, confondendo la perdita di sangue dovuta all’aborto con il ciclo mestruale arrivato stranamente tardi; ma per chi sa che non vedrà mai nascere quella piccola vita che portava in grembo, è un dolore atroce che lascerà una profonda cicatrice.

Credit foto ©Pixabay

L’aborto: un dolore senza volto

Possono passare anni dalla perdita del proprio bimbo ma basterà un post letto su Facebook, un articolo o la disperazione di un’amica che vive questo momento tragico per far riemergere le lacrime e un ricordo marcato a fuoco. Perché è inutile illudersi, non si dimentica. Il tempo aiuterà a far cicatrizzare la ferita ma lei rimarrà lì come un tatuaggio che porta un nome. Un nome senza volto né sepoltura* perché è un dramma invisibile che vivono i genitori di questi bimbi di passaggio che se ne sono andati troppo presto.

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Mamma, non è colpa tua!

La tristezza e la rabbia spesso lasciano il posto al senso di colpa nella donna, si sente profondamente sbagliata, incapace di essere madre, e rischia di cadere in una profonda depressione se la si lascia sola ad affrontare questo momento così delicato.

Uno studio americano ha rivelato che 4 donne su 10 si sentono responsabili di quanto accaduto quando la verità è che spesso le cause principali dell’aborto spontaneo nelle primissime settimane sono dovute ad una selezione naturale, l’embrione non può geneticamente svilupparsi in maniera completa e quindi giunge ad un punto di non ritorno.

Anche se ci sono alcuni consigli e pratiche che possono aiutare a prevenire gli aborti spontanei, come per esempio evitare il fumo, l’alcol, le droghe, il caffè, ecc. , bisogna tenere in mente che malgrado i suoi sforzi, la scienza non è ancora riuscita a sradicarne del tutto il rischio in quanto sussistono ancora casi di aborti per cause inspiegabili e totalmente indipendenti dalla madre.

La donna, già in un equilibrio precario dopo un cambio d’identità da donna a madre -in seguito alla notizia della sua gravidanza-, vede quest’ultima crollare dopo la perdita del piccolo, quindi avrà bisogno del sostegno dei suoi cari per uscire dal turbine di sensi di colpa e di vuoto interiore, e se necessario, dovrà essere indirizzata verso una figura professionale -come lo psicologo o lo psicoterapeuta- per riuscire a far pace con se stessa. È un momento estremamente delicato che non va mai preso sottogamba ma deve essere affrontato con sensibilità e rispetto.

Credit foto ©Pixabay

Il dolore nascosto degli uomini

Della sofferenza causata dall’aborto se ne parla ancora poco, e quel poco è rivolto principalmente solo alle donne, dimenticandoci spesso di quello che possono provare gli uomini. Essere un uomo in questa situazione non è facile e molti vivono questa sofferenza in silenzio e nell’ombra.

Al dolore di aver perso un figlio si aggiunge anche la sofferenza del vedere la propria compagna a pezzi e non saper cosa fare per aiutarla. Molti uomini ammettono di non saper come comportarsi e alcuni temono che mostrare il proprio dolore possa rendere la situazione ancora più pesante.

I papà rompono il silenzio

Ecco la testimonianza di Bruno, 31 anni, che ha perso suo figlio qualche anno fa dopo l’aborto spontaneo della sua compagna.

All’inizio, appena ho saputo che lei era incinta, ho avuto un attimo di panico perché un figlio è una grande responsabilità e non sapevo se sarei stato all’altezza. Poi ho cominciato a pensare al nostro futuro a tre. Ero intimorito, è vero, ma ero felice perché stavo diventando papà! Poi un giorno, tornando dal lavoro, ho trovato lei in lacrime ed è bastato uno sguardo per capire cos’era successo. A parte la sensazione di sprofondare in un buco nero, in testa avevo solo un enorme perché… Non capivo, ero perso… Lei non riusciva a parlare, io ero talmente stordito che non riuscivo a piangere. Le settimane seguenti sono state molto difficili per noi e il nostro rapporto si è incrinato, lei era depressa, mangiava e dormiva poco, io non sapevo cosa fare, mi sentivo bloccato. Non sapevo cosa fare, cosa dire e temevo che quello che avrei potuto dirle avrebbe solo peggiorato le cose. Poi lei è riuscita a riemergere grazie a un gruppo di sostegno e mi ha confidato che ha sofferto molto del mio silenzio, mi sentiva distante, freddo, quasi assente, come se non m’importasse nulla, ma in verità avevo tremendamente male dentro, solo che non volevo aggiungere il mio dolore al suo.

Bruno non è l’unico uomo a essersi sentito smarrito e ad aver sofferto della perdita del figlio, motivo per il quale è importante offrire un vero sostegno ad entrambi i genitori; non è perché non li vediamo che i papà non piangono.

Le parole da non dire mai

Quando si viene a sapere della perdita, soprattutto nelle prime settimane, la gente comune ha tendenza a elargire commenti inopportuni -quando non decisamente irrispettosialla coppia in lutto, che tradiscono un certo imbarazzo, ma a volte anche una mancanza di educazione e sensibilità.

“Ne farete un altro!”, “L’importante è provarci”. ,“Ma sei sterile?”, “Alla peggio, potete sempre adottare.”, “Nelle prime settimane non è ancora formato, non è così grave.”

Spesso non si sa cosa dire o cosa fare e si prova a sminuire l’accaduto, a sdrammatizzare, ma questi tentativi non fanno altro che esacerbare una ferita che pulsa ancora. Se vuoi essere di sostegno a chi ha perso un figlio, la tua presenza basterà: un abbraccio, uno sguardo, il semplice calore umano farà molto più di mille parole.

Ma al di là delle buone intenzioni delle persone, è importante che la coppia protegga se stessa per permettersi di metabolizzare l’accaduto con i propri tempi, anche se questo significa prendere momentaneamente le distanze da parenti e vicini indelicati.

Come affrontare questo lutto?

In Italia, non siamo molto preparati a far fronte a questo tipo di situazioni, partendo già dal corpo medico che sottovaluta spesso il dolore psicologico che deriva dall’interruzione involontaria di gravidanza nelle prime settimane. È un lutto che non è ancora ben accettato a livello sociale e chi lo vive si sente spesso incompreso.

È un dramma che colpisce la coppia in modo violento ed inaspettato, per questo motivo è importante che siano presenti l’uno per l’altra, per sostenersi a vicenda. Piangere, parlarne assieme li aiuterà a elaborare la perdita e a mantenere il rapporto forte e sano anche dopo l’aborto.

Se questo non bastasse, su tutto il territorio, sono disponibili associazioni di sostegno ai genitori, come CiaoLapo Onlus, un’associazione che si occupa di offrire assistenza e accompagnamento, spesso a titolo gratuito, ai genitori che hanno perso il loro bambino, e che promuove la ricerca psicologica e medica sulle tematiche del lutto perinatale.

Trasformare il dolore

Non è un dolore che si cura però si può trasformare. Si può usare quel dolore per aiutare gli altri parlando della propria esperienza e di come se ne è venuto fuori. Si può cercare di dare un senso a tutto questo, con un atto di fede, sperando che quell’anima di passaggio un giorno tornerà per restare. Si può agire, dando sostegno a chi vive lo stesso dolore di noi, perché ci siamo già passati, e provare di sensibilizzare le persone intorno a noi, a costo di andare contro corrente.

I genitori dei bimbi di passaggio sono qui e continuano a mandare le loro preghiere, i loro pensieri, il loro amore verso il cielo che ha accolto i loro angioletti. Non è perché questi bimbi non sono stati partoriti che non sono mai esistiti. Non avranno forse visto il giorno ma sono stati amati e lo sono ancora.

E l’amore è forse l’unica vera cura.

*Se hai perso il tuo bimbo, anche se in fase embrionale, sappi che è un tuo diritto richiedere all’azienda ospedaliera di dargli una degna sepoltura, come previsto dal D.P.R.10/09/1990 n. 285 – Articolo 7, punto 3 (la richiesta deve essere fatta entro e non oltre le 24 ore dal momento della perdita).

Sandra “Eshewa” Saporito,
Storyteller e praticante sciamanica
www.risorsedellanima.it





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