Quando anni fa lessi “Le 5 ferite” di Lise Bourbeau mi sembrò interessante; oggi lo ritengo un libro con qualche spunto utile, tuttavia discutibile. Esistono sicuramente delle ferite che possono influenzarci negativamente, impaurirci, frenarci, ma molto dipende dai punti di vista. La ferita del rifiuto per esempio può da un lato annientarci alimentando problematiche varie ma d’altra parte, può rivelarsi utile per aprire “portali” interiori che altrimenti non avremmo mai attivato. I traumi da una prospettiva inversa non vanno semplicemente superati ma si rivelano strumenti attraverso i quali scoprire aspetti nuovi di se stessi e mettere in moto potenzialità dormienti.
La prospettiva della Bourbeau non mi convince perché le 5 ferite hanno un’accezione negativa, sono traumi “negativi” da cui affrancarci con coraggio per ripristinare la nostra essenza. E se invece, mi chiedo, le ferite fossero fondamentali per metterci alla prova, ognuno a suo modo, permettendo un ampliamento personale?
Per rendere l’idea vi riporto un esempio concreto: durante l’adolescenza vissi un periodo molto difficile sentendomi profondamente incompresa dai miei coetanei. Mi ferirono e per molti anni continuai a provare rancore nei loro confronti. Razionalmente sapevo di doverli perdonare ma non lo volevo davvero. Un giorno compresi che senza quel trauma non avrei mai sviluppato determinate caratteristiche e abilità. Il problema delle ferite è l’uso che ne facciamo, a mio parere, pur non essendo un’esperta.
Tutti, indistintamente, chi più chi meno, subiamo dei traumi nel corso della vita e forse questo ha un suo perché. Ma se li consideriamo solo nell’ottica di ferite da superare, non li stiamo forse etichettando in modo negativo? Certo, ci sono traumi e traumi, ma la prospettiva della Bourbeau rischia di essere riduttiva perché la ferita, di per sè, non viene percepita come un portale ma come un errore di percorso, che va coraggiosamente perdonato. E’ davvero solo un errore di percorso?
Le 5 ferite secondo Lise Bourbeau
La Bourbeau individua 5 ferite principali che, a suo parere, ci impediscono di essere autentici: rifiuto, abbandono, ingiustizia, umiliazione e tradimento. Queste ferite dipenderebbero da traumi vissuti nell’infanzia, percepiti in modo minaccioso per la propria sopravvivenza fisica ed emotiva. Nella primissima infanzia il bimbo dipende infatti totalmente dall’adulto e quindi, se ha paura di alienarselo, sviluppa delle maschere di adeguamento.
Rifiuto
Secondo Lise Bourbeau la ferita del rifiuto può manifestarsi già nel grembo materno qualora la madre sia contraria alla nascita del figlio o comunque triste per l’evento. La reazione di contrarietà, specie se espressa anche verbalmente, provocherebbe la ferita del rifiuto e una sensazione di minaccia reale per la sopravvivenza. La conseguenza? Una forte angoscia esistenziale in età adulta.
Abbandono
A volte l’abbandono va di pari passo con il rifiuto ma non sempre. Può colpire bambini che sono stati effettivamente abbandonati o che hanno subito traumi collegati all’abbandono, pur vivendo in famiglia.
Umiliazione
L’umiliazione può subentrare tra i 2 e i 5 anni di età e dipenderebbe dalla vergogna provata in relazione a certe parti del corpo e al controllo degli sfinteri.
Tradimento
Il tradimento viene percepito dal bambino in relazione al genitore di sesso opposto. Il bambino prova gelosia nei suoi confronti ma non lo dice apertamente e questo fa sì che la ferita si interiorizzi.
Ingiustizia
L’ingiustizia è una ferita che solitamente si manifesta tra i 4 e i 6 anni verso il genitore dello stesso sesso. Si ripresenta nell’età adulta in relazione a figure autorevoli. E’ legata alle aspettative del genitore verso il figlio.
Queste diverse ferite provocherebbero in età adulta specifici comportamenti di difesa tesi a impedire all’individuo di rivivere la sofferenza passata, intrappolandolo in relazioni e situazioni vincolanti. Questi meccanismi comportamentali automatici prendono il nome di maschere e si manifestano sia sul piano psicologico che fisico, attraverso determinati tratti somatici del volto e conformazioni del corpo.
Le corrispondenze sono le seguenti:
Rifiuto: maschera del fuggitivo
Abbandono: maschera del dipendente
Umiliazione: maschera del masochista
Tradimento: maschera del controllore
Ingiustizia: maschera del rigido
Le caratteristiche delle 5 maschere
Il fuggitivo: dal punto di vista fisico ha un corpo striminzito, occhi piccoli e impauriti, dal punto di vista caratteriale alterna spesso alti e bassi di umore, ha una bassa autostima perché si crede una nullità, si sente incompreso e distaccato dalla realtà materiale. Ha poco appetito e può facilmente soffrire di attacchi di panico.
Il dipendente: ha un corpo sottile e floscio, occhi grandi e dallo sguardo malinconico, si sente vittima, è empatico e bisognoso di consigli, ha paura della solitudine e mangia bene.
Il masochista: ha un corpo tondo e abbastanza grosso, occhi grandi e tondi, può provare vergogna di sè e degli altri, tende a farsi carico di troppe cose, ha molti sensi di colpa. Teme la libertà
Il controllore: ha un corpo energico e uno sguardo seducente, si ritiene forte e ha molte aspettative, è impaziente, intollerante, manipolatore. Ha paura della separazione e del rinnegamento, ha un buon appetito e mangia veloce.
Il rigido: ha un corpo rigido e ben proporzionato, uno sguardo vivace, è perfezionista e dinamico, la voce secca, tende a far fatica a ricevere e teme la freddezza. Ama i cibi croccanti.
Come uscirne
Accettando, riconoscendo e metabolizzando le proprie maschere, stando alle teorie dell’autrice, sarebbe possibile eliminarle e ritornare a essere se stessi. Personalmente non sono convinta che la soluzione sia eliminarle, piuttosto incanalarne in una direzione diversa, ammesso che esistano.
Laura De Rosa