Definita come reazione immunologica avversa ad un alimento o ad un suo componente, le allergie alimentari sono una malattia con costi sanitari rilevanti ed elevato impatto sulla qualità di vita, che solo in Italia colpisce 1.800.000 persone.
Secondo i dati scientifici più recenti interessa circa il 2-4% della popolazione generale, con maggiore incidenza nell’età pediatrica, visto che riguarda il 6-8% dei lattanti e il 3-5% dei bambini fino agli 8 anni. Nel caso di questa patologia le reazioni immediate o ritardate più o meno gravi, che in casi estremi possono condurre perfino alla morte, non sono provocate da sostanze tossiche o agenti infettivi, ma da componenti alimentari proteici (allergeni) generalmente innocui. Stiamo dunque parlando di una malattia legata a una produzione di anticorpi (immunoglobine E -IgE) o a risposte cellulo-mediate nei confronti di proteine alimentari, da parte di soggetti geneticamente predisposti.
Nel caso di una reazione IgE mediata si assiste a tre fasi ben distinte:
• nella prima, di sensibilizzazione, il sistema immunitario viene a contatto per la prima volta con l’allergene e produce gli anticorpi che saranno deputati a riconoscerlo;
• nella seconda, di risposta iniziale, si verificano fenomeni di vasodilatazione, essudazione vasale, spasmi della muscolatura liscia locale e secrezioni ghiandolari in loco, nei primi 30-60 minuti successivi alla seconda esposizione all’allergene;
• nella terza (fase ritardata), che si presenta due ore dopo la risposta iniziale, si assiste al processo infiammatorio e all’infiltrazione tissutale da parte di vari globuli bianchi con distruzione dei tessuti, in particolari epitelio e mucose. I principali alimenti all’origine di questa reazione immunologica verso componenti proteiche normalmente tollerate sono, nei bambini, latte, uova, arachidi, pesce e frutta secca, negli adulti, arachidi, noci, crostacei, pesce, verdura e frutta.
Per quanto riguarda gli allergeni di origine animale, latte e uova sono i principali responsabili di reazioni allergiche in età pediatrica, mentre i prodotti ittici (pesce, crostacei e molluschi) si rivelano importanti allergeni in età adulta.
L’allergia al latte vaccino è quella più nota e frequente anche perché riguarda soprattutto i neonati che non possono essere allattati al seno. Legata all’immaturità funzionale dell’apparato gastrico e del sistema immunitario nei primi anni di vita, può interessare una percentuale variabile dal 2 al 7% dei bambini e generalmente presenta un’evoluzione favorevole al compimento dei tre anni. Stesso discorso vale per le uova, frequentemente coinvolte nelle forme allergiche infantili.
I principali allergeni dell’uovo sono tutte proteine dell’albume e presentano un’elevata stabilità, tanto che le reazioni cliniche si manifestano sia dopo il consumo del prodotto crudo che di quello cotto. Trattandosi inoltre di un ingrediente presente in numerosi alimenti, chi soffre di questa allergia deve porre particolare attenzione alla lettura delle etichette.
Molto nota è anche l’allergia al pesce, che riguarda soprattutto gli adulti. Nonostante l’importanza di questo alimento nella dieta mondiale solo alcuni allergeni di origine ittica sono stati identificati dal punto di vista molecolare, tra questi il più caratterizzato è la parvalbumina del merluzzo, noto come Allergene M, stabile al calore e alla digestione. Crostacei e molluschi includono un alto numero di specie, più o meno vicine dal punto di vista filogenetico. L’allergene più noto è la tropiomisina, mentre il gambero è la specie che scatena le più frequenti reazioni cliniche negli adulti.
Gli allergeni di origine vegetale sono classificati sulle basi delle rispettive proprietà strutturali e/o funzionali in quattro gruppi: cupine, prolamine, proteine di difesa delle piante e profiline. L’allergia al frumento è dovuta alla produzione di IgE specifiche nei confronti di diverse classi di proteine, dalle gliadine all’alfa-amilasi. Molto pericolosa è l’arachide, responsabile di fenomeni allergici gravi come lo shock anafilattico. In tema di stabilità, il suo potenziale allergenico persiste ai comuni trattamenti tecnologici, quali la tostatura e la lavorazione per la produzione di derivati. I principali frutti a guscio responsabili di reazioni allergiche sono la mandorla, la nocciola, la noce, l’anacardo e il pistacchio, che presentano componenti di tutte e quattro le categorie di allergeni vegetali. In Italia si registra inoltre un aumento delle allergie al sedano, alla senape e al sesamo, in concomitanza alla maggior diffusione della cucina etnica.
I sintomi della reazione allergica possono variare notevolmente d’intensità. Uno stesso alimento, ad esempio l’arachide, può provocare un fastidioso eczema cutaneo o un pericoloso shock anafilattico a seconda dei soggetti coinvolti. La variabilità riguarda anche l’età, perché questa patologia può colpire sin dalla prima infanzia e scomparire con la crescita, oppure manifestarsi improvvisamente in età adulta. Non va però dimenticato che quella alimentare è l’unica allergia da cui si può guarire completamente.
La sintomatologia clinica si differenzia in base al coinvolgimento di anticorpi o altri mediatori cellulari. Nei quadri clinici IgE mediati i sintomi insorgono poco dopo aver mangiato (1-2 ore) e si rivelano più pericolosi quanto prima si manifestano. I più comuni sono: disturbi gastroenterici (vomito, diarrea, coliche addominali, enterite eosinofila), sindrome orale allergica (insorgenza di prurito con edema limitato al cavo orale), problemi respiratori (asma, rinite), orticaria-angioedema, orticaria-anafilassi associata ad esercizio fisico dopo il consumo di un alimento e shock anafilattico.
Gli ultimi due sono i casi più gravi, con il primo che si manifesta quando si svolge un esercizio fisico di una certa entità a breve distanza di tempo dall’assunzione del cibo verso il quale si è allergici. Riguarda soprattutto soggetti giovani adulti ed è favorita da condizioni di caldo-umido e dall’assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS). Dopo i primi sintomi, quali prurito agli arti, stanchezza e calo della prestazione, si può giungere anche a quadri drammatici, così che è consigliabile evitare assolutamente gli alimenti che provocano allergia, iniziare l’attività fisica solo dopo un bel riscaldamento e a 4-6 ore di distanza dai pasti, interrompersi alla minima comparsa dei sintomi e intraprendere subito il trattamento farmacologico.
Lo shock anafilattico è invece la manifestazione allergica più grave che in alcuni casi può condurre perfino alla morte. Si tratta di una reazione sistemica a rapida insorgenza che coinvolge diversi organi e apparati e può includere la perdita di conoscenza. Provocata da molecole allergeniche particolarmente potenti che si trovano soprattutto in alimenti quali latte, uova, pesce, crostacei (gamberi) e frutta secca (arachidi, nocciole), può insorgere a qualsiasi età ed è associata alla liberazione immediata di mediatori vasoattivi (ad esempio l’istamina).
Nei quadri clinici misti e IgE e cellulo-mediati i sintomi più comuni sono la dermatite atopica e le gastroenteropatie eosinofile. La prima riguarda diverse fasce d’età e coinvolge vari apparati. Nello stesso soggetto possono presentarsi sintomi a carico della cute (eczemi), del sistema respiratorio e del tratto gastrointestinale. Nell’età pediatrica l’associazione con la sensibilizzazione IgE mediata ad alimenti è di circa il 35% e i cibi più coinvolti sono il latte e le uova. La seconda può essere provocata da qualsiasi alimento e colpisce ogni fascia d’età.
La sintomatologia varia a seconda della sede del processo infiammatorio e può manifestarsi a livello esofageo o intestinale o esser generalizzata (ascite, perdita di peso, ostruzione intestinale). Infine, nei quadri clinici cellulo-mediati i sintomi più frequenti sono l’enterocolite allergica da proteine alimentari (gli alimenti più coinvolti sono il latte, la soia e il riso, interessa perlopiù l’età pediatrica con fenomeni quali emesi, diarrea, letargia e scarsa crescita e di solito si risolve positivamente) e la proctite da proteine alimentari (tipica dell’infanzia, è legata al consumo di latte vaccino e si caratterizza per la comparsa di sanguinamento e mucillagini nelle feci).
In merito alla diagnostica di questa malattia è bene sapere che l’allergia alimentare può manifestarsi con quadri clinici diversi e i test diagnostici più utilizzati (cutanei e/o sierologici) non sono ancora in grado di affermare o escludere definitivamente la diagnosi, soprattutto nel caso di pazienti che presentano sintomi gastroenterici. Come sottolinea il Ministero della Salute, il test di scatenamento orale in doppio cieco con placebo rappresenta ancora la prova d’elezione per dimostrare il reale risvolto clinico di una sensibilizzazione.
La base di ogni procedura diagnostica è l’anamnesi del paziente, che spesso è sufficiente a individuare l’alimento o gli alimenti incriminati e va a indagare principalmente i sintomi riferiti dal soggetto, il tempo dell’ultima reazione e l’intervallo trascorso rispetto a quella precedente, la quantità che provoca la reazione, il tempo che passa tra l’ingestione e la manifestazione clinica, nonché i segni o sintomi analoghi in altre situazioni. Nell’indagine anamnestica vengono inoltre presi in considerazione gli eventuali allergeni occulti, fortunatamente indicati anche nell’attuale legislazione sulle etichette alimentari.
La prima tappa nella diagnostica allergologica è lo Skin Prick Test, un test cutaneo in vivo veloce, economico e di semplice esecuzione (seppur di difficile interpretazione), che consiste nel mettere a contatto i mastociti dermici con l’allergene (sotto forma di estratto commerciale), pungendo la cute sulla superficie volare dell’avambraccio.
Simile a questo è il Prick by Prick, un test che si effettua principalmente per i cibi vegetali ed impiega un alimento fresco al posto dell’estratto commerciale. Un altro test cutaneo è l’Atopy Patch Test, il più utile nei casi di reazione non mediata da anticorpi, utilizzato soprattutto per i pazienti in età pediatrica.
Semplice ed economico è pure il test di provocazione labiale, che utilizza le caratteristiche anatomiche delle labbra ma presenta una scarsa sensibilità. Senza dimenticare i test utili in specifiche condizioni diagnostiche, il test di provocazione orale resta il migliore per la diagnosi di ogni tipo di allergia alimentare e si effettua con la somministrazione orale dell’allergene sospetto al paziente, eseguita secondo modalità e quantità standardizzate in un ambiente protetto e sotto controllo medico, poiché può indurre reazioni allergiche anche gravi. Le modalità previste sono tre (in aperto, in singolo cieco e in doppio cieco): quest’ultima è la migliore (né il medico né il paziente sanno se con il test sta per essere assunto l’allergene o il placebo), ma presenta purtroppo difficoltà economiche e organizzative.
Dalla diagnosi passiamo ora alla terapia.
Chi sospetta di essere a rischio di allergia alimentare deve subito rivolgersi a uno specialista allergologo, che sarà in grado di formulare una corretta diagnosi e prescrivere una terapia mirata al problema, personalizzata in base ai sintomi specifici del paziente. Oltre all’adozione di sane abitudine alimentari, una rigorosa dieta di eliminazione degli alimenti verso cui è stata accertata l’ipersensibilità resta la migliore arma per contrastare l’allergia ed evitare la comparsa delle reazioni avverse. Al momento dell’acquisto di un alimento è dunque necessario leggere con attenzione gli ingredienti riportati nelle etichette, al fine di evitare di assumere l’allergene che scatena l’allergia. Un altro accorgimento da seguire per le madri è quello di allattare al seno, perché la sostituzione o la sospensione precoce del latte materno può creare le premesse per una sensibilizzazione nei confronti di antigeni alimentari.
Se non effettuata correttamente la dieta di eliminazione può causare malnutrizione o seri effetti psicopatologici, pertanto è opportuno che il paziente affetto da allergia alimentare sia seguito da un team di specialisti (allergologo, dietologo), supportato eventualmente anche da uno psicologo. Oltre alla dieta di eliminazione, negli ultimi anni è stata proposta un’altra strategia per indurre tolleranza verso le proteine del latte vaccino e quelle dell’uovo, basata su un tentativo di desensibilizzazione mediante la somministrazione quotidiana di dosi crescenti delle stesse proteine in questione.
Ancora oggi tale terapia solleva però molti dubbi, poiché l’acquisizione della tolleranza verso un allergene alimentare è condizionata da molti fattori. Nonostante i notevoli progressi effettuati in campo allergologico, l’individuazione e la caratterizzazione degli allergeni alimentari – a differenza di quanto avvenuto per gli aero-allergeni – non ha ancora portato alla sintesi di estratti utili per l’immunoterapia specifica. Nel caso delle allergie alimentari è dunque possibile ottenere una diagnosi eziologica corretta, ma non una terapia farmacologica o desensibilizzante mirata. La farmacoterapia si risolve nel trattamento di emergenza per i pazienti inavvertitamente esposti all’allergene alimentare già noto come causa di reazione allergica, che nel caso dell’anafilassi consiste nell’iniezione di adrenalina.
Mentre sono in corso studi clinici per migliorare diagnosi, prevenzione e trattamento, il Ministero della Salute fa sapere che l’allergia alimentare, per la sua imprevedibilità e immediatezza, «necessita di una corretta informazione di tutta la popolazione per diffondere la consapevolezza delle problematiche connesse alla patologia e promuovere la formazione di coloro che operano nei vari ambiti in cui le reazioni allergiche si possono verificare, allo scopo di prevenirle e curarle».
Marco Grilli