Come è meglio consumare la frutta? Intera, frullata, centrifugata, estratta o in succo? Con o senza fibre?
Non c’è gara: meglio come Mamma natura l’ha fatta.
Eppure frullati ed estratti sono una fonte di vitamine e antiossidanti, sono un modo per aumentare le porzioni di frutta, sono veloci da digerire, comodi per anziani, bambini e sportivi, suppliscono le voglie di dessert durante una dieta, sono ottimi nella transizione a un’alimentazione vegana, e poi l’assorbimento di alcuni nutrienti viene potenziato dalla spremitura e vedremo che sono molti utili anche contro la demenza senile.
“Insomma, sempre meglio bersi la frutta che non bevande gassate, alcoliche o stimolanti!” ha osservato la mia vicina di casa, sorseggiandosi un succo alle pesche zuccherato e non volendo sentir critiche.
Se però la frutta fosse il vostro cibo principale, o ne consumaste tanta, come è meglio mangiarla?
Beh, mi spiace per la mia vicina Betta, ma partirei proprio con l’eliminare i succhi pastorizzati, zuccherati e privi di fibre.
Vari studi riportano come i succhi di frutta industriali siano rischiosi per il diabete, il colesterolo, la gotta e per i denti.
Già molto meglio i succhi di frutta “al 100%”, senza zuccheri aggiunti, ma anche quelli perdono tutte le fibre, proprio come le centrifughe e gli estratti a freddo (questi ultimi, in compenso, mantengono intatti gli enzimi).
Meglio un frullato allora? Almeno qui la fibra rimane, seppur spezzettata! Pare proprio di sì.
In una serie di video sull’argomento, il Dottor Greger ha fatto luce sulla questione: “Quando la frutta è sotto forma di frullato, possiamo berla dieci volte più velocemente di quanto ci avremmo messo a mangiarla solida”.
Per esempio ci vogliono 17 minuti a mangiarsi circa 700g di mele tagliate a fette, ma meno di 6 minuti in versione frullata e solo 90 secondi con gli estratti e i succhi.
Risultato? Lo stomaco si svuota prima, ci vuole più frutta per sentirci sazi e arriva un picco glicemico repentino, un aumento dell’insulina e poi il famoso calo di zuccheri.
Montagne russe. Divertenti ma non per tutti i giorni.
E se diminuissimo la velocità? Se ci sorseggiassimo l’estratto con tutta calma?
Non cambierebbe nulla. Le fibre non ci sono e la lentezza non le farà resuscitare.
Un po’ meglio, ma poco poco, se ci beviamo mooooolto lentamente un frullato, sia in termini di sazietà sia per la glicemia (soprattutto se magari vi aggiungiamo un cucchiaino di semi di lino).
Insomma: frutta frullata batte frutta centrifugata 1 a 0, ma la frutta intera ricca di fibre batte tutti.
C’è un’intera categoria di frutti però per cui tutti questi discorsi non valgono, ricorda sempre questo medico.
Possono essere mangiati interi o frullati e la glicemia non cambia, anzi, pare addirittura migliorare: sono i magici frutti del bosco.
A quanto pare contengono dei fitonutrienti speciali che migliorano la sensibilità all’insulina.
Per tutti gli altri frutti, mangiarne la fibra fa un’enorme differenza.
Non buttate l’estrattore però! Quando si parla di “green smoothies” o estratti di verdure le cose cambiano: qui le fibre troppo coriacee è forse un bene perderle e il loro succo poco zuccherino non dà problemi di glicemia (ma di fibre delle verdure riparleremo nel capitolo sui gonfiori addominali).
FIBRE DELLA FRUTTA: LE DOSI IDEALI
Le fibre esistono SOLO nei cibi vegetali. Le raccomandazioni giornaliere per gli adulti ne consigliano almeno 25g alle donne adulte e 38 g agli uomini.
Gli italiani arrivano solo a una ventina di grammi al giorno, gli americani a 15. Come ricorda il Dottor M. Greger, quasi un terzo dei bambini occidentali ormai soffre di stitichezza e pochissimi di loro consumano le porzioni di frutta e verdura raccomandate al giorno.
I vegani assumono il doppio di fibre degli onnivori, ma a far meglio di tutti sono proprio i grandi consumatori di frutta. In uno dei pochi gruppi fruttariani testati, in Germania, i partecipanti ne apportavano in media 60g al giorno (Garcia 2008).
Forse troppi?
A quanto pare, il rischio di eccedere in fibre arriva solo consumandole sotto forma di integratori, tanto che non è mai stato fissato un limite massimo di apporto.
Nella dieta del Paleolitico, ne assumevamo più di 100g al giorno (Mercola 2014).
Fa la differenza però da che cibo provengano ?
FIBRE DELLA FRUTTA: PERCHE’ SONO SPECIALI
Quando perdiamo le fibre, non perdiamo solo la capacità di evacuare meglio.
Ormai sappiamo che ci aiutano a ridurre il colesterolo, la glicemia, il peso, diminuiscono il rischio di ogni sorta di malattia – certi tumori inclusi – e aumentano la longevità.
Non tutte le fibre però sono benefiche uguali.
Anche se non c’è un accordo globale sulla loro classificazione, solitamente vengono divise in due categorie:
Quelle solubili sono più “morbide” e formano una sostanza simile al gel nell’intestino.
Quelle viscose aiutano a rallentare lo svuotamento dello stomaco e farci sentire più sazi, in particolare la famosa PECTINA. Notevole evidenza scientifica suggerisce che il consumo di pectina “può ridurre i livelli di colesterolo totale, LDL e moderare la risposta del glucosio” (Clark 2013, Brouns 2012).
E a differenza della frutta, le verdure contengono pochissima pectina.
Tutte le fibre solubili poi fermentano. Aspettate però a maledirle. “La maggior parte delle fibre che si consumavano nel Paleolitico erano quelle altamente fermentabili”, ci ricorda il Dr. Mercola.
Sono gli abitanti della flora batterica, nel digerire le fibre, a creare fermentazione.
Perché è una bella notizia?
Perchè dai prodotti di scarto della fermentazione otteniamo acidi grassi anti-infiammatori, più varie sostanze che nell’arrivare al cervello segnalano che abbiamo mangiato abbastanza e infine i prebiotici (con cui poi il corpo forma i più famosi probiotici). (Mercola 2014)
“A me però tutte queste fibre che fermentano gonfiano! Non so cosa dirti, ma a me la frutta fa venire una pancia da settimo mese!”, si lamenta sempre la mia vicina di casa Betta.
Lo so. Del perché sia una brutta notizia che le fibre della frutta fermentino parleremo nel capitolo 10, tutto dedicato alla pancia gonfia. E dovremo guardarci bene dentro…
VITAMINA P E FLAVONOIDI: UN GRUPPO ANTI-TUTTO !
La frutta ha molti primati: è il cibo più ricco di acqua, più ricco di antiossidanti, di varie vitamine, di pectina ecc. ecc.
Tempo di aggiungere un’altra medaglia alla sua buccia: insieme ad alcune spezie è la prima fonte di polifenoli nella nostra dieta. Questi micronutrienti preziosi hanno un ruolo sempre più chiaro nella prevenzione di malattie degenerative, tumori e obesità e si concentrano soprattutto sulla buccia (Manach 2004).
Resveratrolo, quercetina e antocianine sono forse i polifenoli che avete già sentito nominare, ma sono ben 5.000 quelli conosciuti.
Il sottogruppo più potente sono i flavonoidi (detta anche “vitamina P”).
Sono loro a dare alla frutta i suoi colori (Flavus in latino significa “giallo”). La loro potenza sta nell’essere un gruppo “ANTI tutto”: anti-tumorali, anti-ossidanti, anti-ipertensivi, anti-virali, anti-angiogenesi, anti-batterici, anti-allergici, anti-infiammatori, e pure neuro-protettivi! (Shashank 2013)
Anche le maggiori fonti di flavonoidi nella dieta sono i frutti freschi e crudi (con la cottura si arriva a perderne anche il 50-80%). La pianta li crea per proteggersi e per attirare gli insetti giusti. Ecco perché i frutti crudi e biologici ne contengono di più.
Non esiste ancora una dose minima raccomandata di “Vitamina P”, ma nei paesi occidentali ne consumiamo soltanto 150mg al giorno, e principalmente grazie al tè e al vino rosso (Yao 2004).
Una miseria. Si stima che ne servano almeno 1 g o 2 per fare la differenza.
Mangiando le porzioni di frutta consigliate al giorno, arriveremmo almeno a mezzo grammo.
E i fruttariani? Può darsi che invece eccedano?
Dosi molto alte di polifenoli come integratori (si parla anche di 100 grammi al giorno) “non sembrano causare seri effetti collaterali (tranne per il tè verde), dato che l’eccesso viene liberato nelle urine”. (HSNG).
All’arrembaggio quindi!
Ecco altri due flavonoidi molto comuni nella frutta. I frutti migliori? Come sempre le bacche del bosco! (Non l’avete ancora capito???).
ANTOCIANINE E PROANTOCIANIDINE: IMPRONUNCIABILI TESORI
Questi due flavonoidi dai nomi impronunciabili sono dei super anti-ossidanti, anti-infiammatori e anti-tumorali.
Ed è la frutta fresca ad esserne la più importante fonte. Ennesima medaglia!
La maggior parte degli ortaggi infatti non ne contiene.
L’origine greca del loro nome (kyáneos, cioè blu) ci fa intuire quali ne siano più ricchi: in primis i frutti di bosco, ma anche l’uva, la buccia delle mele e le melagrane.
“I polifenoli però non sono fibre. Cosa ci azzecca con quello che mi stai dicendo sui succhi di frutta?” mi ha chiesto spazientita la mia simpaticissima vicina.
Perché alcuni di essi, detti polifenoli non estraibili (NEEP), si appiccicano alle fibre come le figurine Panini al loro album. Se quindi buttiamo via le fibre come in un centrifugato o succo di frutta, addio anche a questi polifenoli.
“E’ un problema?”
Come spiega il Dottor Greger, fino a pochi anni i NEEP venivano ignorati, perché non possiamo assorbirli e quindi ci sembravano inutili, ma ora sappiamo che i batteri buoni del nostro colon vi fanno un banchetto, e in cambio della cena, ci ridanno alcuni di essi in versione che possiamo assorbire, con grande beneficio per la nostra salute (Jimenez 2013).
Mentre nei cereali troviamo in media 200mg di questi polifenoli salutari per ogni 100g di prodotto, nella frutta arriviamo a quasi 900mg. (Arranza 2009, 2010)
Un bel bottino. Una follia sprecarlo.
IN CONCLUSIONE
Le fibre della frutta sono preziose e non andrebbero buttate via, pena la perdita di preziose fibre e polifenoli utilissimi per la salute.
Questo discorso non vale per i neonati però. Come ricorda sempre il Dottor Proietti “il bambino lattante non dovrebbe assumere fibra perché va incontro a una ridotta assimilazione degli alimenti e quindi non cresce”, e infatti il latte della mamma non ne contiene affatto, e per i primi sei mesi è il latte materno l’unico alimento che un neonato dovrebbe assumere in esclusiva.
Tornando a noi adulti però, mangiamo in media troppe poche fibre e si stima che in una dieta standard solo il 10% di queste arrivi dalla frutta. Poi non ci stupiamo di tutti i problemi cronici che abbiamo.
E d’altra parte, i nutrizionisti ci dicono sempre di costruire i pasti attorno a un piatto di cereali, non di farci macedonie a pranzo.
Fa davvero meglio una piatto di spaghetti di una macedonia? O un panino col prosciutto che non un mono-pasto di datteri? Sono davvero squilibrati i pasti fruttariani rispetto a quelli standard, sia onnivori che vegani?
Lo giudicherete voi dai risultati del prossimo capitolo. Io intanto vado a farmi un frullato.
La mia vicina mi ha stressato l’anima anche oggi, e io ho bisogno di una coccola…
Aida Vittoria Eltanin
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