“Nella vita quotidiana io non sono quello che sono e sono quello che non sono.” Igor Sibaldi
Cos’è l’Io? Igor Sibaldi afferma che la parte di noi che crediamo di essere, ovvero tutto quello che sappiamo di sapere e di potere ma che non è tutto quello che sappiamo e possiamo, sia il cosiddetto “autòs”, corrispondente al “self” inglese. L’autòs che è estremamente conservatore vuole mantenere il controllo su di noi inducendoci per esempio a dimenticare i sogni, fonte di informazione preziosa per capire chi siamo davvero. L’Autòs sta nell’Aldiqua, ovvero nell’orizzonte della mente ordinaria e ci induce a credere che non vi sia nulla al di fuori di essa.
Scrive Sibaldi: “Vai avanti, entri nel tuo aldilà personale, e cominci ad accorgerti che puoi superare delle soglie che prima neanche vedevi, e fare passi da gigante: dipende solo da te, dal tuo coraggio interiore. Come trovare questo coraggio? Se ti accorgi che c’è una lotta tra te e l’Autòs e che ci vuole solo il coraggio per battere l’Autòs, impari anche come si fa a fare il coraggio. A quel punto puoi voltarti a vedere se qualcuno ti segue, ma non fermarti a spiegare agli altri, perche via via che sali ti accorgi che non è nemmeno una gran salita. È che gli altri, i molti – in mezzo ai quali c’eri anche tu fino a poco fa – stanno precipitando, e che parlare con loro è come parlare con un sasso che precipita nel vuoto. Per poter stare a portata di voce dovresti precipitare anche tu con loro, e non è tua intenzione. O no?»
Ne “Il libro della personalità” Sibaldi fa riferimento alla possibilità di rinascita attraverso il contatto con il divino che è in ognuno di noi. Possibilità che si attiva quando non si pensa né si sente più come un “noi”, ovvero in base a stereotipi collettivi di pensiero, ma come un Io, presente nel cuore di ciascuno, originale e irripetibile. Questa concezione di Sibaldi sembra cozzare con il tanto osannato “Uno”, secondo il quale, per come solitamente ci viene spiegato, siamo tutti la stessa cosa. In realtà “l’individualismo” di Sibaldi è necessario per arrivare autenticamente all’Uno. Non è un individualismo votato all’egoismo e all’auto-conservazione per timore di vedersi depredati di qualcosa, ma un individualismo sano, presupposto indispensabile per la condivisione stessa. Se non si passa attraverso questo tipo di individualismo, non c’è autentico “Uno” ma ipocrisia. L’io, dice Sibaldi, si trova solo dove c’è l’io e non si trova mai dove c’è un noi a priori.
L’Io è diverso dall’autòs
In un’intervista rilasciata al blog lapoesiaelospirito, Sibaldi afferma:
“…Utilissima, l’istituzione-chiesa lo è stata nel conservare tutta una serie di tradizioni, tecniche, ipotesi, costruzioni intellettuali elaborate dal I secolo d.C. fino al secolo scorso: è un patrimonio filosofico e psicologico straordinariamente importante… A me non interessa il «credere» così com’è inteso oggi nel cattolicesimo; a me interessa il conoscere e l’accorgersi, cioè la fede così com’era intesa duemila anni fa. La differenza è che il «credere» attuale consiste in un credere a qualcuno; il conoscere e l’accorgersi è invece qualcosa che può essere attuato solo in prima persona. Certamente. Occorre solo puntualizzare che il divino non è «in noi», se per «noi» si intende la coscienza che noi abbiamo di noi stessi; piuttosto, il nostro «io» è nel divino: nel senso che quel che sappiamo di sapere e di non sapere di noi stessi è soltanto una parte infinitesimale di ciò che non sappiamo di sapere di noi stessi e dell’universo intero. In tal modo, il nostro io cosciente è in un nostro Io molto più grande, il quale è a sua volta in un Io ancor più grande, e in un altro più grande ancora. Qui, senza dubbio, Bibbia e Vangeli sono vicinissimi a tradizioni più antiche, come quelle egizie e induiste: non tanto perché se ne siano lasciati consapevolmente influenzare (cosa che certamente è avvenuta), ma perché l’argomento di cui trattano è il medesimo, e le conclusioni a cui giungono sono, fortunatamente, concordi le une con le altre. Trarre da queste conoscenze antichissime elementi per una psicologia più profonda e più efficace di quella attualmente in uso in Occidente, è uno dei miei obiettivi più urgenti.”
Il concetto di Io di Sibaldi talvolta viene frainteso poiché lo si ritiene erroneamente egoico ma è sbagliato perché l’io profondo, che è amore e che partecipa della sostanza del Padre, è tutt’altro che prodotto dell’ego. Sibaldi afferma che laddove l’autòs agisce, l’io profondo non ha spazio. Riconoscendo l’Io profondo ci si apre all’Altro, che però non va confuso con il noi, che è invece prodotto di stereotipi e convenzioni sociali. L’io profondo è molto più ampio della percezione che abbiamo di noi stessi, perché esso è il divino presente in ognuno di noi. Se tutti gli io profondi partecipano di questa parte divina, quando vi accedono possono riconoscersi gli uni con gli altri ed essere Uno.
L’unione autentica c’è, quindi, solo se il singolo individuo, dopo essere disceso nel proprio io profondo, riesce a connettersi con l’io degli altri, ben diverso dal “noi” che corrisponde alle comunità organizzate secondo regole e stereotipi stabiliti dal gruppo, che privano l’individuo della libertà di pensare e sentire a modo proprio.
Laura De Rosa