“La vacuità è ciò che ci permette di aprire gli occhi per vedere direttamente che cos’è l’essere. […] Dobbiamo assumerci la responsabilità dei risultati di ciò che abbiamo fatto, ma l’obiettivo finale è quello di non farci ossessionare dal risultato, che sia buono, cattivo o neutro. È questo che chiamiamo vacuità. Questo è il significato principale della vacuità.” Ritorno al silenzio di Dainin Katagiri
Una mattina ti svegli con una sensazione di vuoto che non sai spiegare e più nulla ti sembra degno di importanza. E’ difficile conviverci perché, da occidentale, non sei abituato a fare spazio, ti è più congeniale riempire. Temi di essere diventato nichilista, cinico, insensibile, mascheri la sensazione concentrandoti sulle incombenze quotidiane. Eppure rimane lì, dentro di te, a tratti si manifesta, la scacci via, ritorna. Passano i giorni e ti accorgi che non è momentanea. La vacuità è entrata nella tua vita, fedele compagna. Perché? La vita scorre e ciò che prima faticava a decollare, come per magia inizia a dare frutti. L’assenza di attaccamento ai risultati, la mancanza di aspettative favorita da quel senso di vuoto, anziché bloccare il tuo progresso gli danno un’accelerata. Che sia merito della vacuità?
Cos’è la vacuità nel Buddismo
La vacuità è normalmente associata al non-senso, al vuoto, all’inutilità, al nichilismo. Il dizionario la descrive come “caratteristica di ciò che è vuoto”, “mancanza di contenuti logici, di valori morali”. Sentirsi vacui, secondo la concezione occidentale, è spiacevole perché il vuoto è destabilizzante. Eppure la vacuità è elemento centrale della dottrina Buddista che in essa riconosce una fonte di liberazione anziché una forma di nichilismo. Liberazione progressiva dall’egocentrismo. La vacuità indicata dal Buddha è la famosa via di mezzo, che riconosce un’esistenza intrinseca a tutti i fenomeni.
Il concetto di vacuità ha iniziato a incuriosirmi quando è entrato di soppiatto nella mia vita. Dopo una fase di malinconia e sottile cinismo caratterizzata dall’assenza di stimoli, la creatività ha preso l’impennata facendomi partorire idee originali, che si sono rivelate inaspettatamente buone e costruttive. Idee nate in modo spontaneo su cui non nutrivo alcuna particolare aspettativa e che forse, proprio per questo, sono sbocciate più rapidamente di altre. La sensazione è che fosse la vacuità a orientarmi. Di lì a breve ho scoperto che per il Buddismo la vacuità è molto importante.
“La cosa importante è non farci prendere dall’ossessione o dalla fissazione per i risultati che vediamo, sentiamo e sperimentiamo. Tutti i risultati, buoni, cattivi o neutri, vanno accettati fino in fondo. Non dobbiamo fare altro che seminare buoni semi giorno dopo giorno, senza lasciarne traccia, senza creare alcun attaccamento” si afferma nel Ritorno al silenzio di Dainin Katagiri. Su liberamenteservo si legge “nella terminologia Sanscrita il termine Vacuità si esprime con SHUNYA o SHUNYATA’, che letteralmente significano Vuoto e Vuotezza. Abbiamo però visto che questo Vuoto si riferisce esclusivamente alla caratteristica ‘vuota’ dello spazio che quindi, proprio per questa ragione, può accogliere in sé la ‘piena’ possibilità della manifestazione”.
Quindi la vacuità, grazie al vuoto, libera spazio per la manifestazione delle possibilità. E’ un “vuoto riempibile”. Altro che nichilismo! SHUNYATA non comporta l’eliminazione totale dell’Io, l’annichilimento, e non è “qualcosa”. “‘Vacuità”, continua liberamenteservo, “sta a indicare l’inconoscibile condizione di PRIMA dell’esistenza, cioè lo STATO VUOTO, il quale nella sua realtà, rimane sempre simile a se stesso, anche quando, e se, verrà riempito da cose esistenti.”
La vacuità, l’Io e la compassione
La vacuità, nello Zen, aiuta a comprendere che, essendo tutti i fenomeni interdipendenti, l’Io non può essere indipendente da tutto, come appare in una prospettiva egocentrica, ma è prodotto di tante altre cose, esiste in una rete di relazioni in continuo cambiamento. L’egocentrismo risulta pertanto illusorio per quanto appaia solido, inducendoci a difenderlo strenuamente poiché inconsapevoli dell’inesistenza di un sé intrinseco.
In “Cos’è la vacuità” di Bernie Glassman si legge, “nella prima parte del nostro studio comprendiamo come tutti i fenomeni non sono che vacuità, non sono che l’Unico Corpo. Dio, fiori, alberi, letame, insetti, vermi e farfalle sono l’Unico Corpo. Avendo visto tutto come l’Unico Corpo, lo consideriamo poi come l’insieme delle differenze, ed è questa la seconda parte dello studio. Nella terza parte, comprendiamo la relazione: vacuità e differenze si equivalgono. Quando vediamo che la forma è vuota e la diversità è unità, quando comprendiamo veramente cosa significhi, conseguiamo prajna. Ma ricordate che, se ne abbia coscienza o no, siamo essenzialmente prajna. Siamo tutte le cose, ma dobbiamo realizzarlo, dobbiamo farne esperienza.[…] Quando capiamo chiaramente che la vacuità è forma, che l’unità è tutte le forme, realizziamo la compassione. Ogni fenomeno nella vita è unità, ogni fenomeno nella vita è me. La compassione implica che non siamo più attaccati al mondo del Nirvana. […]” .
Che sia il caso di rivalutare la vacuità?
Laura De Rosa