Viviamo in un tempo così stretto che ogni azione viene compressa e descritta in lassi di ore o spesso minuti. Viviamo giornate talmente programmate che sembrano piani di difesa studiati dai migliori generali per limitare, evitare o raggirare l’ipotesi di un imprevisto che possa fare breccia nel muro autoimposto dei nostri doveri. C’è un legame biunivoco e distruttivo fra il concetto di tempo e quello di dovere. Abbiamo tutti una tabella di marcia per una quotidianità che non lascia mai (o lascia poco) spazio alla scelta e all’immaginazione.
Non si tratta qui di essere utopici: ci sono responsabilità che, nella società basata su capitalismo, produzione e profitto nella quale viviamo, vanno portate a termine. Forse solamente in comunità ristrette si riesce a pensare ad un’alternativa meno tirannica basata sul mutuo aiuto, sullo scambio, o comunque su una possibilità di auto sostentamento che sia vissuto in modo genuino e autentico e che permetta alle persone di valutare come spendere il loro tempo.
Il problema principale è che ci sentiamo schiavi di un tempo sul quale vorremmo esercitare il ruolo di padroni, e la vita e ciò che siamo “essenzialmente” scivolano fra le nostre dita come sabbia finissima; perennemente incastrati in una lotta che potrebbe non essere tale se si riuscisse a fare del tempo – per lo meno quello che ci resta dopo una giornata al lavoro, troppo spesso già esercitando un’attività denigrante per i nostri talenti, nel senso che non valorizza e onora le potenzialità del singolo – uno strumento per crescere, realizzarsi attraverso la sperimentazione, mettendosi in gioco, mettendosi alla prova, prendendosi meno sul serio, smettendo di preoccuparsi di essere perseguitati dal ticchettio di un orologio in lontananza e godendo invece del ticchettio del battito di un cuore, per una corsa che si fa con l’entusiasmo di sfogarsi e ricaricarsi, per una risata a crepapelle, dopo aver fatto l’amore, per l’emozione di veder completato un quadro o un disegno che si dipinge per passione.
Ci sono tanti modi per onorare la vita che custodiamo nelle nostre vene e forse proprio il primo passo da fare in questa direzione é quello di comprendere (nella migliore delle ipotesi) quanto sia il tempo che realmente abbiamo a disposizione durante le nostre giornate e quali sono davvero i modi in cui vogliamo sfruttarlo. Perché il tempo passa inesorabile ma rappresenta in ogni millesimo di secondo il seme di un’opportunità.
Riscoprire il valore del nostro tempo riempiendolo di sostanza invece che di superficialità o di doveri imposti é una forma di consapevolezza, è una fonte di gioia al pari o superiore di qualsiasi forma di ricerca trascendentale. Viviamo con l’ansia perenne di “sprecare tempo” ma lo spreco non deriva dal fare o non fare, quanto più dalla non-presenza di noi stessi nell’attimo che viviamo.
É un invito a recuperare la tabella di marcia che abbiamo inserito nel nostro cervello alla voce “doveri” e apportare modifiche magari piccole, magari stravolgenti, che cambino un “faccio questo o quello” perché per qualche ragione mi sono convinto che devo soltanto, e mi lascio invece travolgere dalla meraviglia di una proposta improvvisa ma eccitante, o di un’attività di cui torno a percepire il gusto e la ragione per la quale la si amava fare, quando compierla non era un dovere ma un atto d’amore verso un impegno che riportava in contatto con la parte positiva e profonda di se stessi.
Concedi a te stesso il regalo più grande che potresti sperare, per un compleanno che per chiunque si compia oggi, nel momento in cui ti sentirai toccato da queste idee e vorrai sfruttare tutto il tuo tempo per riscoprire la meraviglia in te stesso, o allo stesso modo, nel caso in cui crederai che tutto ciò sia utopico e irrealizzabile perché, pur volendolo, non potresti realizzare nessuno dei tuoi sogni nel cassetto. Se così fosse, prova per lo meno a vivere con gioia quel tempo che – perché non puoi o forse realmente non vuoi – usare un altro modo. Giovani o vecchi, nessuno può sapere con esattezza quanto tempo si avrà da vivere su questo meraviglioso pianeta e l’invito da fare nei confronti di se stessi e del dono dell’esistenza è proprio quello di passare dalla teoria alla pratica, esercitando in modo consapevole il nostro fugace potere sul tempo, per onorarlo nel migliore dei modi, concretamente, anche valutando le responsabilità che determinano la sussistenza nostra o della famiglia.
Magari rivalutare il fatto che fuori da una giornata di lavoro standard si ha la possibilità di scegliere come, con chi, dove passare il resto del tempo potrebbe essere un incentivo per dare anche un nuovo significato a quel lavoro standard che nonostante le difficoltà, permette di fare “altro”, di non vivere come automi e di smetterla di giustificarci di non poter fare qualcosa quando ciò che manca è la componente della volontà trainata da una gioia, da un entusiasmo, da un progetto che finalmente non sia un dovere ma la traduzione in atto di un desiderio, di una passione, di un’intensità, di una volontà che si risveglia assieme all’essenza dell’essere.
Di Chiara Pasin