Esiste un luogo nel sud del mondo, precisamente nella Repubblica Democratica del Congo, dove le donne che diventano madri per la prima volta vengono elette “regine”.
Le madri come regine sono le donne della popolazione pigmea Ekonda, una sorta di rituale che serve a proteggere il neonato e la sua mamma, in modo che il loro spirito si elevi e la loro famiglia acquisisca prestigio; la giovane madre, che di solito ha tra i 15 e 18 anni, viene tenuta in isolamento, tornando nella casa dei suoi genitori, per un periodo che va dai due ai cinque anni, e qui starà col suo bambino e altre donne senza avere contatti col marito che andrà alla ricerca di una dote per la moglie.
In questi cinque anni lei verrà trattata come una regina, non dovrà lavorare, non dovrà cucinare o avere relazioni sessuali, perchè i Pigmei ritengono che il seme maschile avveleni il latte materno, ella sarà nutrita e accudita mentre svolgerà la sua unica funzione, quella di madre, perchè il più importante momento nella vita di una donna è la nascita del suo primo figlio.
L’unica attività permessa alle madri come regine è l’intreccio dei cesti di vimini da fare insieme al bambino.
Queste donne vengono chiamate walè che letteralmente significa “donna primipara che allatta“, coprono il loro viso e il loro corpo con una polvere rossa derivata dal legno ngola perchè tenga lontane malattie e dolori.
Quando termina il periodo di isolamento la Walè mette in scena un rituale che ha preparato durante il corso dell’ultimo anno, dove viene rappresentata, con uno spettatolo di canti e danza, la storia della propria solitudine, dove loda se stessa e discredita le Walé rivali e dove vengono narrate le lezioni imparate nel periodo di isolamento.
Le donne dopo questo rituale e questo isolamento tornano alla loro vita più forti e mature e acquisiscono lo status di vere madri. Loro sostengono che ne vale la pena anche se è un’esperienza faticosa e ricca di insidie e tentazioni.
Questi rituali sono stati catturati dal fotografo francese Patrick Willocq in un progetto intitolato “I am Walé respect me”, aiutato da di Martin Boilo, etnomusicologo congolese, per non far sparire questa tradizione che fino ad ora viene tramandata solo oralmente.
La sua opera si può definire un reportage al confine con una testimonianza artistica, dove ritrae le madri come regine all’interno di scenografie costruite ad hoc sulla base di quello che le donne stesse volevano raccontare alla comunità con l’aiuto di musicisti e artigiani.
Willocq accompagna il suo lavoro con queste parole:
“Sono sempre stato affascinato dalle tribù indigene perché sento che esse sono custodi di una forma di ricchezza che noi abbiamo irrimediabilmente perso. Il rituale del Walè è un meraviglioso tributo alla maternità, alla fertilità e alla femminilità”. “Ho proposto ad alcune donne Walè che conosco da anni di partecipare a una sorta di messa in scena in grado di testimoniare una parte della loro storia personale, un vero e proprio tableau vivant, per documentare una parte di questo loro viaggio, in cui ogni immagine è la rappresentazione visiva di un pensiero intimo che canteranno, legato al giorno in cui usciranno dall’isolamento”.
Un esempio di questo rito è quello di Walé Asongwaka: “Ogni notte, alle 22, sento passare un aereo sopra la giungla. È lontano e non si riesce a vederlo. Ma il rombo si sente per cui sai che c’è”. Così Asongwaka canta che un giorno avrà tanti soldi e salirà su un aereo. “Voi non li avrete. Io sì”. E quell’aereo è realmente riuscita a prenderlo, per andare in Francia a partecipare alle esposizioni del progetto fotografico, ha vissuto la più grande esperienza della sua vita, fuori dalla portata della maggior parte delle Walé.
Il marito sta lontano diverso tempo e in questo periodo deve cercare la dote per la moglie perchè quando finisce il periodo di isolamento, le Walé devono possedere molti beni materiali, borse, vestiti, scarpe.
Il marito deve andare a lavorare per guadagnare soldi in città vicine per acquistare questi beni, con il rischio di far passare alla giovane moglie più tempo in isolamento (3-5 anni) o di abbandonarla perchè stanchi di provare.
Cosa pensate di questa tradizione della popolazione pigmea Ekonda che vede le Madri come Regine? Voi riuscireste a vivere questo periodo di isolamento dal vostro uomo per dedicarvi interamente al vostro bambino? Si può parlare di elevazione della donna o di segregazione? Di sicuro è l’elevazione della maternità e della donna come simbolo della stessa, l’icona della creazione che va rispettata e onorata.
Per vedere tutte le affascinanti foto del progetto visitate la pagina del fotografo patrickwillocq.com
Valeria Bonora