I bambini arcobaleno sono una realtà vista in modo strano dal mondo un po’ retrogrado di quelle persone che devono sempre definire tutto, che devono sapere dove inquadrare un soggetto.
Mia figlia non ha mai voluto giocare con le Barbie, non ha mai voluto le Winx e non ama neppure Hello Kitty nonostante abbia molti oggetti regalategli da parenti che, fissati dall’idea che è un simbolo amato da tutte le bimbe, non può non piacerle… Eppure datele un Super Mario, un monopattino e la farete felice, c’è stato anche un periodo in cui aveva la passione per i dinosauri e i draghi e le macchinine, eppure mia figlia non è un’aliena, ha solo la possibilità di scegliere con cosa giocare senza appoggiarsi a stereotipi che la definiscono.
In fondo è da sempre piuttosto ribelle, un po’ come sua mamma in fondo, anche io mi sono sempre discostata molto dagli stereotipi e non mi disturba che a lei piaccia giocare a nascondino piuttosto che servire il thè alle bambole.
E non è una bambina dal “genere non conforme“, come potrebbe venire definita, ha ben chiara la sua identità, a scuola gli piacciono i maschietti e nonostante odi le gonne non disdegna collanine e anellini molto fashion… come tutte le bambine della sua età. Ci sono però anche dei bambini che non sanno ancora definire il loro “genere”, e così dall’America arriva la definizione di “bambini arcobaleno“.
Bambini arcobaleno: chi sono?
Ma io credo che anche questa sia un’etichetta, i bambini devono essere bambini, non merce da etichettare, se vogliono giocare con le macchinine o i soldatini piuttosto che con le bambole o viceversa preferiscono truccarsi e provare le scarpe di mamma piuttosto che giocare a calcio, non vedo perché definirli in un modo diverso da “bambini”, questa è l’unica etichetta che dovrebbero avere: BAMBINI.
Non arcobaleno, non femmine, non maschi, non azzurro, non rosa, non verde, ognuno deve poter giocare, esprimersi, crescere come meglio crede e quando la società imparerà questo non ci sarà più bisogno di chiamare un uomo gay o una donna lesbica, o eterosessuale, ci saranno solo le persone, e come tali saranno trattate, niente più manifestazioni, niente più problemi o discriminazioni, se cominciamo già da bambini a discriminarli, a etichettarli come qualcosa di non normale allora siamo noi a sbagliare, siamo noi che li separiamo dal gruppo, non è matematica, gli insiemi non devono per forza essere riempiti, non sono due o tre, esiste un solo grande insieme ed è composto da bambini.
Lori Duron, una casalinga americana, ha creato Raising my raimbow, un blog in cui si parla di questi bimbi dal genere non definito, ha un figlio che ama truccarsi e gioca con i cavallini, e allora? Ha scritto anche un libro, “diventato punto di riferimento per l’educazione colorata“. Ma non è che per caso l’educazione dovrebbe essere rivolta ai genitori? Sono i genitori che vanno educati, la società stessa!
Va bene: il libro spiega come insegnare ad essere se stessi, come non influenzare le scelte dei bambini, eppure io ci vedo ancora una sorta di discriminazione, questi dovrebbero essere insegnamenti base da dare ai figli, a tutti i figli che crescendo tendono ad emulare i propri idoli, a imitare questo o quel cantante o divo, che si mimetizzano nella società perdendo la loro identità. Non è un problema di genere, ma di educazione.
Ognuno dovrebbe avere la libertà di diventare quello che davvero è, indipendentemente dal genere, indipendentemente dalla società. E un’etichetta per chi ancora non sa cosa vuole essere mi pare un’idea simile a quella di metterlo in un gruppo piuttosto che in un altro… per la serie aspettiamo, vediamo come si evolve, sarà maschio o sarà femmina? Ma chi se ne frega!!! Sarà quello che vorrà essere, dottore, insegnante, biologo, avvocato, parrucchiere, designer, operaio indipendentemente dal giocattolo che sceglie!
In Danimarca i cataloghi dei giocattoli non fanno più la distinzione di genere, i giocattoli sono per bambini, non per etichette.