Questa è la storia di Emanuele Campostrini, “Mele”, di sei anni con una malattia dal nome impronunciabile «encefalopatia epilettica farmacoresistente con componente spastico-distonico-discinetica, ipotonia assiale grave, tetraplegia aposturale, deficit del complesso I della catena respiratoria mitocondriale»… e si è anche lunghissima e senza un acronimo che possa semplificarne l’esplicazione.
Praticamente Mele soffre di una malattia metabolica che non gli permette di di compiere nessuna azione da solo, non può giocare, non può mangiare, e riesce a stare seduto solo grazie ad una poltroncina fatta su misura per lui ed è proprio su di essa che Mele riesce a dipingere ed esprimere se stesso.
Sul sito Mele’s Art si racconta di lui:
«Mele è tetraplegico e il suo corpo è abbandonato come quello di una bambola di panno, ma conserva la mobilità delle mani e del capo. Ha continui movimenti involontari. Non riesce più a mangiare e viene nutrito con un sondino nasogastrico. Ogni giorno ha crisi epilettiche di gravità variabile. A volte perde conoscenza, deve essere aspirato meccanicamente e rianimato con un pallone autoespansibile o con la respirazione bocca a bocca».
A parlare di Mele è la sua mamma Chiara Paolini che definisce i quadri del figlio come opere che esprimono la gioia e la vitalità della sua anima. Chiara accompagna ogni dipinto di MEle con la descrizione della fatica voluta per crearlo e questi quadri con queste descrizioni ora fanno parte di una mostra intitolata «La vita dipinta di Mele» allestita nella basilica della Santissima Annunziata di Firenze dove sarà presente fino all’11 Maggio.
«Inizialmente i frati avevano risposto di no, che non si poteva ospitare la mostra di un bambino in quel “luogo della pittura mondiale”. Ma quando hanno visto il materiale che ho inviato loro via mail, mi hanno subito richiamata per dire che assolutamente la mostra andava fatta, perché Mele è un maestro dell’arte aniconica».
Emanuele dipinge da quando aveva tre anni.
«La sua malattia è sempre lì, non torna indietro. Crisi epilettiche e arresti respiratori ogni giorno, non cammina, non parla, non può fare niente da solo. Però questo talento era lì, aspettava di essere scoperto. Gli abbiamo dato la possibilità di manifestarlo ed è uscito fuori l’artista che era in lui. […] Questa mostra non vuole essere un riscatto per la famiglia, come qualcuno ha detto, né un tentativo di riqualificare la persona in base a quello che riesce a fare, come spesso provano a fare giornali e televisioni quando parlano di disabilità. Con Mele è avvenuto esattamente il contrario: gli abbiamo dato valore per quello che era e così è riuscito a dimostrare ciò che sapeva fare».
«Il fratello maggiore di Emanuele aveva 5 anni e le maestre della materna si lamentavano che colorasse male, uscisse dai bordi, non riempisse gli spazi bianchi. Così, un giorno, sono uscita e gli ho comprato tempere e una tela. Poi ho pensato che, avendo due figli, dovessi comprarne due, di tele. E così ho fatto. I bambini hanno dipinto senza vestiti, con i pennelli ma soprattutto con le mani e con tutto il corpo, liberamente. E il quadro di Mele ci è sembrato subito bello».
Da quel giorno, Mele non ha più smesso di dipingere.
«Lavora soprattutto in primavera ed estate, quasi sempre in giardino, perché usando tutto il corpo con i colori, mi distruggerebbe casa! Utilizza il pennello, ma molto di più le mani e tutto il corpo. A volte sta seduto sulla sua poltroncina, altre volte lo dobbiamo tenere sospeso, sulla tela distesa a terra, e spostarlo sopra di questa. È molto faticoso, ora che è diventato grande».
Mele non sa prendere da solo i colori, né dire cosa gli occorre, ma la mamma riesce a interpretare le sillabe che pronuncia o i gesti imprecisi delle sue mani, per cui gli dà tutto quello che gli serve per realizzare sulla tela ciò che ha nella mente.
«L’ultima volta che ha dipinto è stato a marzo, di ritorno dalla vacanza sulla neve. Aveva sciato, era stata una grande esperienza, che subito ha voluto riportare sulla tela, dipingendo quattro quadri sullo stesso tema».
Chiara parla del catalogo delle opere esposte alla mostra:
“E’ un catalogo molto bello che raccoglie tutti i dipinti di Mele dal 2011 al 2013. Abbiamo voluto chiuderlo con la traduzione di un’omelia del cardinale von Galen contro lo sterminio nazista dei disabili. Un’omelia molto coraggiosa, per i tempi in cui è stata scritta”.
Un’altra particolarità della mostra è la traduzione dei titoli delle opere, non solo in inglese, ma anche in Wls, un linguaggio simbolico (Widgit literacy symbols) utilizzato nella comunicazione aumentativa alternativa (Caa).
Ed è sempre Chiara a spiegarne il motivo:
«Abbiamo iniziato questo percorso due anni fa presso il Mangiagalli di Torino e abbiamo scoperto quanto sia importante questo tipo di comunicazione per bambini come lui. In particolare negli ultimi tempi stiamo sperimentando, su consiglio dei medici, il puntatore oculare, che permette a Mele di comunicare senza fare troppa fatica e con l’ausilio di un computer. È un’esperienza straordinaria, perché la macchina non imbroglia: l’ausilio freddo, ma obiettivo, ci sta confermando che Mele ha davvero molto da dire. Noi già capivamo bene quello che diceva, ma ci veniva, a volte, il dubbio di interpretarlo male. Questo tipo di comunicazione spazza il campo da ogni scetticismo e restituisce autonomia e dignità alla persona».
[Fonte Redattore Sociale]