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Il Genocidio Ruandese Raccontato dalle Foto di James Nachtwey

Di Valeria Bonora - 9 Aprile 2014

Nel 1994 fotografo James Nachtwey ha vissuto attraverso i suoi occhi gli effetti devastanti del genocidio ruandese. Per l’anniversario dei 17 anni, il fotografo regala una carrellata di immagini sulla tragedia e fa alcune riflessioni, ora di anni ne sono passati 20, ma le sue parole sono come lame nel buio e non si possono non ascoltare.

Gli esseri umani fanno la guerra e fanno la pace. Noi facciamo l’amore e facciamo l’odio. L’odio e la paura sono gli assassini. Per orchestrare l’odio e la paura gli esseri umani fanno un genocidio. I colonialisti europei hanno utilizzato la paura e l’odio per creare una profonda frattura in Ruanda per dividere e conquistare. Non fu possibile guarire certe ferite e divenne una sorta di sottofondo per la società, anche molto tempo dopo che i bianchi lasciarono il paese. Nel 1994, l’inimicizia tribale tra Hutus e Tutsis era politicamente manipolata fino a raggiungere una fase critica. Tra 500.000 e 1 milione di persone furono abbattute nel giro di tre mesi con attrezzi agricoli come armi. Gli omicidi da parte Hutus furono commessi faccia a faccia, vicino-contro-vicino, e talvolta anche fratello-contro-fratello.

Il numero riportato più spesso è 800.000. E’ un grande numero. Cercando di immaginare 800.000 persone con la testa sfondata da attrezzi di pietra, impalati su lance, violati a morte con zappe e macheti – in soli tre mesi – stordisce la mente, e lottiamo per estorcere un significato dalle parole come “biblico” o “apocalittico”.

Come avevano fatto in Bosnia, invece di inviare più truppe per evitare gli spargimenti di sangue, le forze di pace delle Nazioni Unite si fecero da parte. A causa della disastrosa operazione militare in Somalia, i nostri leader politici presero la decisione consapevole di non usare quella parola che avrebbe dato un motivo – “genocidio” – d’obbligo per intervenire, implicito nel linguaggio stesso. Mentre il mondo voltò le spalle, il genocidio gli avvenne davanti gli occhi. Successivamente, furono fatte scuse pubbliche, cosa rara per i politici, ma il gesto non riportò la vita a neppure un singolo ruandese.

Più tardi, quando l’esercito e le milizie di Hutus si spostarono in Zaire (l’attuale Repubblica Democratica del Congo) per sfuggire alle forze Tutsis che avanzavano, più di 1 milione di persone attraversarono la frontiera in un solo giorno. Trovarono rifugi di fortuna sulle rocce, nella terra vulcanica, dove era impossibile trovare acqua pulita, scavare latrine o seppellire i morti. In pochi giorni un’epidemia di colera li colpì. Furono decine di migliaia i morti in poche settimane. Sepolture di massa furono effettuate utilizzando delle ruspe. Un numero imprecisato di bambini rimasero orfani ed abbandonati. Le agenzie internazionali di soccorso arrivarono a Goma per cercare di arginare la marea dell’epidemia.

I responsabili del genocidio si nascosero fra i civili all’interno dei campi. Organizzare i soccorsi era impossibile. Non potevano distinguere chi fosse un assassino da chi era solo uno scudo umano, furono costretti a curare tutti. Ironia della sorte, la comunità internazionale che si era allontanata dalle sue responsabilità durante il genocidio era costretta a venire in soccorso di coloro che avevano commesso tali atrocità.

Tutto questo accadde nel periodo in cui Nelson Mandela divenne presidente del Sud Africa, come se da qualche inferno metafisico il meglio che l’umanità poteva offrire fosse stato compensato da ciò che di peggiore si poteva immaginare. Questo fu il nostro mondo allora, questo è il nostro mondo oggi.

Abbiamo esempi da entrambe le parti dello spettro delle aspirazioni umane. Riusciremo a ottenere qualcosa dalle lezioni insegnate dalla nostra storia? Se non lo facciamo noi, chi lo farà?

James Nachtwey è un fotografo del Time, documenta guerre, conflitti e questioni sociali critiche. Nachtwey fu uno dei primi fotografi che arrivò nel nord del Giappone, per fotografare gli effetti devastanti del terremoto del 11 marzo e dello tsunami del 2011.

Di seguito alcune delle sue foto più crude del genocidio ruandese.

[Fonte Time.com]

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