Quando si parla di ecovillaggi ci si riferisce a quel tipo di comunità basata esplicitamente sulla sostenibilità ambientale e biologica.
In un ecovillaggio, generalmente, l’adesione dei partecipanti e volontaria, proprio per una necessità e un’esigenza di vivere secondo modelli di sostenibilità ecologica, socioculturale, economica, che ne sostiene la nascita, l’insediamento nel territorio e il conseguente sviluppo nel tempo.
I nuclei abitatativi in un ecovillagio sono progettati per ridurre al minimo l’impatto ambientale. Questi possono essere di vari tipi: dalle case antiche in pietra alle più rivoluzionarie case in lamellare di legno coibentato.
Tutti i residenti, inoltre, vivono impiegando energie rinnovabili, mentre la loro autosufficienza alimentare è basata su permacultura o altre forme di agricoltura biologica. Ogni residente può disporre di una porzione di giardino, di orto, di oliveto, di frutteto, di bosco, di circa 2.000 mq. Soluzione, questa, che oltre ad essere di grando impatto ambientale, permette anche di ridurre ulteriormente i costi.
Ogni ecovillaggio tende al massimo dell’autosufficienza, in modo da soddisfare il più possibile, al suo interno, ogni esigenza dei suoi membri, quali lavoro, svago, espressione di sé, educazione, bisogni affettivi, etc.
In sintesi possiamo dire che la realtà degli ecovillaggi intende dar vita a nuove forme di convivenza, tali da rispondere all’attuale disgregazione del tessuto familiare, culturale e sociale della condizione postmoderna e globalizzata.
Esso, infatti, si presenta come un modello sostenibile, sul piano economico, sociale ed ecologico (uso di energie rinnovabili e tecnologie appropriate, difesa dell’ambiente e dell’economia locale, e quant’altro).
Quello che si vuole proporre e sperimentare, dunque, è uno stile di vita alternativo ai classici e comuni modelli socio-economici più diffusi.
Di ecovillaggi ce ne sono migliaia in tutto il mondo. L’area più ricca di ecovillaggi nel pianeta è senza dubbio il continente americano: conta circa 2.000 comunità, il 90% delle quali si trova negli Stati Uniti.
In Europa, invece, si segnalano la Gran Bretagna e l’Irlanda con 250 comunità, seguite da Germania, Francia, Paesi Bassi, Spagna e Portogallo.
In Italia, invece, se ne contano una quarantina, e la mappa con tutti gli ecovillaggi italiani potete trovarla cliccando qui.
Una importante spinta allo sviluppo degli ecovillaggi si ha nel 1995, con la fondazione della Global Ecovillage Network (GEN), un’associazione che promuove la conoscenza e l’interscambio di informazioni tra i diversi ecovillaggi presenti nel mondo.
Nel 1996, invece, nasce la Rete Italiana dei Villaggi Ecologici (RIVE), in occasione del convegno “Ecovillaggi: una soluzione per il futuro del pianeta”, organizzata dall’Amministrazione Comunale di Alessano e dal Centro Studi Cosmòs di Milano.
Dopo quell’incontro, cui hanno partecipato due rappresentati di spicco del movimento comunitario europeo John Talbot (direttore del dipartimento Bioedilizia della Comunità di Findhorn) e Declan Kennedy (direttore dell’Ecovillage European Network), è sorta spontanea l’esigenza di creare una rete permanente di collaborazione tra comunità, progetti, associazioni e singoli interessati allo sviluppo dell’idea comunitaria.
Da allora, poi, la rete è cresciuta diventando il più importante riferimento italiano in materia di ecovillaggi e vita comunitaria.
Vivere rispettando l’ambiente è qualcosa di realmente possibile, ma tutto deve partire da noi: questa non è altro che l’ennesima dimostrazione. Ma bisogna vivere solo in un ecovillaggio per seguire questi principi?
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