Possiamo dirlo: l’unico Paese al mondo che sembra non essere sfiorato neppure lontanamente dalla crisi economica internazionale è la Cina.
Ma non è tutto ora quel che luccica. Dietro al grande mercato cinese, infatti, si nasconde purtroppo una crudele realtà.
Non è una novità, lo sappiamo bene, ma qualche volta dovremmo davvero fermarci e metterci a riflettere su quanto succeda nel resto del mondo, in questo caso nei paesi asiatici.
Violenza, violazione dei diritti umani e dei lavoratori. Sono queste le parole chiavi che si nascondono dietro il mercato cinese.
Le condizioni in cui sono costretti a lavorare gli abitanti della Cina negli stabilimenti delle grosse multinazionali sono a dir poco raccapriccianti, ma di questo il mondo occidentale non sembra preoccuparsi, impegnato solamente a contrastare le esportazioni delle merci cinesi in Europa e negli Stati Uniti.
Parlare di “sfruttamento”, di “schiavitù”, sembra essere addirittura superfluo. Ogni operaio deve sottostare ad orari davvero assurdi per paghe davvero ridicole: un operaio che lavora 100 ore settimanali, senza nessun giorno di riposo, per esempio, guadagna al massimo 900 yuan (88 euro circa). Non sono rari i casi in cui i datori di lavoro negano o dilazionano nel tempo i pagamenti ai loro dipendenti. Per di più, gli straordinari non sono retribuiti.
L’assistenza sanitaria, “ovviamente”, non esiste, nonostante i frequenti e numerosi incidenti. Alcuni operai, per esempio, sono morti schiacciati dai macchinari, altri feriti gravemente o mutilati alle mani ed alle braccia.
Come se non bastasse, alcuni dipendenti sono addirittura minorenni. La battaglia contro lo sfruttamento minorile è ardua e spesso impossibile da sostenere di fronte ai precari equilibri economici che condizionano le famiglie povere di vaste aree della Cina. Far lavorare i minori, dunque, spesso diventa una “scelta obbligata” per quelle famiglie cinesi che non navigano sicuramente nell’oro.
Ma non finisce qui. Gli operai, infatti, spesso dormono per terra, nella stessa fabbrica dunque, o mangiano sul posto di lavoro.
A completare questo quadro disarmante ci sono i servizi igienici, praticamente inesistenti, e le inalazioni di sostanze chimiche tossiche.
Spesso ci preoccupiamo della tossicità dei materiali a cui esponiamo noi stessi e i nostri figli, dal piombo alle vernici tossiche, passando per il BPA, ma non pensiamo a cosa sono esposti i lavoratori che le maneggiano direttamente nelle fabbriche in cui lavorano. Tra l’altro, spesso, la maggior parte di questi dipendenti non ha accesso nemmeno a guanti o mascherine di base per proteggersi.
Insomma, una condizione di lavoro insostenibile, anche per gli instancabili cinesi.
E dunque proprio in prossimità delle feste natalizie, periodo in cui scatta la corsa all’acquisto di giocattoli da regalare ai bambini (il mercato cinese produce il 75% dei giocattoli del mondo), fermiamoci a riflettere: vale davvero la pena acquistare dei prodotti che alle spalle hanno una “storia” così crudele? Possiamo davvero donare un sorriso o la felicità a un bambino solo sulle spalle di un tale sfruttamento? Non possiamo trovare dei mezzi alternativi?
Riflettiamoci, davvero. Intanto, per rendervi maggiormente conto della situazione, ecco qualche scatto del fotografo Michael Wolf nel suo album “The Real Toy Story“, che ci aiuta un po’ a capire meglio in quale condizioni vivono questi poveri operai.
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