Esistono governi che fanno scelte sbagliate o giuste, confini politici e geografici, ma all’interno ed all’esterno di tutto questo siamo solo esseri umani e l’amore, in un modo o nell’altro ci segna tutti.
Dashrath Manjhi, l’uomo che spostò la montagna per amore, così lo chiamano quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo, è stato uno di quegli eroi che la sofferenza trasforma in uomini ancora più grandi, dal cuore immenso e generoso dalla forza costante.
Il signor Manijhi, così mi piace chiamarlo, perché davvero merita l’appellativo che un tempo era sinonimo di nobiltà d’animo e dignità, viveva (è scomparso nel 2007) in un villaggio di montagna, nel distretto di Gaya, nello stato di Bihar, in India, ai confini con il Nepal. Il villaggio era quasi totalmente isolato e per raggiungere il primo ospedale era necessario percorrere 70 km tra le rocce su strade precarie e tortuose, per arrivare a scuola gli studenti dovevano percorrere 8 km a piedi.
Un’altra strada era possibile, bisognava scavare nella roccia ed allora tutto quello che era tortuoso e curvo sarebbe diventato dritto e centinaia di persone avrebbero potuto percorrere agilmente la via scavata nella montagna, ma le ragioni dei governi non sono quelle del cuore, ne tanto meno quelle delle piccole comunità ed il governo indiano rifiutò per anni di dare il via ai lavori che avrebbero reso il villaggio di Gaya più vivibile e meno isolato. Ma tra le montagne la vita prosegue con quella calma e dignità tipiche di chi abita a tali altitudini abituato alle difficoltà e ad una natura immensa, tanto magnifica quanto difficile.
Dashrath Manjhi e sua moglie Fanguni Devi, vivevano nel villaggio, lui manovale, lei casalinga. Ogni giorno come da tradizione, lei usciva per portare il pranzo al marito, in India è una tradizione molto diffusa, si crede che rinforzi il legame di coppia, non è un obbligo per la donna, è una tradizione rimasta viva in alcuni piccoli villaggi e Fanguni la teneva viva.
Un giorno portando il pranzo al marito cadde dalla montagna, rompendosi le gambe e ferendo al testa, raggiungere l’ospedale era impossibile, troppo lontano e sarebbe stato troppo rischioso trasportarla sulla strada che girava intorno alla montagna, di li a poco morì. Dashrath Manjhi smise di lavorare e promise alla montagna l’avrebbe fatta cadere, proprio come lei aveva fatto cadere sua moglie, privandolo del suo unico amore.
Da allora per 22 anni si dedicò solo alla costruzione di un tunnel nella roccia che permettesse una rudimentale strada, non comoda forse, ma breve e fondamentale per la vita del villaggio. Sostenuto dagli altri abitanti e con l’aiuto di mezzi rudimentali il signor Manjhi scavò e scavò finché nel 2007 ebbe la grande soddisfazione di vedere persone, biciclette e moto che percorrevano la strada che lui aveva creato, scavando un tunnel nella roccia di ben 360 piedi di lunghezza, con le sue mani e con il suo amore in onore della donna aveva scelto di dedicare tutta la vita.
Dashrath Manjhi dichiarò che a sostenerlo negli anni furono l’amore per sua moglie e il desiderio di rendere migliore la vita dei villaggi del distretto di Gaya. Oggi 60 villaggi beneficiano del lavoro di un solo uomo innamorato.
Jordana Pagliarani