Nel grande libro degli alimenti, al capitolo “gusto” c’è una pagina che si intitola “comfort food” è un po’ come la casetta di Hansel e Gretel, fa gola ed è buona da mangiare, ma anche pericolosa. Il termine comfort food si riferisce a quegli alimenti, come ad esempio la cioccolata, che nel momento in cui vengono assaporati sollecitano una sensazione di benessere, il cacao, la cannella, la vaniglia fanno parte di questo prezioso elenco. Il punto è che, proprio in funzione di questa caratteristica il loro aroma può raggiungere ampie fasce di consumatori ed è facilmente commercializzabile anche se assolutamente finalizzato a se stesso, ottenuto artificialmente (come nel caso della vaniglia) e/o ottenuto con materie prime di scarsissima qualità.
In base a questi principi sono stati immessi nel mercato globale molti alimenti di grande successo che hanno superato le barriere della tradizione culinaria locale, facendo appunto appello a quel gusto comune che ci fa reagire in modo positivo(ovviamente parlando in termini di percentuali e statistiche) a certi sapori, anche se non fanno parte della nostra cultura alimentare, uno di questi è la Nutella.
Questa crema spalmabile di fama mondiale è a tutti gli effetti un prodotto degno della globalizzazione e delle sue dinamiche, gli ingredienti che la compongono arrivano, è proprio il caso di dirlo, da tutto il mondo, come risulta da un case study dell’Ocse (Organisation for Economic Co-operation and Development). Nei nove stabilimenti europei e in quelli russi, sudamericani e nordamericani si produce la crema spalmabile che sarà poi esportata in 75 paesi (per un importo pari a circa 250.000 tonnellate) i cui singoli ingredienti vengono importati dalla Turchia (le nocciole), dalla Malesia (l’olio di palma), dalla Nigeria (il cacao), dal Brasile e dall‘Europa (lo zucchero), dalla Francia (l’aroma di vaniglia).
Il meccanismo è quello instauratosi con l’avvento del mercato globale, i singoli ingredienti non hanno più valore in quanto tali, ma diventano parte integrante di una catena volta ad immettere sul mercato prodotti spendibili e commerciali.
Molto spesso, però, accade che alcune delle materie prime provengano da paesi in via di sviluppo che stanno puntando sul mercato globale per cercare di espandere la loro economia anche a costo di danneggiare le risorse interne e la popolazione stessa, che nella maggior parte dei casi non può permettersi di acquistare il bene di consumo che ha contribuito a produrre.
Ad un primo sguardo si direbbe che l’internazionalità di certi prodotti possa essere un bene, porta lavoro in molte parti del mondo e fa muovere l’economia, ma se questo è vero per i paesi europei e/o comunque industrializzati, sicuramente il discorso cambia per i paesi in via di sviluppo.