La comunicazione interspecifica è una delle più belle forme di empatia, la dimostrazione che la condivisione dei sentimenti e del pathos non ha barriere di specie. L’empatia e la comunicazione non specifica si fondano sull’assenza di linguaggio verbale a favore di quel filo rosso dell’emozione e della reale e primaria accettazione dell’Altro, di qualsiasi specie esso sia, che è il linguaggio non verbale.
Quando parliamo di assenza di linguaggio si sottintende l’assenza di un linguaggio verbale complesso e strutturato come il nostro e si fa riferimento a quella forma espressivo-comunicativa presente in ogni ambito sociale e relazionale, umano e non,che è i linguaggio non verbale, quella base concreta da cui ogni relazione positiva o negativa, di cura o di conflitto ha inizio.
Pensieri e sentimenti che portano qualsiasi animale sociale a sentire il bisogno di comunicare il proprio stato di paura o desiderio o bisogno all’altro possono essere comunicati anche senza essere verbalizzati.
A questo proposito voglio raccontarvi due storie, due bellissimi esempi di quello che può fare la comunicazione non verbale inter-specifica.
L a prima storia risale al 1988. In Germania, un bambino di circa tre anni venne completamente abbandonato a se stesso dai genitori, che lo lasciavano solo anche per più giorni in un ambiente sporco e non curato, quando finalmente il caso venne alla luce, si scoprì che il bambino era cresciuto, per la quasi totalità del tempo, in compagnia solo del cane di casa, una femmina di pastore tedesco, ricevendo da questo “parente” non umano la maggior parte delle “cure” . Infatti, il cane si occupava di tenerlo pulito, almeno per quanto le fosse possibile, ossia leccando puntualmente il viso e le mani del bambino, lo sorreggeva con il muso per impedirgli di cadere quando cercava di smettere di andare a carponi e tentava la posizione eretta e divideva con lui la sua cuccia ed il suo cibo. Quando il bambino venne ritrovato non mangiava cibi cotti, rifiutava di dormire in un normale lettino e ringhiava, ma incredibilmente, non era spaventato, ma ben disposto verso tutti e sorprendentemente non riportava nessun disturbo di carattere deambulatorio perché il cane lo aveva spinto a lasciare la posizione a carponi spingendolo e sorreggendolo con il muso e forzandolo alla posizione eretta tipica della sua specie.
La seconda storia è più recente, 1996 e le fa da sfondo lo zoo di Chicago. Un bambino di 3 anni cadde all’interno del recinto dei gorilla. Coloro che assistettero alla scena, raccontano che una femmina di gorilla lo raccolse e cullandolo fra le braccia, lo portò in prossimità del cancello dove erano accorsi i guardiani.
Molte volte si pensa ad un’eccezionalità o ad un caso e non ad un comportamento che possa avere, invece, una precisa motivazione riconducibile ad una predisposizione positiva nei confronti di un membro di un’altra specie, in particolare se “cucciolo” e ad una indiscutibile capacità di capire cosa sia meglio per l’altro in una determinata circostanza, ma si sbaglia. L’empatia e la comunicazione non verbale non hanno barriere e questi episodi così come l’adozione di neonati e bambini umani da parte di animali selvatici o domestici ne sono la prova.