Altra vittoria per gli animalisti nella lunga battaglia contro Green Hill, l’ex-allevamento di beagle destinati alla vivisezione, appartenente alla multinazionale americana Marshall Farms Group e sito a Montichiari (Bs).
Lo scorso 23 gennaio la prima Sezione penale del Tribunale di Brescia ha condannato ad un anno e sei mesi sia Ghislan Rondot, co-gestore di “Green Hill 2001”, che Renzo Graziosi, veterinario dell’allevamento, per il reato di maltrattamento e di uccisione di animali. Pena più lieve (un anno) per il direttore Roberto Bravi, mentre l’altro co-gestore, Bernard Gotti, è stato assolto per non aver commesso il fatto.
Il giudice ha disposto anche la confisca dei cani, la sospensione per due anni da ogni attività di allevamento per i condannati, nonché un risarcimento di 30mila euro in favore della Lega Antivisezione (Lav), costituitasi parte civile. In nessun caso, comunque sia, Green Hill avrebbe potuto riaprire i suoi cancelli di morte, perché il Decreto legislativo 26/2014 sulla sperimentazione animale – entrato in vigore lo scorso 29 marzo – ha definitivamente vietato l’allevamento sul territorio italiano di cani, gatti e primati destinati alla vivisezione.
Il Pubblico ministero Ambrogio Cassiani aveva richiesto condanne ancora più dure per gli imputati, ma il Tribunale di Brescia pare comunque aver accolto il suo impianto accusatorio, esplicitato nella dura requisitoria in cui aveva parlato di una strategia precisa all’interno di Green Hill, ossia di un totale disinteresse nell’apportare cure agli animali malati, per non alterare i parametri per la sperimentazione.
Secondo l’accusa, dal 2008 fino al 18 luglio 2012 – giorno in cui l’autorità giudiziaria ha disposto il sequestro probatorio di Green Hill – all’interno di quell’allevamento che gli animalisti hanno definito un vero e proprio lager sarebbero morti ben 6.023 cani! In pratica, gli esemplari affetti da patologie comuni e facilmente curabili sarebbero stati uccisi o lasciati morire perché non ritenuti più idonei agli esperimenti, al fine di contenere i costi. D’altronde, un unico veterinario era chiamato a occuparsi di circa 3mila cani, che restavano privi dell’assistenza necessaria per gran parte della giornata.
Ma gli orrori non si fermano qui. Da un punto di vista ambientale, le prove contro Green Hill dimostrano che l’interno dei capannoni non era biologicamente puro, poiché l’impianto d’areazione aspirava aria dall’esterno, mentre il caldo e l’umidità eccessiva costituivano un fattore di forte stress per gli animali, causando problemi quali diarrea e rogna. In sintesi, immaginatevi strutture chiuse, asettiche e prive di luce e aria naturale: lì vivevano i docili beagle di Montichiari, prima di esser venduti a laboratori e centri di sperimentazione in tutto il mondo.
L’accusa ha rilevato inoltre tutta una serie di irregolarità e pratiche illecite, che vanno dall’incompletezza dei verbali e registri all’eccessivo sfruttamento delle fattrici; dall’uso di segature scadenti per le lettiere – causa del decesso di oltre 100 cuccioli – alle soppressioni mediante inalazioni o iniezioni condotte senza pre-anestesia; dall’assenza di aree di sgambamento alla promiscuità e al frequente contatto con le feci da parte degli animali, fino all’odiosa procedura tesa ad ammansire i cani, che prevedeva il loro attaccamento a un’imbracatura per favorire la perdita dei sensi.
Il Pm Cassiani ha puntato il dito anche contro i veterinari Asl, definendo superficiali i controlli dell’Istituto zooprofilattico di Brescia e denunciando il comportamento doloso dei sanitari, che solitamente preavvisavano sulla data delle ispezioni, troppo spesso condotte in modo sommario.
Gli avvocati difensori di Green Hill, che avevano chiesto l’assoluzione per gli imputati, hanno dichiarato che i loro assistiti ricorreranno in appello. Il direttore dell’allevamento Roberto Bravi si è scagliato contro le accuse degli animalisti, rammaricandosi per la perdita di 500 posti di lavoro e ribadendo la correttezza di Green Hill e dei suoi dipendenti.
In ogni caso, si tratta di una sentenza storica e senza precedenti, che ribadisce la necessità del rispetto dell’etologia dell’animale, anche quando è allevato per fini commerciali che ne prevedono la morte. «Un principio rivoluzionario per la storia dei diritti degli animali, che potrà esser applicato anche a strutture che ancora oggi credono, erroneamente, di allevare, utilizzare o commerciare “res” e non soggetti», ha dichiarato l’avv. della Lav Carla Campanaro. Il Tribunale di Brescia accoglie quindi la tesi dell’accusa, che definiva il maltrattamento degli animali detenuti a Green Hill come la privazione delle loro attività vitali e insopprimibili, poiché detenuti in un ambiente inadeguato a esprimere i comportamenti etologici della loro specie. Costringendoli così a uno stato perenne di paura, ansia, stereotipie e stress.
«La sentenza di condanna di Green Hill è un riconoscimento a tutte e tutti coloro che in tanti anni hanno partecipato a manifestazioni a Montichiari e in tante altre parti d’Italia e del mondo, hanno digiunato, firmato petizioni, realizzato inchieste giornalistiche, presentato denunce, scavalcato barriere fisiche e ideologiche che difendevano l’indifendibile», ha affermato dopo la sentenza il presidente della Lav Gianluca Felicetti, ribadendo l’impegno dell’organizzazione per la definitiva abolizione della vivisezione, che solo in Italia uccide 3mila animali al giorno.
La Lav, che insieme a Legambiente è stata custode giudiziario dei circa 3mila beagle sottoposti a sequestro e poi affidati in adozione, si è impegnata a devolvere il risarcimento ottenuto in sede processuale in favore di un Fondo volto alla ricerca sui metodi alternativi alla sperimentazione animale. Tutto ciò senza rinunciare a portare avanti la battaglia giudiziaria, poiché l’organizzazione animalista ha annunciato che chiederà l’imputazione dei veterinari dell’Asl di Lonato, dell’Istituto zooprofilattico di Brescia e dei funzionari della Regione Lombardia e del Ministero della Salute, ossia di coloro che in tutti questi anni non avrebbero accertato irregolarità durante i controlli a Green Hill.
La sentenza è stata salutata con entusiasmo anche da tutte le altre associazioni animaliste e ambientaliste (Enpa, Lega nazionale per la difesa del cane, Legambiente ecc.), tanto che la direttrice dell’Ente nazionale protezioni animali, Carla Rocchi, ha ribattezzato il 23 gennaio come la «Giornata della Memoria dell’animalismo».
Sono passati quasi tre anni da quel 28 aprile 2012, quando un gruppo di manifestanti anti-Green Hill scavalcò le recinzioni dell’allevamento per porre in salvo i primi cuccioli. Un’azione eclatante e rischiosa, che comportò anche 12 arresti ma valse ad aprire gli occhi dell’opinione pubblica sugli orrori di Green Hill. Da allora gli animalisti hanno registrato una lunga serie di successi: dal sequestro probatorio dei beagle (18 luglio 2012) a quello preventivo disposto dal Gip del Tribunale di Brescia (1° ottobre 2012) poi confermato dalla Corte di Cassazione (28 febbraio 2013), fino all’entrata in vigore del nuovo Decreto legislativo n. 26/2014 sulla sperimentazione animale (29 marzo 2014) e alle condanne in primo grado per i responsabili dell’allevamento degli orrori (23 gennaio 2015).
La vicenda giudiziaria continua, ma in Italia non vi sarà mai più posto per un’altra Green Hill. Quei cucciolotti impauriti fatti passare al di sopra del filo spinato possono finalmente gioire. Sono e resteranno per sempre liberi.
Marco Grilli