Quante volte un adulto urla, impreca, piange, sbatte gli oggetti, i pugni, si dimena… Noi lo guardiamo e diciamo: “è arrabbiato. Molto arrabbiato”.
Se lo fa un bambino lo guardiamo con disapprovazione e diciamo: “ah ecco che ha ripreso a fare i capricci!” Oppure… “Non c’è motivo di arrabbiarsi!” Oppure ancora: “non si può fare così, smettila!”
E se i bambini continuano nel loro sfogo di rabbia ci arrabbiamo noi. Questo perché accade? Perché noi abbiamo il diritto di arrabbiarci senza apparire squilibrati o bisognosi di chissà quale aiuto mentre un bambino no? Viene subito etichettato come capriccioso o rabbioso, scontroso, maleducato… Noi abbiamo delle motivazioni per una tale rabbia, il bambino no. Lui si arrabbia per cose poco importanti se non addirittura sciocche.
È davvero così? Io credo che se osservassimo veramente un bambino ci accorgeremmo che il più delle volte egli si offende, difende con assoluta ragion veduta. Spesso viene ferito, umiliato, a volte anche in modo inconsapevole dall’adulto. Altre volte il suo sfogo di rabbia è senza ragione ma la sua manifestazione è necessaria al suo fluire emotivo.
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La rabbia nei bambini: proviamo a comprenderla
I neonati come unico mezzo di comunicazione hanno il pianto. Piangono dunque per fame, perché devono essere cambiati, per stanchezza, ma anche per rabbia quando non vengono ascoltati. Quando il loro pianto giunge invano alle orecchie genitoriali ecco che il bambino urla ancor più forte… Sarà “solo” istinto di sopravvivenza? O sarà anche rabbia? Nel bambino di due anni hanno addirittura inventato un nome per definire un periodo in cui il suddetto bimbo è particolarmente ingestibile: terrible two. Ma sarà davvero così o semplicemente non siamo abituati a quel tipo di manifestazioni delle emozioni? Abbiamo mai pensato davvero al motivo che sta dietro alla rabbia di quel bambino in quel determinato momento? Magari stava svolgendo un lavoro in assoluta concentrazione e noi lo distogliamo da ciò che sta facendo perché decidiamo che è giunta l’ora di andare al parco.
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Proviamo a pensare: stiamo leggendo la nostra rivista preferita e qualcuno arriva a dirci che non c’è più tempo per continuare, nemmeno per finire quell’articolo favoloso che stavamo leggendo e dobbiamo interrompere subito ed uscire. Non credo che “gioia” sarebbe il sentimento che inonda il nostro cuore in quel momento. Piuttosto un senso di frustrazione e nervosismo per non aver potuto terminare. Pensiamo che qualcuno ci dica costantemente cosa fare e come farlo… Un esempio? Vai pure a lavarti le mani da solo, ma ricordati di non bagnare a terra, di mettere il sapone, passare le dita ad una ad una e di asciugarti per bene. Parrebbe un semplice rimembrare le azioni da compiere, ma dietro il messaggio che passa è: “siccome già so che non sei capace, ma non ti do il mio aiuto, ti dico come fare e poi vengo a controllare che tu lo abbia fatto bene”. Ammettiamo che, se moltiplichiamo queste frasi per 20/30 volte al giorno, di sicuro anche noi ci sentiremmo un po’ contrariati.
In genere noi non ce ne rendiamo nemmeno conto, ma i tanti rimproveri che escono dalla nostra bocca in ogni momento sono un mattoncino di autostima in meno che permettiamo di mettere al nostro bambino.
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Il diritto alla rabbia
Non dare il diritto alla rabbia, che è un’emozione legittima tanto quanto la gioia, crea un senso di frustrazione e di inadeguatezza enorme. Riconoscere il sentimento ed il diritto a provarlo, è un primo importantissimo passo per aiutare il bambino a non farsi travolgere da essa.
Verbalizzare l’emozione aiuta a riconoscerla sempre prima del suo degenerare e sempre meglio. Una volta riconosciuta si può pensare a come farla fluire nel modo più “costruttivo” possibile. Si impara a trovare un metodo per calmarsi e a riflettere su ciò che l’ha scatenata e su come si possa incanalare quell’energia in modo positivo. La rabbia se ci pensiamo, così come la paura, non sono sentimenti negativi in assoluto. Possono essere anche emozioni positive. La paura ci tiene lontani dai pericoli, la rabbia ci permette per esempio di dare un volto al nostro senso di giustizia. Per questo è bene che tutte le emozioni ci appartengano e ci costruiscano. Chiaro è che bisogna trovare un metodo per gestirle. Negarle però o privarne la manifestazione non le eliminerà dal corpo e anzi, creeranno un danno maggiore, poiché da dentro si alimenteranno e si dimostreranno con più forza e vigore la volta dopo. Rischiano di mangiare letteralmente l’animo dell’individuo che diventa così arido, rabbioso e infelice.
Accogliamo la rabbia dei nostri bambini, fosse anche mentre dimenano i piedi e urlano come invasati al supermercato perché non abbiamo comprato un gioco. Lo so, lo so che la gente vi guarderà con sospetto, disprezzo e disgusto, che penserà: “guarda che bambino capriccioso!”. È vero che voi vi sentirete piccoli, vi sentirete giudicati, vi sentirete inadeguati… Questi sentimenti utilizzateli per avvicinarvi allo stato d’animo di vostro figlio invece che per allontanarvi da lui.
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Provate ad immaginare a quanto voi desideriate una qual cosa (un lavoro migliore, una casa più grande, una macchina più nuova…) provate ad immaginare che nella vostra testa qualcuno ve la possa comprare, che quella sarebbe per voi la felicità e provate a pensare che questo qualcuno vi dica di no. Per n motivi. Alcuni validissimi, altri magari meno, ma comunque la sua posizione non cambia. Ebbene… Come vi sentite? Ecco… Vostro figlio si sente proprio così. E mentre voi vi trattenete dal dimenarvi sul pavimento per vari motivi, lui, non avendo un background così importante ed imponente, non ci pensa un attimo e fa ciò che si sente di fare per scaricare la sua rabbia e mostrare la sua insoddisfazione.
Siamo tutti d’accordo che quell’oggetto non corrisponda alla sua felicità, un po’ meno se pensiamo al nostro oggetto prima menzionato. Quello sì che farebbe la nostra felicità! Ma siamo davvero certi che lo sarebbe? Forse per un dato momento sì, ma poi (per citare un libro che ho letto pochi giorni fa e che consiglio a tutti “Chi ha spostato il mio formaggio?” di Spencer Johnson) qualcuno sposterebbe il nostro formaggio e noi ci ritroveremmo ad essere di nuovo insoddisfatti. Allora, il bene non sta nel comprare quell’oggetto, ma bensì nel vivere insieme a lui la frustrazione del momento facendolo sentire accolto ed ascoltato, per poi cercare di fargli comprendere che non serve un oggetto per essere felici e che la felicità sta dentro di noi, esattamente come la rabbia, basta saperla tirare fuori.
Vi auguro una buona scoperta della gestione della rabbia!
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Educatrice Manuela Griso