Tutto parte da un fatto avvenuto in una notte nel reparto di ostetricia e ginecologia di un ospedale della provincia di Pordenone.
Una paziente si sente male in seguito ad un’interruzione volontaria di gravidanza. L’ostetrica chiede aiuto alla dottoressa di turno perchè teme vi possa essere un’emorragia ma la dottoressa in questione si appella all‘obiezione di coscienza e non cura la paziente. Deve così intervenire il primario.
La dottoressa che ha negato il soccorso è stata condannata il 2 aprile scorso ad un anno di reclusione e all’interdizione della professione medica: secondo la cassazione, infatti, l’obiezione di coscienza a cui può appellarsi un medico riguarda solo la fase stessa dell’intervento chirurgico fino all’espulsione del feto e della placenta. I momenti precedenti o successivi l’interruzione di gravidanza sono da considerarsi momenti disgiunti e quindi richiedono il soccorso da parte di tutti i medici, obiettori e non.
Questa sentenza diviene molto importante poichè prima di essa molte donne venivano lasciate senza assistenza prima o dopo l’aborto proprio da quei medici che si appellavano all’obiezione di coscienza.
Ricordiamo che l’obiezione di coscienza riguarda l’80% dei ginecologi nel sud Italia e il 70% nel nord: dati che devono portare a strategie politiche adeguate poichè ricorrere all’aborto legale sarà sempre più difficile in Italia.
Fonte: ilfattoquotidiano.it
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