“Haragei è incastrarsi a vicenda senza dirselo. Haragei è intuirsi ad occhi chiusi, sapere che nel buio, là fuori, c’è qualcuno come noi”
(Enrico Galiano, Felici contro il mondo – Ed. Garzanti )
Cosa significa Haragei?
L’etimologia di questo meraviglioso quanto intraducibile termine giapponese riconduce a hara (addome) e gei (arte): “l’arte dell’addome”, ovvero l’arte della comunicazione “di pancia”. Haragei è un termine difficile da spiegare ma il concetto che si cela dietro di esso è così prezioso che ci proveremo ugualmente. L’hara è il luogo dove risiede il Ki, l’energia vitale, e attraverso questo speciale metodo di comunicazione non verbale, permettiamo alle nostre energie vitali di vibrare all’unisono con quelle della persona con la quale stiamo entrando in relazione, “da pancia a pancia“.
L’haragei rappresenta quindi una pratica di comunicazione interpersonale basata sulla sensibilità invece che sulle parole, simile a ciò che conosciamo come linguaggio non verbale però sublimato dalla compassione, dal rispetto reciproco, dall’intento di sintonizzarsi sulla stessa frequenza dell’altro per comprenderne i moti interiori in maniera intuitiva, quasi spirituale.
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Come l’Haragei può migliorare le relazioni interpersonali
L’haragei permette di tessere rapporti solidi e duraturi, basati sull’armonia, la compassione, il rispetto e la reciprocità. Non è solo un concetto, è soprattutto un’esperienza diretta. Permette di leggersi tra le righe, senza dover specificare ogni dettaglio o dovendo giustificare ogni punto di una conversazione, coltivando uno spazio di mutua intesa dove anche i silenzi mostrano un’attenzione particolare verso l’altro.
La pratica dell’haragei riconosce il valore del tempo delle parole e dei silenzi, in quella parentesi sospesa dove il corpo si esprime senza usare le parole, lì dove pure il respiro, le sensazioni comunicano. Se nella nostra società i silenzi possono metterci a disagio, nella cultura giapponese vengono coltivati in modo da poter riflettere più approfonditamente, dimostrando un interesse genuino, delicatezza ed empatia.
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Differenze tra Haragei e comunicazione verbale
Secondo il pensiero zen, il silenzio rappresenta la verità che risiede nel corpo, nel cuore o nella pancia. Gli aspetti interiori della persona parlano quindi della sua veridicità mentre secondo la credenza, gli aspetti esteriori, quali la bocca, il viso, la parola, sono invece capaci di menzogna.
La comunicazione nella cultura giapponese contempla elementi assai diversi dalla nostra forma mentis bastata principalmente sulle informazioni enunciate esplicitamente attraverso le parole, motivo per il quale può essere interessante includere l’haragei nel suo contesto comunicativo per capirne le peculiarità.
In Occidente, siamo abituati a considerare con maggiore importanza l’aspetto verbale, il cosa diciamo, mentre in Oriente contemplano maggiormente gli aspetti para-verbali (il tono della voce, le pause, il volume, la cadenza della parlata) e non verbali (le espressioni facciali, i gesti, i movimenti del corpo, la postura, pure il respiro): il come lo si dice.
L’attenzione ai minimi dettagli di ciò che esprime e non esprime l’interlocutore denota un’attenzione minuziosa e una presenza totale nel ricevere l’integralità del messaggio. Si ascolta e accoglie l’altro con discrezione e delicatezza, senza invadere il suo spazio, si coglie consapevolmente ciò che l’altro esprime oltre le parole, cercando di rispondervi.
Se per alcuni la mancanza di parole può suscitare disagio per l’ambiguità che questa comporta, bisogna sapere che in Giappone questa singolarità è ricercata e viene definita Aimai, ovvero la capacità di mantenere un alone indefinito intorno ad alcuni significati. Per esempio, l’Aimai è percepita come un segno di cortesia e rispetto. Una conversazione che coltiva zone poco definite verbalmente permette ad ogni interlocutore di provare una condizione di inclusività e di non esporsi oltre ciò che ritiene opportuno.
Allo stesso modo, la comunicazione “da pancia a pancia” come avviene nell’haragei contempla lunghi silenzi che permettono di sorvolare sui concetti e concentrarsi sull’intesa intuitiva tra le persone senza dover specificare nulla. Il Chinmoku (il silenzio) viene definito in Giappone come “il silenzio con il potenziale per un grande significato” e si allinea al concetto di vero ed autentico di cui abbiamo parlato poc’anzi.
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Come viene praticato nella cultura giapponese
In Giappone l’haragei viene praticato nelle relazioni interpersonali, negli affari e nelle arti marziali. Riveste nel campo delle relazioni umane un valore importante. Più precisamente, consente ai giapponesi di avere una maggiore comprensione degli stati d’animo e dei pensieri degli altri senza dover chiedere lumi o spiegazioni, coltivando in questo modo uno spazio rispettoso della riservatezza individuale in un contesto in cui il rispetto delle gerarchie è fondamentale.
Nelle arti marziali, l’haragei viene coltivato con un accezione diversa che mira sì a sintonizzarsi sulla stessa frequenza dell’altro per comprenderlo al di là delle manifestazioni esplicite di pensiero, ma in questo caso specifico serve ad anticiparne le mosse.
A livello manageriale invece l’haragei diventa una skill fondamentale per aumentare la leadership e tessere rapporti aziendali in grado di rafforzare la solidità delle squadre di lavoro, e la loro produttività, oltre che nelle trattative per trarne il maggior beneficio possibile.
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Esercizi per sviluppare l’arte del non parlare
Come praticare l’haragei nella nostra vita? Per cominciare, occorre aprirsi all’altro e allo stesso tempo ascoltarlo e accoglierlo, permettendogli di esprimersi in uno spazio sicuro, scevro di giudizi e superficialità. Conditio sine qua non è essere presente, nel qui e ora assieme all’altro, evitando di vagare con la mente. Lo scambio genuino è la base fondamentale di questa pratica.
Possiamo iniziare riconoscendo il valore del tempo dell’altro. Rispettando il suo ritmo, possiamo cogliere informazioni a volte difficili da percepire attraverso un discorso ragionato, mentre ognuno di noi invia continuamente messaggi che testimoniano del suo essere, delle suo sentire. L’haragei si focalizza su questo, sul cercare di creare una relazione autentica basata sul percepirsi a vicenda. Ci invita a fluire come l’acqua, ad adattarci all’altro così come l’acqua si adatta al contenitore nel quale viene raccolta senza tuttavia rinunciare alla sua autenticità.
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Nel suo libro Felici contro il mondo (Ed. Garzanti), lo scrittore Enrico Galiano ci offre una prova di definizione a riguardo: “Haragei è una parola giapponese che non esiste forse in nessun’altra lingua al mondo, e anche tradurla è un affare molto complicato. Volendo, potremmo dire che è la comunicazione non verbale, ma non è solo quello. Il fatto è che quando parliamo, le parole che ci scambiamo non sono che una piccola parte di quello che davvero ci diciamo. Quando entriamo in contatto con qualcuno, in realtà, facciamo anche delle prove di incastro: con gli occhi, con la voce, con le mani, col respiro, proviamo a vedere se chi abbiamo di fronte si incastra bene con noi”.
Fonti e approfondimenti:
• The Japanese Mind: Communication
• The ronin Dojo: Haragei