Chi ha assaggiato il pane fatto in casa come una volta non se lo scorda mai. Rimane un’esperienza sensoriale indelebile. Resta la nostalgia del profumo caldo e avvolgente come un abbraccio che invade la casa, il ricordo del canto della crosta dorata che scricchiola sotto le dita, e poi il sapore, profondo, ricco, che si svela boccone dopo boccone.
È sacro e quotidiano, il pane. È presente sulle tavole dei ricchi e dei poveri, placca la fame degli affamati, è salute e nutrimento, ma anche cultura, folklore, tradizione. Nessun cibo al mondo vanta una storia così antica e complessa come quella sapiente miscela di acqua, farina, lievito e sale. Pochi ingredienti, tempo, cura, e calore danno vita alla magia culinaria più longeva della storia dell’umanità. Fare il pane in casa è un rituale sacro, ancestrale, che nutre il corpo e l’anima e ora scopriremo perché.
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Fare il pane in casa: un rituale ancestrale
Uno dei lati positivi della pandemia è stato la crescente voglia di mettere le mani in pasta. Ripetendo i gesti quotidiani dei nostri nonni legati alla panificazione (di tutti i nostri avi in verità), ci siamo riappropriati di un’antica arte che ci è sempre appartenuta, di una liturgia laica, che avevamo smarrito.
La crisi ci ha riportato per necessità alle nostre radici e ha risvegliato in molti una memoria ancestrale intorpidita dalla società di consumo che ha fatto del pane un alimento industriale, accessorio, che ha perso la sua sacralità ed è forse questo il motivo per cui il suo consumo è diminuito: quello non è più il pane buono di una volta.
Eppure il pane era sacro una volta. Lo è sempre stato.
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Alle origini del pane
Se si attesta all’12 000 a.C. in Giordania la testimonianza del primo impasto di acqua e farina, la prima pagnotta nascerà più tardi grazie alla…birra! La leggenda narra che la lievitazione del pane fu scoperta per caso nell’Antico Egitto. Una schiava buttò per errore o per dispetto, non lo scopriremo mai, i residui della fermentazione della birra nell’impasto che serviva a preparare il pane azzimo. E come per magia, crebbe. Una volta cotto era talmente buono che divenne l’emblema dei popoli del bacino del Mediterraneo, a tal punto da meritarsi l’appellativo di “società del pane”. Gli Egizi in seguito fecero come per il grano: presero un po’ dell’impasto per riseminarne un altro di volta in volta. Così nacque il lievito (o pasta) madre.
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Il simbolismo degli ingredienti
Il pane è stato uno dei primi cibi a caratterizzare l’avvento della civiltà, oltre ad essere spesso insostituibile fonte di sostentamento in tempo di carestia. Nell’arco di millenni, è diventato un simbolo di vita, anche per il fatto di essere fatto della stessa sostanza del mondo: l’acqua che permette la vita, il grano, il tesoro della terra donato dalle dee madri, l’aria della lievitazione era un tempo simbolo di crescita e d’elevazione spirituale mentre il sale rappresentava la purezza e l’incorruttibilità, e infine, il fuoco, l’ elemento di trasformazione per eccellenza.
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A Roma, Orazio ed Ovidio ricordavano l’importanza di mescolare un po’ di sale al frumento in dispensa per onorare i Penati, gli spiriti tutelari della famiglia. Il simbolismo degli alimenti convergeva nei gesti quotidiani, diventando immagine di un rito ancestrale e della volontà di coltivare un rapporto armonioso col mondo divino.
Ecco il punto d’unione col nostro lontano passato, il miracolo creato attraverso la terra, l’acqua, l’aria e il fuoco! Detto così, sembra una magia. Forse lo è. Perché non vi è cibo più sacro e allo stesso tempo comune (e buono) come il pane di una volta, fatto con le mani e la consapevolezza che la salute del corpo va coltivata come il grano genuino che matura sotto i raggi del sole e racchiude nel suo cuore il prezioso germe di vita.
Il grano, storia dell’alleanza tra umano e divino
Simile al mais che rappresentava per le civiltà precolombiane il tesoro più prezioso era il grano per i popoli mediterranei. Il tesoro delle dee madri, come Cerere/Demetra ha segnato il passaggio dalle tribù nomadi alla cultura agraria. La coltivazione dell’antenato del noto cereale, il farro monococco (da cui deriva il termine “farina”) non fu soltanto opera dell’uomo ma anche di Madre Natura, come racconta il mito.
Gli studiosi confermano che l’antenato del grano nacque da un evento singolare: dall’incrocio fortunato tra due cereali che avvenne in modo naturale. “Cerere trovò il frumento, mentre prima si viveva di ghiande. Lei stessa insegnò a macinare e a fare il pane in Attica e in Sicilia: per questo fu tenuta per dea” affermava l’antropologo Antonino Uccello nel suo libro Pani e dolci di Sicilia.
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Siamo come il grano
Il frumento divenne così prezioso da essere usato come moneta ed offerto alle divinità. Nell’Antico Egitto faceva parte delle pratiche funerarie. Nel rito di Osiride Vegetante si preparavano delle piccole mummie di legno o argilla riempite di fango e di chicchi di grano avvolte da bende di lino. Questo “grano delle mummie” germogliava poi in primavera, simboleggiando il viaggio del dio Osiride e la sua resurrezione. Ma la valenza simbolica del grano non si ferma agli antichi riti funebri egizi.
La coltivazione del grano divenne tra i popoli del pane un’allegoria del viaggio dell’anima che può ancora oggi invitarci a riflessioni profonde mentre le nostre mani danno forma all’impasto.
Il grano seminato ad ottobre viene solitamente raccolto al solstizio d’estate, ricalcando il viaggio metaforico dell’anima: dopo la sua semina, il germe di vita dorme nel regno dell’eterno riposo, nell’invernale abbraccio della terra. Durante la primavera, il piccolo chicco si risveglia, germina, il grano cresce, piano piano. Nove mesi dopo la sua semina, il grano è maturo. Questo simbolismo è stato colto dal cristianesimo che ne ha fatto anch’esso un emblema di rinascita.
E dunque il pane oltre a simboleggiare l’unione degli elementi del Creato (Acqua, Aria, Terra, Fuoco e Spirito grazie al sale immortale) rappresenta anche la comunione tra il divino (Cerere, Madre Natura, Dio…) e l’uomo, il viaggio di resurrezione dell’anima, la rinascita. Il pane fatto in casa è dunque un rituale pregno di significati spirituali: è promessa della vita dopo la morte, grazia divina.
Nei gesti semplici che compiamo quando facciamo il pane in casa si cela quindi un atto d’amore di una commovente bellezza: non si nutre soltanto il pancino dei nostri cari ma si porge a loro, come offerta all’anima, la più bella delle benedizioni.
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I grani antichi nostrani: un tesoro da preservare
Il farro, antenato del grano, fu coltivato, addomesticato, riverito per il sostentamento offerto attraverso il pane. Di epoca in epoca e di paese in paese, si adeguò al terreno, alle stagioni, divenne grano duro e tenero, tanto che ogni regione poteva contare su numerose varietà tipiche. La Sicilia da sola, antico granaio dell’Antica Roma, contava ben 291 varietà autoctone prima del 1920, ma ogni regione poteva contare su decine di varietà locali. Di questi preziosi grani antichi ne restano una cinquantina, che vantano proprietà organolettiche e nutritive che aiutano a riconoscere al pane, cibo seppur umile e quotidiano, la sua importanza per la nostra salute.
Quando il pane fa bene alla salute
Diversi studi come quello condotto dai ricercatori del Department of Microbiology, University Hospital Miguel Servet di Saragozza in Spagna [Fonte] indicano l’influenza benefica del pane artigianale fatto con grani antichi e fermentazione naturale con pasta madre sul nostro microbiota e la sua biodiversità. Se le farine integrali contengono fitati che possono sequestrare i minerali, l’azione dei formidabili lieviti e batteri contenuti nella pasta madre destrutturano questi composti per rendere biodisponibili calcio, ferro, zinco e magnesio oltre a nutrire e rinforzare la nostra flora intestinale.
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Se aggiungiamo a questi benefici il fatto che le farine di grani antichi macinate a pietra contengono il germe di grano, puro concentrato di vita assente nelle farine industriali, comprendiamo perché il pane fatto in casa è più appagante e nutriente: ogni boccone racchiude quella vitalità che sazia il corpo, ecco perché ne mangiamo di meno.
Riscoprire i nostri grani locali per fare il pane in casa è quindi una questione non soltanto gastronomica o culturale, ma anche di salute, d’amore per la nostra terra che come una madre buona ci offre ciò di cui abbiamo bisogno per stare bene.
“Fa’ che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo”
(Ippocrate, padre della medicina)
Il pane parla di noi, è identità
Dai templi pagani del bacino del Mediterraneo, il pane arrivò alla tavola domenicale dei cristiani, mantenendo il suo statuto sacrale. La benedizione di Dio divenne oggetto di preghiera (“Dacci oggi il nostro pane quotidiano”). Finalmente, il sacro si mescolò col tempo alla saggezza contadina che mantenne la riverenza verso questo cibo sacro cercando di non sprecarlo mai e attuando alcuni gesti rituali: benedire il pane prima di infornarlo e mai capovolgerlo. “La preparazione del pane era tradizione domestica: e le tradizioni domestiche erano, in casa nostra, religione e legge” raccontava la scrittrice sarda Grazia Deledda.
L’Italia conta ad oggi una varietà sorprendente di panificati, sono più di 300 che narrano la storia di una terra e della sua gente. Il pane veicola un’identità culturale, delle tradizioni di famiglia, un simbolismo collettivo. Parla di noi, dei nostri desideri, del nostro rapporto con la vita e le nostre radici.
Quindi sì, impastare il pane in casa come una volta è un atto sacro e lo riscopriamo quando il suo profuma riempie la casa, quando esce dal forno nel suo abito dorato davanti agli occhi estasiati dei commensali, ma soprattutto quando gli occhi si chiudono un istante per assaporare il primo boccone, perché lo facciamo tutti, d’istinto. Allora il tempo rallenta.
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Forse la felicità è come il pane appena sfornato… composta da pochi ingredienti che contano da vero, fatta di gesti semplici che ci ricordano da dove veniamo, è pazienza e cura, piacere dei sensi e soprattutto condivisione. È un boccone di vita che si gusta lentamente assieme agli altri. In questo piccolo scrigno di bontà, c’è tutta la storia dell’umanità ma soprattutto tanto, tanto amore.
Fonti e approfondimenti
• Antonino Uccello, Pani e dolci di Sicilia, Dellerio Editore, 1976.
• Heinrich Eduard Jacob, I seimila anni del pane. Storia sacra e storia profana, Bollati Boringhieri, 2019.
• Lucia Galasso, Storia e civiltà del pane. Un viaggio tra archeologia e antropologia. Espress Edizioni, 2022.
Sandra Saporito