Psicologia

Vivere da expat significa avere il cuore spaccato a metà

Di Sandra Saporito - 23 Settembre 2024

Tutto inizia con un biglietto di sola ondata. All’aeroporto ci sono i parenti che cercano di reprimere le lacrime mentre ci si promette di ritrovarsi a Pasqua, a Natale, e durante le vacanze d’estate senza sapere davvero come andrà. Il Covid per esempio ha allungato il tempo tra un ritrovo e l’altro, le difficoltà economiche a volte prosciugano quelle risorse faticosamente risparmiate per tornare in patria. Vivere da espatriati, o da expat come si dice oggi, non è facile: tra la nostalgia di casa e la speranza in un futuro migliore occorre fare i conti con il senso di non appartenenza, i pregiudizi, la solitudine, i sensi di colpa, l’isolamento.

Italiani, popolo di viaggiatori che sperano in un futuro migliore

Gli expat sono quelli che mancano nei momenti importanti, sono i perpetui assenti, quelli che a volte non tornano in tempo per vedere il primo sorriso e dare l’ultimo saluto perché tra loro e le persone care ci sono centinaia di chilometri, ore di viaggio, gli scioperi e dei ricordi che non vivranno mai. Gli Italiani all’estero hanno il cuore spaccato a metà: un parte resta qui mentre l’altra vola via in un paese lontano. Nel mezzo ci sono tante frontiere con le quali imparare a vivere e parecchi bollini sul passaporto.

Una donna expat in aeroporto
Fonte: Pexels.com

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Andare a vivere all’estero significa rinunciare per un tempo medio-lungo al contatto diretto coi propri cari, e vivere in solitudine, o attraverso un piccolo schermo, i momenti belli e brutti: i compleanni, i successi raggiunti, le feste “comandate”, ma anche tutti quei momenti in cui si avrebbe bisogno di quell’abbraccio che ci ha accompagnato sin da piccoli e che profuma di casa.

Tuttavia, quando si parla di Italiani all’estero, molti pensano solo alla “fuga di cervelli” e all’impoverimento socio-economico del paese che il flusso migratorio di persone di talento e di alta specializzazione comporta, ma dietro a questo fiume di giovani expat trai i 20 e i 40 anni col passaporto in tasca, c’è molto di più.

Cambiare paese, lasciarsi dietro la famiglia, gli amici, la propria terra e la propria lingua materna richiede tanti sacrifici, coraggio, determinazione e una volontà di reinventarsi continuamente, la capacità di adattarsi ad un nuovo modo di vivere, a nuove consuetudini sociali e culturali, il tentativo di essere vicini ai propri cari anche se a distanza, soprattutto nei momenti difficili,… Tutto ciò può generare stress, carico mentale, disagio emotivo, frustrazione.

Secondo l’Istat, gli Italiani all’estero sono circa 6 milioni ed aumentano di anno in anno. Cercano uno stipendio più alto, una qualità di vita migliore (servizi, sanità, istruzione), maggiore possibilità di crescita professionale e personale.

Nutrono spesso la speranza di tornare indietro anche se l’Italia non dà loro un reale motivo per farlo perché qui gli stipendi sono più bassi della media europea. E allora che fare: tentare la sorte all’estero oppure arrancare in paese e rinunciare al proprio futuro?

La nostalgia di casa e i sensi di colpa dell’espatriato

Il peso della solitudine può essere schiacciante nella vita degli expat. Ricostruirsi da soli, lontano da tutti richiede una grande forza interiore che tempra, rende più forti e allo stesso tempo vulnerabili, ma soprattutto più consapevoli del valore degli affetti. Per loro, la mancanza si sente nei momenti difficili e tristi, ma ancora di più in quelli felici: una nascita, un fidanzamento, un successo finalmente raggiunto, o semplicemente la festa di compleanno.

Per gli expat, i piccoli rituali famigliari, gli usi e costumi del paese d’origine parlano di radici, di sicurezza, di un tipo di serenità che porta con sé il profumo della nostalgia e la consapevolezza che vanno vissuti con attenzione, momento dopo momento come se fossero nutrimento per il cuore e l’anima, perché dureranno solo il tempo di una breve rimpatriata.

Il sogno di tornare in patria
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A volte sorge un senso di colpa tra una necessità personale e una richiesta affettiva e sociale che influenza anche le semplici scelte di svago: scegliere di prendersi una vacanza di qualche giorno per rilassarsi (finalmente) oppure dedicare quel poco tempo a disposizione per ritornare in paese e sentirsi in dovere di visitare di corsa tutti i parenti vicini e lontani, gli amici e i conoscenti per non offendere nessuno?

Per gli Italiani che vivono all’estero, non è facile scegliere perché non sanno quando sarà l’ultima volta che stringeranno tra le loro braccia i genitori, i nonni, gli amici di sempre. Ogni decesso è per loro un fulmine a cielo sereno che porta un senso di colpa che stringe il cuore. La lontananza impedisce di essere presenti nei momento importanti e a volte difficili delle persone amate, di essere d’aiuto e sostegno quando occorre. Possono quindi percepire la loro lontananza come un atto di abbandono anche se è allo stesso tempo una necessità, l’unico modo per loro possibile per crearsi un futuro migliore.

Questo senso di colpa pesante a volte quanto un macigno è chiamato dagli psicologi “expat guilt”, ovvero il senso di colpa dell’espatriato.

Qualche indicazione per affrontare il senso di colpa dell’espatriato

Per affrontare l’expat guilt, può essere utile curare alcuni aspetti importanti della propria vita:

Restare in contatto con la propria famiglia: videochiamare i propri cari anche su base giornaliera aiuterà ad accorciare le distanze.
Ritagliarsi dei momenti di relax e divertimento: partecipare a qualche attività ricreativa può aiutare a crearsi una nuova rete di relazioni (fare nuove amicizie è importante!) e coltivare un angolo di leggerezza e spensieratezza che aumenterà il tono dell’umore ed eviterà di mettersi sotto pressione.
Tenere a bada le preoccupazioni e le ansie per il futuro scegliendo consapevolmente di confidare nella propria efficienza personale. E se un giorno i nostri genitori dovessero avere bisogno di noi? Troveremo una soluzione. Frenare il presente per timore di una proiezione nefasta futura è nocivo e non ha nessuna reale utilità.

La meravigliosa opportunità degli expat

Vivere a lungo all’estero porta ad un cambiamento interiore significativo. Si crea nell’esistenza uno spartiacque sia al livello sociale, lavorativo, affettivo che identitario. Spesso l’espatriato incontra alcuni problemi legati al senso di appartenenza: si sente sospeso tra due nazioni, due culture diverse, due lingue che a volte mescola senza rendersene conto.

Molti expat provano difficoltà, giunti a questo punto, a sentirsi parte di un paese: si sentono divisi tra quello che hanno lasciato dietro di loro perché non offriva un terreno abbastanza stabile per la loro crescita, e quello scelto che spesso li accoglie con riserva, il tempo di comprendere se tra loro vi è la reale volontà di costruire qualcosa di duraturo. Ed è qui la trappola che molti expat, e figli di expat possono provare: quella di non sentirsi appartenere a nessuna delle due nazioni, quando in realtà sono il frutto di entrambe.

Gli expat sono un ponte tra un paese e l'altro
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Gli expat sono un trait d’union tra due bandiere, un ponte tra due nazioni: sono figli naturali della terra dove sono nati e figli adottivi del paese che hanno scelto per vivere. Certo, saranno figli “diversi”, un po’ ibridi forse, ma col passare degli anni, saranno in grado di navigare tra due realtà diverse, unire due culture riuscendo a trovare in entrambe la bellezza e il profumo di casa, cosicché il loro cuore non sia più diviso in due ma anzi riesca ad espandersi così tanto da abbracciare entrambe le frontiere.

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Fonti e approfondimenti

Espatrio e vita all’estero 
• Baldassar Loretta, Guilty feelings and the guilt trip: Emotions and motivation in migration and transnational caregiving, Emotion. Space and Society 16 (2015): pp 81-89.

Sandra Saporito





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