“La casa è il vostro corpo più grande. Vive nel sole e si addormenta nella quiete della notte; e non è senza sogni.” diceva Khalil Gibran. Aveva ragione: c’è un legame potente, intimo con la casa che si abita, è uno spazio emotivo, rifugio e punto di riferimento, luogo di espressione e manifestazione. Per questo motivo, ristrutturare una vecchia casa può diventare una grande occasione per lavorare su noi stessi, tornare alle nostre radici, all’essenziale, ed osservare i cambiamenti dentro di noi che si manifestano ora all’esterno.
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La casa è una proiezione della nostra identità
Ristrutturare una vecchia casa, per la quale nutriamo un forte sentimento di appartenenza, può rappresentare un desiderio di continuare una storia ricca di ricordi personali o culturali. Il passato diventa una risorsa, una materia da affinare, da plasmare ma anche da comprendere in modo che possa diventare una fondazione solida sulla quale costruire una nuova visione. Non si tratta soltanto di recupero edilizio, di ottimizzazione degli spazi abitativi, di un rimodernamento degli impianti, ma di un processo di rinascita personale prima che edilizio.
Abitare con consapevolezza, riconoscere il significato intimo che diamo alle nostre stanze attraverso le nostre proiezioni, la nostra storia personale, il modo in cui ci muoviamo all’interno della nostra abitazione, il modo in cui la rendiamo allineata ai nostri gusti, alle nostre inclinazioni, permette alla nostra dimora di essere quel “corpo abitativo” che parla di noi. La casa è un luogo dove abitare e abitarsi, risuona con l’idea di grembo materno che offre protezione e calore e forse è il ruolo che svolge al livello simbolico nella nostra vita, offrendoci il rifugio necessario dal mondo esterno.
“La casa è la rappresentazione del nostro interno. Di noi stessi. Di un luogo dove stare bene. Le case delle persone che vivono bene dentro sono immediatamente riconoscibili, non dipende dalla ricchezza ma dall’armonia. Le case hanno un’anima.” afferma Donatella Caprioglio, psicoterapeuta e docente di Psicologia all’Università di Parigi nel suo libro Nel cuore delle case.
In questo senso, decidere di ristrutturare una vecchia casa mostra che sono in atto dei grandi cambiamenti nella nostra vita, mossi dal desiderio di far corrispondere lo spazio abitativo con quello abitato, dentro di noi.
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Ristrutturare una vecchia casa è un processo di rinascita
La casa è l’espressione di un nostro luogo personale, di ciò che ci abita, delle nostre energie e dei nostri sogni interiori. Delinea un confine importante: quello col mondo esterno e gli altri. La nostra abitazione è forse l’unico luogo in cui ci diamo il permesso di essere e non di apparire, dove possiamo essere totalmente noi stessi, senza filtri.
Ristrutturare la nostra vecchia casa può quindi essere compreso come un desiderio di riprendersi in mano, di cambiare radicalmente ciò che ormai ha fatto il suo tempo oppure di tornare all’essenziale, a ciò che ci rispecchia di più e ci fa stare bene. Un tale impegno di risorse sia economiche, fisiche e mentali, oltre che emotive, non può che mirare ad un maggiore benessere, ad un allineamento tra il nostro mondo interiore e l’immagine che ci presenta a chi varca la soglia di casa.
Attraverso i cambiamenti che portiamo nel nostro spazio abitativo rispondiamo ad una necessità non soltanto organizzativa ma soprattutto interiore: ci diamo il permesso di darci ciò che ci manca, di sbloccare aspetti della nostra identità che richiedevano la nostra attenzione, di scoprire degli aspetti di noi forse inaspettati ma oltremodo preziosi.
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La ristrutturazione come processo di rinnovamento personale
Attraverso le sue imperfezioni, le sue ferite, la casa racconta il suo vissuto, com’è stata vissuta da chi precedentemente l’aveva abitata: è stata amata, trascurata? Qual è stata la sua evoluzione attraverso i decenni (a volte i secoli)? Toccare con mano i lati nascosti del luogo primordiale che alberga le nostre vite può diventare terapeutico nella misura in cui ci mette in risonanza con i nostri aspetti interiori più reconditi.
Poi, scopriamo che la casa parla di noi, delle nostre ferite, delle nostre risorse nascoste. Partecipare alle operazioni di ristrutturazione e toccare con mano il processo di cambiamento ci consente di riprendere in mano le nostre radici, a volte di iniziare un percorso di guarigione, di crescita interiore, di fioritura personale.
Fase 1. Demolire, mettersi a nudo per tornare all’essenziale
La fase di demolizione riecheggia in noi come uno smembrare, pezzo per pezzo, le nostre sovrastrutture mentali, i giudizi che possiamo aver costruito per separarci dal mondo e a volte da noi stessi, i legami fatiscenti che cadono a pezzi, i sogni ormai ammuffiti, i concetti che fanno acqua da tutte le parti. Mettersi a nudo non è facile, così come il contemplare gli interni spogliati da intonaci, piastrelle, impianti, mentre la casa ci osserva a cuore aperto e ci chiede cosa vogliamo farne di lei. Può capitare di non riuscire subito a rispondere a questa domanda perché dobbiamo comprendere prima ciò che vogliamo farne di noi.
Fase 2. Ricostruire: una nuova consapevolezza
Dopo un naturale tempo di contemplazione delle macerie, avviene la fase di comprensione e ricostruzione. La stanchezza si fa sempre più sentire e il sogno romantico che ci aveva spinto all’inizio di questa avventura può scontrarsi con una realtà molto più terra a terra. Occorre allora rimboccarsi le maniche e ripartire dall’essenziale, dai muri portanti: la parte sana che sfida il tempo e resta in piedi malgrado le tempeste e i terremoti.
Queste pareti permettono ad una casa di rinascere e dentro di noi fanno eco alla nostra natura profonda. Il processo esterno di trasformazione ci guida in un ampliamento della nostra coscienza, ad una nuova consapevolezza, alla comprensione di alcune parti di noi che non conoscevamo.
Fase 3. Abitare e abitarsi
Il termine della fase di ricostruzione ci guida gradualmente alla terza fase: quella dell’abitare, della manifestazione del nostro essere, di un’identità cambiata, più consapevole e matura, ma soprattutto più leggera e libera. Questa terza fase inizia nel momento in cui posiamo le valige, ci guardiamo intorno e prendiamo coscienza del lavoro, dei sacrifici, dei cambiamenti fatti per arrivare fin lì.
Poi, giunge il primo risveglio, il primo caffè sorseggiato guardando il mondo attraverso la finestra. Le macerie sono sparite. La casa è pulita e tutto è in ordine. Facciamo un profondo respiro e assaporiamo il silenzio. Sentiamo qualcosa avvolgerci in un abbraccio: è un nuovo inizio.
E ha il profumo di casa.
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Fonti e approfondimenti:
• Donatella Caprioglio, Nel cuore delle case: Viaggio interiore tra case e spazi mentali, Edizioni Il punto d’incontro, 2013.
• La psicologia dell’abitare: la casa che rispecchia l’essere
• Può una ristrutturazione incidere sul benessere psicofisico?