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“Specchio delle mie brame”: il libro sulla prigione della bellezza

Di Sandra Saporito - 14 Giugno 2023

Nel mondo che vorrei, ogni persona sarebbe libera di vivere il proprio corpo con gioia e rispetto verso la sua unicità, e sarebbe aiutata dalla più giovane età a riconoscere la bellezza in sé e negli altri, con naturalezza, con gentilezza. Ma questo è un mondo diverso.

Parlare della prigione della bellezza (soprattutto alle donne) è delicato perché tocca punti sensibili, spesso dolenti, connessi ad un vissuto intimo costellato di senso di inadeguatezza, fragilità, senso di colpa e a volte di vergogna. Non sentirsi abbastanza bella può essere vissuto come un peso, a volte come una condanna che porta ad una corsa contro il tempo, contro la bilancia, contro una società che ci vorrebbe diverse da come siamo realmente: più alte, più magre, più toniche, più lisce, più giovani. E anche se lo fossimo, riecheggerebbe comunque in sottofondo una voce malefica che sussurrerebbe: “non abbastanza”.

Quali sono l’origine e la funzione di questo diktat estetico impietoso che infligge ai nostri corpi e alle nostre menti delle regole che possono intaccare la nostra salute fisica, mentale, o ancora la nostra capacità di agire nella società? A queste e altre domande risponde Maura Gancitano, scrittrice, filosofa e co-fondatrice del progetto Tlon, nel suo saggio Specchio delle mie brame, la prigione della bellezza, pubblicato da Einaudi.

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Copertina del libro Specchio delle mie brame, la prigione della bellezza.
Foto di copertina

I (pre-)giudizi della bellezza

Dietro il mito della bellezza, non c’è solo una questione estetica. L’idea del bello equivale oggi ad un corpo conforme in struttura, peso e colore agli standard che veicolano idee di decoro e civiltà: il corpo, come l’abito, testimonia il valore morale di una persona, influenzando il modo in cui vediamo e giudichiamo gli altri.

Per esempio, chi ha un corpo conforme mostra di essere una persona costante e determinata nel prendersi cura di sé, al di là degli sforzi effettivi e della genetica di partenza che può agevolarla, e quindi le vengono inconsciamente riconosciute queste qualità anche in altri ambiti, come quello lavorativo. Al contrario, una persona sovrappeso verrà giudicata come poco energica e volenterosa, a prescindere dei suoi reali sforzi, dei sacrifici fatti per raggiungere una forma forse innaturale per la sua costituzione e genetica.

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Siamo rinchiusi in una falsa narrazione della bellezza, che la confonde con un’idea di perfezione che non esiste ma che vende molto, moltissimo, fagocitando risorse mentali, emotive, fisiche ed economiche in quanto, ahinoi, la donna viene giudicata in base alla sua apparenza, e non al suo modo di agire nella società, come formulato nella teoria dell’oggettivazione spiegata in questo saggio.

L’assurdità del dogma della bellezza sta perciò nel fatto che costringe il nostro corpo a rispondere a certe regole di mercato invece che valorizzarlo, riconoscere le sue qualità e coltivarle. Nega la nostra bellezza individuale obbligandoci ad allinearci ad un ideale irraggiungibile, impedendoci di sentirci bene nel nostro corpo, apprezzarlo, rispettarlo e amarlo, quando questo dovrebbe essere un nostro diritto.

la bellezza di donne diverse
Credit foto © Pexels

“La bellezza oggi è qualcosa di ben preciso a cui adeguarsi: un certo modo di vestire, di mangiare, di parlare, di camminare. Non si tratta di una questione puramente estetica, ma di una tecnica politica di esercizio del potere. In altre parole, di una gabbia dorata in cui non ci rendiamo conto di essere rinchiusi.”
‒ Maura Gancitano in Specchio delle mie brame. La prigione della bellezza, Ed. Einaudi, 2022.

Le taglie non misurano i corpi, ma le vendite

Faccio parte delle donne che si sono sempre sentite sbagliate nei camerini dei negozi di abbigliamento. I vestiti “fino alla 42” non si adeguavano al mio fisico mediterraneo, facendomi sentire inadeguata, e spesso in colpa perché non corrispondevo a ciò che nella società veniva definito “nella norma”. Leggendo il capitolo sulla nascita delle taglie illustrato nel libro, a tratti sconvolgente, di Maura Gancitano, ho provato una sana rabbia aprendo finalmente gli occhi sull’inganno delle taglie. Non era il mio corpo ad essere sbagliato, ma le leggi di mercato.

In Specchio delle mie brame, l’autrice riporta questa osservazione:Alla fine dell’Ottocento, secondo la rivista”The Cutter Up”, il catalogo della catena di distribuzione Sears forniva trentanove taglie femminili (…). Lo stesso catalogo Sers, nel 1966, forniva un totale di sole venti taglie, divise per quattro categorie sulla base di altezza e struttura del corpo, mentre la catena di magazzini JC Penney, nel 1967, mostrava abiti con sole sette taglie diverse.

Perché queste variazioni? La ragione era dovuta al fatto che, negli anni Venti e Trenta, ci si rese conto che le alterazioni delle taglie rappresentavano un enorme costo di produzione e il rischio di rimanere con moltissima merce invenduta, dunque era più conveniente produrre lo stesso numero di capi per un range ristretto di misure.”

In poche parole, da decenni le donne sono state gradualmente indotte ad adeguare i loro corpi a strategie di produzione e vendita sempre più restrittive, costringendo la loro fisicità ad allinearsi a taglie che avevano come unico scopo quello di vendere e non quello di valorizzarle.

Questo inganno ha portato generazioni di ragazze, cresciute con le riviste di moda in bella mostra sul tavolino del salotto all’idea sbagliata di dover adeguare il corpo al vestito, all’incapacità di amarsi così come sono e di riconoscere la bellezza in sé e nelle altre. Anzi, la vergogna e il body shaming sono diventati degli strumenti subdoli di educazione, portando ad un monitoraggio corporeo costante e ad una maggiore insoddisfazione corporea.

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Specchio, Specchio delle mie brame, possiamo rompere l’incantesimo?

Pare esserci un maleficio sugli specchi: sembrano riflettere soltanto le nostre imperfezioni, tutto ciò che non sopportiamo dei nostri corpi. Ma c’è una buona notizia: possiamo rompere l’incantesimo. Leggere questo meraviglioso libro che seziona con intelligenza e sensibilità il falso mito della bellezza attraverso un’acuta osservazione e studi scientifici, storici e sociologici, potrebbe già essere un primo passo.

Possiamo riappropriarci dell’idea di bellezza, farla nostra, riempirla coi nostri significati, con le esperienze che ci fanno sentire bene nel nostro corpo, che ci fanno sentire valorizzate, che ci aiutano ad avere un’esperienza positiva della nostra corporeità. La bellezza è un’esperienza in divenire, non una dittatura.

Non dobbiamo essere belle. Possiamo esserlo.

Possiamo sentirci belle coi chili di troppo o di meno, con i capelli grigi, le rughe, l’acne, la cellulite, il naso lungo, il collo corto, con tutto ciò che il mercato ha usato contro di noi per monopolizzare le nostre risorse economiche, mentali ed emotive, perché la bellezza autentica trascende le imperfezioni sui quali si focalizza lo specchio stregato della società di consumo. Ma soprattutto, possiamo sentirci forti, intelligenti, capaci, coraggiose, determinate, e legittimate ad essere di più, molto di più, del nostro modo di vestirci, truccarci e apparire.

La fisicità è soltanto un frammento del nostro essere, che non deve essere circoscritto dal marketing, perché i nostri corpi ci servono fondamentalmente per vivere, per gioire, per ballare, danzare, creare, agire nel mondo, … I nostri corpi meritano amore e rispetto per ciò che ci permettono di fare, per ciò che ci permettono di essere.

Forse possiamo ricominciare a relazionarci alla bellezza partendo dal piacere di viverci, con semplicità. Senza giudicarci. Andando oltre il nostro riflesso nello specchio.

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foto sensoriale di una donna con gli occhi chiusi.
Credit foto © Pexels

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Sandra Saporito
Autrice e operatrice in Discipline Bio-Naturali
www.risorsedellanima.it





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