Vita e morte non sono due estremi lontani l’uno dall’altro. Sono come due gambe che camminano insieme, ed entrambe ti appartengono. In questo stesso istante stai vivendo e morendo allo stesso tempo. Qualcosa in te muore a ogni istante. Nell’arco di settant’anni la morte arriverà a compimento. In ogni istante continui a morire, e alla fine morirai davvero.
(Osho)
Trovarsi in un bar e discutere della morte: è questo l’obiettivo del Death Cafè, un evento pubblico che ha lo scopo di rendere la tematica della morte più familiare. Un modo per sciogliere nodi, per dare parola ai non detti, per affrontare paure e preoccupazioni, per confrontarsi con gli altri.
Solitamente questi incontri avvengono in locali pubblici come bar o sale di ristoranti, può capitare però che le serate vengano organizzate anche in case private. I partecipanti sono un piccolo gruppo di persone (10 o 12 solitamente) che sentono il bisogno di discutere e di confrontarsi a ruota libera riguardo ad un tema così importante che tocca tutti noi.
I calendari attraversano ogni anno il giorno della nostra morte e non ci dicono nulla. Che grande discrezione che hanno.
(Fabrizio Caramagna)
In un mondo che fatica sempre di più a vivere la morte, ad accettarla, ad accoglierla come parte della vita, il Death Cafè appare un gesto rivoluzionario in grado di seminare consapevolezza.
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Com’è nato il Death Cafè
Sempre sul sito ufficiale del Death Cafè si legge:
Il primo Death Cafe nel Regno Unito è stato offerto nella casa di Jon a Hackney, East London nel settembre 2011. È stato facilitato dalla psicoterapeuta Sue Barsky Reid , la mamma di Jon. È stata un’occasione meravigliosa. Abbiamo continuato a offrire Death Cafes in una serie di luoghi tra cui caffè funky, case popolari, cimiteri, una yurta e la Royal Festival Hall.
Jon e Sue Barsky Reid hanno prodotto una guida per gestire il proprio Death Cafe , basata sulla metodologia sviluppata da Sue. Questo è stato pubblicato nel febbraio 2012 e la prima persona a ritirarlo fuori dal Regno Unito è stata Lizzy Miles a Columbus, Ohio. Successivamente centinaia di persone hanno lavorato con noi per fornire Death Cafes in tutto il mondo.
La morte interessa tutti, è un tema che ci riguarda da vicino non solo perché ognuno è destinato a morire, ma anche perché è una compagna di vita che ci appare spesso durante la nostra esistenza: tutti, prima o poi, affrontiamo lutti di persone care e questi accadimenti scavano nel profondo della nostra interiorità. Viviamo in una cultura che tende a rifiutare la morte, a non considerarla parte della vita, ad allontanarla invece di accoglierla. Il Death Cafè ha il grande obiettivo di ridare alla morte il posto che le spetta e lo fa davanti ad un caffè, simbolo universale di compagnia e di momento di rilassamento, per farci comprendere che è nella quotidianità che dobbiamo iniziare a dialogare con la morte e con i suoi misteri, per giungere al momento della nostra dipartita pronti, consapevoli, veri.
“Tutti, più o meno, siamo prigionieri delle nostre abitudini, paure, illusioni. Le sofferenze dovrebbero indurci ad abbandonare l’ego, che chiude la strada del ritorno alla nostra natura divina”.
Franco Battiato
Per provare a dare alla morte il posto che le spetta nelle nostre vite vi consigliamo di vedere il meraviglioso film documentario “Attraversando il Bardo”, regia di Franco Battiato.
Le caratteristiche di un Death Cafè
Secondo il modello di Death Cafè ideato da Jon Underwood tutti possono organizzare un Daleth Cafè: egli ha lasciato indicazioni precise per poterlo fare. Potete leggere la sua guida sul sito ufficiale di Daleth Cafè. Ciò che è importante sottolineare è che l’intento del progetto non è terapeutico, questi gruppi sono gruppi di confronto, di lettura, di riti, di incontro con il tema della morte, per riuscire a sciogliere tabù e a rendere il morire più familiare. E’ l’unico modo per affrontare la vita con più leggerezza e consapevolezza.
Incontrarsi e parlare dinnanzi ad un caffè dei propri pensieri, delle proprie idee, delle proprie esperienze è un modo per stare insieme costruttivamente e non superficialmente, è una via sociale per sviluppare vicinanza ed empatia, una soluzione per condividere le proprie emozioni, per sentirsi meno soli, per dare voce al proprio cuore.
Quand’ero ragazzo era un fatto corale. Moriva un vicino di casa e tutti assistevano, aiutavano. La morte veniva mostrata. Si apriva la casa, il morto veniva esposto e ciascuno faceva così la sua conoscenza con la morte. Oggi è il contrario: la morte è un imbarazzo, viene nascosta. Nessuno sa più gestirla. Nessuno sa più cosa fare con un morto. L’esperienza della morte si fa sempre più rara e uno può arrivare alla propria senza mai aver visto quella di un altro.
(Tiziano Terzani)