Quando sono andata con Antonella Soldati a Ponna, paese natio dei suoi nonni, per raccogliere fiori e piante e imparare a ricavarne idrolati e oleoliti, ci ha proposto di andare a vedere un grande albero secolare. Purtroppo alla fine di un intenso fine settimana non siamo riuscite a incontrarlo. Fino a che, nel mese di novembre 2022, è uscito il primo libro che Antonella Soldati ha scritto, dal titolo “Vecchio faggio e contalestorie“, edito da Porto Seguro. Le illustrazioni sono di Ettore Montesi, studente dell’accademia di Belle arti di Milano.
Il libro apre proprio con il diario di viaggio per raggiungere il comune lariano – il cui tragitto sembra di ripercorrere insieme con l’autrice in macchina per Ponna.
E finalmente posso vedere il grande vecchio faggio attraverso la sua descrizione:
Un tronco immenso, composto da diversi tronchi.
Quasi un villaggio di tronchi, una grande comunità. Da lì partono radici rugose, possenti e antiche, si diramano tutte intorno e si intrecciano prima di immergersi nella terra. Giriamo intorno a questo straordinario monumento della natura. Il tronco non è molto alto, alla base si apre formando una sorta di terrazza naturale in cui sostare, da lì una serie di rami si alzano verso il cielo, anche i rami sono forti e rugosi.
(Antonella Soldati, Vecchio faggio e contalestorie, Ed. Porto Seguro)
Dopo la descrizione il faggio si presenta come il Foo di parol, ovvero “il Faggio delle parole,
Parole ascoltate, vissute
parole che sussurro al vento e che viaggiano lontano
parole che si posano nelle ferite del mio tronco per essere ascoltate”.
L’albero delle parole è la prima voce narrante del libro. Foo di parol, infatti, a conclusione della sua
presentazione, introduce la seconda voce narrante, ossia la donna che si è accucciata dentro la sua cavità: Antonella Soldati dall’albero nominata Contalestorie. A lei Foo affida le storie alle quali il vecchio faggio ha assistito nel corso dei secoli per poi tramandarle a Contalestorie e lei a noi lettori.
Le foglie stanno volando via dal mondo e sopra c’erano dei messaggi e degli enigmi che non abbiamo decifrato.
Anche le mani: lette poco, troppo poco; anche le rughe, i lobi… Non abbiamo letto che dei libri.
(Guido Ceronetti, I pensieri del tè)
Si tratta non di storie personali e familiari, ma di eventi che ripercorrono la Storia all’indietro nei secoli, che costituiscono gli anni dell’albero, che ha 870anni.
E poi la gente, (perché è la gente che fa la storia)
quando si tratta di scegliere e di andare,
te la ritrovi tutta con gli occhi aperti,
che sanno benissimo cosa fare.
Quelli che hanno letto milioni di libri
e quelli che non sanno nemmeno parlare,
ed è per questo che la storia dà i brividi,
perché nessuno la può fermare.
La storia siamo noi, siamo noi padri e figli,
siamo noi, bella ciao, che partiamo.
La storia non ha nascondigli,
la storia non passa la mano.
(Francesco De Gregori, La storia)
La prima storia è, dunque, ambientata ai tempi del Covid 19, quando le certezze scricchiolano.
“È una storia triste, di dolore sono tempi strani questi. gli umani verso il senso della vita, stanno attraversando una dura prova. Chissà se saranno capaci di farne tesoro” dice il vecchio faggio, abitato da un falco, al quale un corvo ha raccontato una storia di Milano.
Ecco, frate Francesco, noi i falchi li abbiamo convertiti, e i falchi, come falchi, l’adorano il Signore. E poi, frate Francesco, pure i passeretti l’abbiamo convertiti; e pure i passeretti, come passeretti, per conto loro je stà bene, l’adorano il Signore. Ma fra di loro si sgrugnano, s’ammazzano… E che ci posso fà io… Se ci stà la classe falchi e la classe dei passeretti, che non possono andà d’accordo fra di loro
(Pier Paolo Pasolini, Uccellacci e uccellini)
Sin da questo primo racconto appare chiaro che l’autrice non sta scrivendo di storie personali, perché la percezione del periodo pandemico è quella che abbiamo provato tutti: il silenzio rotto soltanto dal suono delle sirene dell’ambulanza, la pessima condotta nel seguire il periodo da parte dei mezzi di informazione e della Scienza che si fa mera matematica dando numeri che celano che la malattia e pure la morte dovranno essere vissute in assoluta solitudine dove la paura rimbomba ancora più forte del suono delle sirene. Ma comprendiamo anche che non sta raccontando nemmeno la Storia dell’umanità, ma di emozioni, d’altronde il Vecchio faggio ci ha subito avvisati che questa prima storia è triste e dolorosa.
È l’autrice stessa che afferma:
Non ho scritto storie personali, ma emozioni
(Antonella Soldati)
E il silenzio si fa “denso di paura…È una paura particolare, una paura di cose concrete, della morte, della malattia, di aver perso il lavoro, di non poter più avere dei rapporti con la persona fatta di sguardi o dei tocchi di vicinanza”.
Il viaggio all’indietro nel tempo tra gli anelli del faggio continua nel Novecento dove Foo racconta la storia di migrazione della madre di Antonella Soldati, che intraprende il viaggio di notte da clandestina per raggiungere la Svizzera.
I due seguenti capitoli tramandano i mestieri tradizionali della montagna, che altrimenti rischierebbero l’oblio e per non dimenticarne la bellezza e lo svolgimento comunitario: il lavoro del fieno, a memoria della società rurale, e il lavoro per trasformare la legna in carbone.
Il primo è un racconto di felicità e di un primo amore che sboccia; il secondo, che pure amplifica l’amore – stavolta quello famigliare – trasuda letteralmente la fatica dell’antico mestiere del carbonaio, descritto così minuziosamente, proprio come deve essere meticolosa ai limiti del pignolo, la costruzione della carbonaia, in un’affinità di stile narrativo e stile di messa in opera della carbonaia, che mostra evidentemente il gusto per la narrazione di Foo di parol, di Antonella Soldati e dei tanti altri narratori che riferiscono uno dietro l’altro la propria storia: i protagonisti della storia raccontata, gli animali sono gran chiacchieroni e su tutti i nonni, da sempre depositari delle storie e del sapere, ponte sacro tra antenati e posteri.
Canto la vita che ride
Felice di un giorno di nebbia
Di sole se cade la neve
Canto la sorpresa nei gesti dell’amore
Canto chi mi ha preceduto
Chi nascerà
Chi è qui con me
Solo in questo spazio essenzialeL’amore non lo canto
È un canto di per sé
(Pgr, “Montesole”)
Sarà una nonna appartenente al mondo animale (dei cervi) a giustificare il potere narrativo degli anziani:
La madre del branco ha vissuto più tempo di tutti noi e ti può insegnare tante cose della vita. Ascoltala, alcune cose le puoi imparare da lei, altre solo da te stessa. Ascoltala, ascoltati e ascolta il mondo
(Antonella Soldati, Vecchio faggio e contalestorie)
La protagonista e la narratrice del quinto racconto coincidono in Rachele “ la Maga, la Strega, la Sciamana, ‘la Chela’ che è il mio compito nella vita”, è la breve autobiografia che Rachele scrive di sé in una sola riga. Prima ha raccontato che tutti i paesani la richiedono per gli unguenti che prepara con le erbe, nessuno escluso, persino il parroco che nelle sue prediche ammonisce di stare lontano dal Demonio e dalle sue erbe, riferendosi a lei. Ma Rachele, quando lui si rivolgerà a lei per curarsi non può fare a meno di preparare pure per lui un unguento, perché lei è la Natura stessa, che vuole difendere se stessa e le sue creature:
che mi ha portato a fare quello che dovevo, non potevo rifiutarmi di darlo al parroco, l’unguento non è mio, è la natura che ha fatto sì che io lo trovassi e lo lavorassi. Non sono io, è lei che mi ha chiamato, e anche oggi sono qui per questo richiamo.
(Antonella Soldati, Vecchio faggio e contalestorie)
Negli ultimi capitoli c’è proprio il trionfo della Natura, specialmente di quella connessa a Foo di parol, che sembra quasi scrivere la propria autobiografia, affidata a Contalestorie. Questa inizia con il racconto del generoso genitore (il monte è denominato Generoso perché ha la vocazione di donarsi e così di generare, “perché solo tramite il dono si può essere vita”) : il Monte Generoso che lo ospita, poi passa al 1400 quando Foo era adolescente, come Tullio che lo va a trovare e a dormirci per una notte. Segue il ricordo di due animali locali simbolo che potremmo incontrare con un po’ di fortuna: i cervi e i falchi, fino alla nascita di Foo dal seme nel 1100.
Per narrarci il 1500, il ricordo di Foo va al monte. La montagna è ancora più vecchia di un albero secolare, ha un’età che si perde nell’infinito, com’è infinita la storia della vita.
Se la vita è sventura,
perché da noi si dura?
Intatta Luna, tale
è lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
e forse del mio dir poco ti cale
(Giacomo Leopardi, “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”)
E assistiamo a un concerto della Natura tutta, dal brulichio di animaletti e terra dell’humus fin su nell’aria del vento che si accorda ai suoni della fauna che il monte ospita. Acqua di pioggia e di nuvole.
“Ninetto Davoli-Otello: E che so’ quelle?
Totò- Jago: Quelle sono, sono le nuvole…
Ninetto Davoli: E che so’ ste nuvole?
Totò: Mah…
Ninetto Davoli: Quanto so’ belle, quanto so’ belle!
Totò: Ah, straziante, meravigliosa bellezza del creato”
(Pier Paolo Pasolini, dialogo finale tra Ninetto Davoli e Totò, marionette rappresentanti Otello e Jago, gettate in discarica con lo sguardo al cielo in “Cosa sono le nuvole?”-Capriccio all’italiana)
Acqua come elemento tra i 5 del ciclo energetico della Medicina tradizionale cinese. Acqua battesimale che lava via le impurità e purifica. La montagna viene salita da una donna, stavolta non mossa dalla danza – come la maggior parte delle donne presenti – ma dal vento e dalla mancanza, che lascia silenzio urlato per la perdita dell’amato marito.
Avrei voluto baciarti con la forza del vento
Urlarti che t’amo
Con un filo di voce
Ti salutai
Come si saluta il panettiere
(Piermario Giovannone in Gianmaria Testa, “Avrei voluto baciarti”)
In questo capitolo emerge più che negli altri il fil rouge del libro di Soldati: il rapporto Uomo-Natura che qui è proposto evidentemente nella fusione della vedova in Foo:
“Vieni verso di me, donna, fatti accogliere dalla mia terra annusa il mio odore”
(Antonella Soldati, Vecchio faggio e contalestorie).
È talmente stretto questo rapporto Uomo-Natura, che ricorrono in quasi tutti i capitoli vere e proprie metamorfosi sin dall’introduzione dove la metamorfosi è sinestetica sin dalla prima fusione tra Foo e Contalestorie: la bocca dell’albero raggiunge l’udito della donna che si è accovacciata dentro la sua cavità come in un abbraccio e la donna trasforma le sue labbra in quelle del vecchio faggio che la accoglie e questa fusione avviene in reciproco contraccambio:
Il sentimento di gratitudine mi apre il cuore ed è talmente forte che si ingroppano alla gola e mi riempie gli occhi di lacrime
(Antonella Soldati, Vecchio faggio e contalestorie)
Anche nel secondo capitolo c’è una vera e propria fusione della bambina e dei suoi nonni fuggiaschi con la Natura tra metafisica e surrealismo: l’immersione delle persone nella notte buia e nerissima, con i suoi fitti alberi da cui si sporgono e scorgono frammenti di uomini, come nel quadro La firma in bianco di René Magritte, nel quale la cavallerizza nasconde gli alberi e gli alberi la nascondono a loro volta.
Le cose visibili possono essere invisibili. Se qualcuno va a cavallo in un bosco, prima lo si vede, poi no, ma si sa che c’è.
(René Magritte)
La natura filtra anche dalla fitta presenza di animali che abitano il bosco attraversato: le civette che incutono tanta paura nella bambina in viaggio e il cerbiatto che invece porta sollievo. È talmente abbondante la fauna del bosco che viene in mente che la storia personale dei nonni con la madre di Soldati in fuga, siano i personaggi di una favola, che ha come protagonisti gli animali, personaggi principali per eccellenza delle favole sin da Esopo, e come quelle che racconta ai bambini nonna Nòe.
Ne “I carbonai”, la metamorfosi è interna alla natura: il lavoro dei carbonai è il mestiere di coloro che trasformano la legna in carbone vegetale, molto diffuso in Italia fino alla metà del secolo scorso, nelle località di montagna. In questo racconto, il rapporto Uomo-Natura richiama l’interconnessione buddhista, secondo cui la natura è semplicemente l’ambiente in cui vive l’uomo, con le conseguenze dei disastri ambientali che ha prodotto.
Non ci si salva da soli… Soltanto insieme possiamo realizzare una nuova prospettiva che guardi al futuro: speranza vuol dire comunità.
(incipit del programma di Vesak 2022 a Torino)
La base di questo concetto primario del buddhismo deriva dalla nozione di “interessere”, per la quale ognuno di noi è interconnesso all’altro, ma soprattutto agli altri regni in una complessa rete.
Oltre all’ecosistema, noi non ci rendiamo conto, per esempio, che stiamo danneggiando anche il nostro stesso ecosistema interno: nel nostro organismo vive un’enorme quantità di microbi e di virus, nel nostro intestino, nella nostra pelle, che ci aiutano a digerire ci aiutano a far funzionare bene il nostro sistema immunitario. Molte malattie sono legate all’igiene del mondo moderno: se i bambini giocano nella terra pulita, nella terra non avvelenata dai pesticidi – che uccidono i microbi – prendono i microbi della terra che fanno bene e ci aiutano. Non ci rendiamo conto di questo come distruggiamo il mondo microbico con i veleni agricoli, così distruggiamo il nostro mondo microbico con gli antibiotici”.
(Franco Berrino)
Nel capitolo su Rachele il rapporto Uomo-Natura è complicato con il Femminile, compresenza che compare anche in altre storie, nelle quali la donna entra leggera a passi di danza.
Con queste parole torna a battere il tempo, i miei passi ritmati danno forma e forza al mio essere Donna.
(Antonella Soldati, Vecchio faggio e contalestorie)
E le metamorfosi si hanno sino agli ultimi capitoli: ne “La cerva”, La madre del branco di cerve spiega ai cuccioli:
Per gli umani siamo il simbolo della trasformazione perché tutti gli anni, in primavera, i nostri maschi depongono i loro maestosi palchi, per poi rinnovarsi nel giro di pochi mesi con altre nuove ramificazioni. È vero, questa è la nostra forza, abbandonarci all’armonia della natura con fiducia. È fondamentale conoscerne il ritmo.
(Antonella Soldati, Vecchio faggio e contalestorie)
La vedova fusa con il vecchio faggio riflette sulla mortalità dell’Uomo opposta all’eternità della Natura
Quando il “desiderio d’infinito” si impossessa della vita di un uomo fino a inaridire il suo presente, questo “anelito” diviene una forma patologica di dipendenza.
(Aldo Carotenuto, “Le lacrime del male”)
La ciclicità della vita naturale riporta Foo a pensare alla propria adolescenza e a quella Di Tullio, che lo abita anche lui dentro le sue braccia di rami per un’intera notte stellata. Questo capitolo è un vero e proprio notturno che indaga l’età dell’uomo in cui tutto è possibile, tutto è energia vitale, rappresentata attraverso la metafora della corsa a cavallo di Tullio sulla vetta del Monte Generoso. Una corsa che presto si trasforma in una corsa fin su nel cielo stellato di scintille di fuoco, sotto il quale stanno Tullio e Foo, che lo ha accolto facendosi riparo.
I due capitoli autobiografici successivi sono focalizzati su due animali simbolo della zona: i cervi e i falchi e i loro modi comportamentali opposti. Infatti, i cervi vivono in comunità, sono solidali tra loro, tuttavia i cervi maschi vivono separati dalle cerve femmine e il penultimo capitolo è proprio intitolato a due di esse: una mamma cerva puerpera che dà alla luce una cerbiatta nel grembo di Foo, dove regnano equilibrio e armonia nunzi di un evento importante e unico, quale è la nascita di un nuovo essere vivente. Dopo il parto, la cerva non dovrà separarsi dalla figlioletta, come invece è avvenuto per il primogenito maschio.
Perché, spiega la madre alla sua creatura: “Maschi e femmine vivono divisi, due branchi diversi, ma non separati perché fanno parte della grande tribù della natura”.
Si ritrovano nella stagione degli amori.
Psicologa: Dimmi che cosa hai sognato ieri notte
Endre: Ho sognato di essere un cervo.
Maria: Avevo molta fame; anche il mio compagno era lì
Endre: Ho bevuto in un ruscello
Maria a Endre: Eri un animale nel tuo sogno?
(Ildikó Enyedi, “Corpo e anima”)
In questo capitolo torna prepotente il femminile e con esso la danza: danzano le farfalle e gli uccelli intorno al branco di cerve femmine.
Al contrario, i falchi vivono in coppia tutta la vita e si occupano insieme della cura dei pulli. Lo scopo dell’autrice è, dunque, quello di descrivere due comunità diverse.
Tuttavia, in entrambe le storie animali segue lo stesso percorso: la nascita e la crescita dei figli, in solitaria per la cerva che comunque può contare sulle altre femmine del branco, in coppia per i falchi che amorevolmente si scambiano i turni per proteggere i pulli. La crescita è fatta di insegnamento ed educazione. Nonostante ciò, anche nel “Falco” spicca il femminile con la madre Brezza, sebbene a raccontare sia il compagno Soffio. Il femminile è annunciato anche in questo capitolo da passi di danza con la quale la coppia vola e nidifica su Foo, pure l’accoppiamento è immaginato come danza nuziale. E la danza dei rapaci è permessa dal vento, che – nelle sue varietà – dà nome a tutti i membri della famiglia.
La terra attendeva indecisa
qualche movimento del cielo
e tutto il mondo era rimasto
indecifrabilmente immobile.In quel momento sottile
infisse il falco il suo volo,
si staccò dal firmamento
e cadde come un brivido.
(Pablo Neruda)
Nell’ultimo capitolo, Foo, dopo aver assistito al parto della fauna che si protegge in esso, racconta la propria nascita: “ La mia nascita, un ricordo sempre presente lì nelle mie radici”.
Avvertiamo subito il cambio di registro nella descrizione dei parti, scientifico per quelli faunistici, mentre immaginario,ma verosimile, per Foo di Parol, nascita che seguiamo dalla inseminazione del seme caduto dal cielo nella terra, germogliato per luce attraverso la terra bagnata e mosso dal vento.
E poi arrivi tu
e facciamo quello che va fatto,
cambiamo il profumo alle rose
fermiamo l’auto in piena notte
andiamo a vivere sugli alberi.
(Daryoush Francesco Nikzad)