Capirsi senza le parole, intuendo tutto da uno sguardo… Questo è uno dei cliché più diffusi della narrazione dell’amore romantico. Quello di due persone unite in un unico intramontabile idillio… La fantasia è che l’altro possa essere per noi un libro aperto. O che, a sua volta, il partner possa intuire ciò che stiamo pensando o sentendo al di là di qualsiasi spiegazione. Si tratta di illusioni, troppo spesso alimentate da film e romanzi rosa. Ma che in realtà possono danneggiare la possibilità di instaurare relazioni intime soddisfacenti.
Capirsi senza parlare, insomma, non è quasi mai possibile e aspettarsi questo non si rivela mai un buon affare…
Conoscersi non è leggersi nella mente
Da quando faccio questo lavoro mi capita spesso, come ad altri miei colleghi, di ritrovarmi in una situazione piuttosto “tipica”. Una persona che ho appena conosciuto, nel momento in cui apprende che faccio la psicologa, si affretta a mettersi sulla difensiva dicendo qualcosa come “non è che mi stai analizzando”?
Anche le persone che arrivano per la prima volta nel mio studio spesso portano l’aspettativa/timore che io abbia la facoltà di comprendere ciò che avviene nella loro mente al di là di quello che mi comunicheranno a parole. Magari solo interpretando la loro comunicazione non verbale… Di solito questi ultimi hanno la possibilità di scoprire che, no, non sono in grado di leggere nel pensiero. E che possono avere il diritto di mantenere il riserbo su qualsiasi questione finché non si sentiranno pronti a parlarne. Che sono invece interessata a ciò che hanno da dire, ai silenzi che hanno bisogno di mantenere e a quello che loro per primi pensano della natura e delle cause dei loro problemi. Una comunicazione empatica non ha nulla a che vedere col “leggere” nella mente dell’altra persona.
Conoscere qualcuno e farsi conoscere non è come sollevare di colpo un “velo” e rendere autoevidente qualcosa. Assomiglia più a ciò che facciamo quando illuminiamo una stanza con la luce di una candela. Possiamo rischiarare solo alcuni punti alla volta e questi tutti insieme ci consentiranno di farci un’idea del posto in cui ci troviamo. Ma non avremo mai la visione chiara e globale dell’intera stanza…
Farsi vedere, essere visti e nascondersi dall’altro
Quanto detto sopra potrà apparire più chiaro facendo riferimento a due psicologi che idearono uno schema proprio per esprimere visivamente questo concetto.
Era il lontano 1955 e Joseph Luft e Harry Ingham stavano studiando le dinamiche di gruppo. Idearono una rappresentazione grafica di come le persone si conoscono e si fanno conoscere. Quella che passò alla storia come la “finestra di Johari” (dalla prima parte dei nomi dei due) è una sorta di schema diviso in quattro quadranti. Ricorda l’immagine di una finestra così come la rappresenterebbe un bambino (nel web ne trovate diverse rappresentazioni).
Area pubblica. È l’immagine che scegliamo consapevolmente di dare di noi stessi agli altri. Le confidenze che decidiamo di fare. Quello che insomma facciamo intenzionalmente conoscere di noi. L’ampiezza di questo quadrante sarà naturalmente più o meno grande a seconda della confidenza e intimità che abbiamo con una persona.
Area segreta. Non tutto ciò che conosciamo di noi scegliamo di renderlo evidente a chi ci sta di fronte. Tutti noi, anche nelle relazioni più intime, hanno segreti, emozioni, pensieri che devono rimanere privati.
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Area cieca. Alcuni lati di noi potrebbero non esserci così chiari come invece appaiono ad un osservatore esterno. Pensate a come un amico o un partner possano incoraggiarci e vedere i nostri pregi là dove noi magari vediamo solo paure e insicurezze. Gli altri possono, ma solo in una certa misura, farci da specchio e restitutrici aspetti che possiamo vedere con chiarezza solo grazie al loro aiuto.
Area ignota. E poi naturalmente ci sono tutti quei lati della nostra personalità che ancora non conosciamo. Potrebbero essere rabbia o tristezza represse. O risorse e potenzialità che ancora aspettano il momento giusto per emergere. Anche noi, insomma, non siamo mai completamente trasparenti a noi stessi!
Capirsi senza parole, dunque, è piuttosto lontano dalla realtà delle cose!
L’illusione di capirsi senza le parole
Da quanto esposto fin ora appare forse più chiaro come quella del conoscersi sia più una danza reciproca dove ognuno ha un suo spazio da giocare per aprirsi all’altro, ma anche per incuriosirsi e provare a comprenderlo.
Ma allora perché nelle relazioni intime, si pensi ai rapporti di coppia, ci si aspetta di capirsi senza le parole? È un fenomeno piuttosto diffuso. Se ad esempio il partner fa o dice qualcosa che ci ferisce invece di comunicarglielo esplicitamente mettiamo il muso, smettiamo di parlare. E quando l’altro ci domanda spiegazioni rispondiamo con un laconico “niente”… Oppure esplodiamo direttamente in un escalation di esasperazione rabbiosa perché lui/lei non mostra di aver afferrato ciò che a nostro parere dovrebbe già aver capito!
Questi atteggiamenti portano sempre ad una comunicazione inefficace.
Alla radice di queste incomprensioni c’è spesso la fantasia che per essere una coppia felice si debba essere fusi l’uno con l’altro. Che ci si debba sentire “una cosa sola”. Questa è forse la sensazione che descrive le prime fasi dell’innamoramento quando sono soprattutto l’attrazione fisica e una certa idealizzazione a far da padrone. È fisiologico vedere le cose in questo modo nei primi momenti effervescenti di una conoscenza. Ma in realtà dell’altro sappiamo ancora ben poco e siamo lungi dal conoscerlo veramente.
Se rimaniamo ancorati a questa aspettativa fusionale dell’amore romantico rischiamo di non riuscire ad apprezzare l’altro per come veramente è, ma di viverlo solo come un’estensione di noi stessi.
Capirsi senza le parole o assumersi la responsabilità di farsi conoscere?
L’altra persona non è un detective e non può fare continue interpretazioni dei nostri stati d’animo inespressi.
Capirsi senza le parole può avvenire per gioco, in momenti fugaci, quando due persone effettivamente si comprendono al volo sulla base di un’intimità pregressa. Si pensi a due genitori che hanno ormai imparato come gestire alcune emergenze dei propri bambini. O due coniugi che ridono sotto i baffi di qualche familiare che hanno bonariamente preso in giro fra loro.
Ma quando ci sentiamo feriti o delusi dal partner questa aspettativa non funziona. Per comunicare in modo efficace dobbiamo assumerci la responsabilità dei nostri vissuti e di come stiamo contrattando il nostro benessere nella relazione. Anche questo significa farci conoscere!
“La tendenza a giudicare gli altri è la più grande barriera alla comunicazione e alla comprensione.”
(Carl Rogers)
Punti chiave per non cedere al tranello del capirsi senza le parole
Vediamo allora alcuni punti chiave da provare a tenere a mente per non cadere nel tranello del “dovresti averlo già capito!”.
- Per dire all’altro come vi sentite dovete averlo prima chiaro a voi stessi. Alle volte capita di sentirsi di malumore, irritati ma fondamentalmente confusi sulla natura dei propri sentimenti. Magari qualcosa che il partner ha detto o fatto ci ha innervosito in maniera apparentemente esagerata. O non abbiamo ancora ben riflettuto su cosa esattamente ci sta facendo sentire delusi e perché. Poter riconoscere e comprendere le proprie emozioni è il primo passo per poterle comunicare. Mai dunque usare l’altro per “sfogare” un generico malumore. Il nostro partner non è il nostro pungiball!
- Dite come vi sentite, non date giudizi. Affinché il partner ci ascolti e non vada sulla difensiva è importante fare attenzione alle parole che usiamo. Quando ci sentiamo offesi o arrabbiati siamo tentati di generalizzare e accusare l’altro dicendo “tu sei così…”. Limitiamoci a dire qualcosa come “quando tu…. io mi sento….”. Mettiamo l’accento sui nostri sentimenti affinché possano essere accolti dall’altro.
- Chiedete quello di chi avete bisogno. Proprio perché l’altro è diverso da noi potrebbe non essere in grado di “intuire” che cosa noi vogliamo. Ci sono ad esempio persone che quando sono tristi vogliono solo essere lasciate in pace. E che potrebbero faticare a comprendere che altre desiderano invece che le si stimoli al dialogo. Abbiamo la responsabilità di farci conoscere anche in questo senso dal partner. Di dire a parole di cosa abbiamo bisogno per avere sostegno o conforto.
“Amare significa comunicare con l’altro e scoprire in lui una particella di Dio.”
(Paulo Coelho)