In era di reality e di televisione dove il pudore non esiste e l’amore è dipinto come sesso esibito sotto i riflettori e le telecamere dietro cui ci sono – è bene ricordarlo – gli occhi di sconosciuti a riprendere quello che vedranno altri occhi, quelli di un vasto pubblico guardone, baci che si scambiano tra uomini e donne come fossero figurine. Oggi l’amore mostrato in televisione è mero esibizionismo triviale senza altro scopo che mostrare e mostrarsi.
“Ho bisogno della trivialità […] per difendermi dalla spiritualità”
(Elio Petri, Le buone notizie)
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La storia dell’arte ha sempre trattato con pudicizia il rapporto uomo-donna, tant’è che quando Édouard Manet espose al Salon di Parigi del 1863 La colazione sull’erba, talmente sconvolgente per quei tempi che Napoleone III decise di istituire un Salon des Refusés, dove venne confinata l’opera di Manet, che aveva indignato i benpensanti della borghesia per la presenza della donna nuda dipinta al centro in compagnia di due gentiluomini vestiti di tutto punto, e tacciarono l’intero quadro di una scandalosa «indecenza». Con la pietra dello scandalo furono esposte opere di Claude Monet, Camille Pissarro, James Whistler.
Ancora nel 1913, Marcel Duchamp scandalizzò l’Armoury Show, esponendo il suo Nudo che scende le scale, colpevole di dinamizzare i nudi, fino ad allora sempre ritratti sdraiati o comunque statici, così come le donne di Manet.
La situazione non cambiò nella Germania nazista dove le opere – alcune ai limiti della pornografia – degli espressionisti principalmente tedeschi furono esposte all’Entartete Kunst (Arte degenerata).
Dopo questi primi sdoganamenti, la settima arte condivise la stessa sorte: oggi ci siamo affatto dimenticati la poesia di film come Hiroshima mon amour
Io ti incontro in ricordo di te. Questa città è fatta su misura per l’amore. Tu sei fatto per il mio corpo. Chi sei? Tu mi uccidi. Avevo fame, fame d’infedeltà, d’adulterio, di menzogne e di morte, da sempre. Sapevo che un giorno ci saremmo incontrati, che attendevo con una pazienza senza limiti ma calma. Divorami, deformami a tua somiglianza, così che nessun altro, dopo te, non capisca il perché di tanto desiderio. Resteremo soli, amore mio.
( Alain Resnais, Hiroshima mon amour,, 1959)
Michelangelo Antonioni tratta l’amore come uno smarrimento astrale, che coglie l’apice negli ultimi 10 minuti de L’eclisse. Dove anche i movimenti della macchina da presa sembrano fermarsi, per comunicarci la sospensione cui ci obbliga l’amore in una maniera emotivamente devastante.
Vorrei non amarti, o amarti molto meglio
(Michelangelo Antonioni, L’eclisse, 1962)
E persino quando alcune pellicole diedero scandalo, questo non coinvolse i circuiti ufficiali. Per esempio, Bella di giorno (1967), ispirato a un modesto romanzo di Joseph Kessel, è un film sui desideri erotici di una donna inibita ma soprattutto una visione surreale della crisi morale della borghesia, tema caro al regista Luis Buñuel. L’opera fu prevedibilmente aggredita per il contenuto scabroso, e ampiamente censurata in Italia, ma fu accolta positivamente dall’élite cinematografica, tanto da aggiudicarsi il Leone d’Oro a Venezia. Séverine, interpretata da Catherine Deneuve, è una giovane donna benestante, intrappolata in uno sterile rigore morale. Il rapporto con il marito è freddo e distaccato, la vita di tutti i giorni è banale e noiosa.
Pier Paolo Pasolini per il film Teorema, venne accusato da uno spettatore di oscenità, senza alcun fondamento, il regista poeta gira, tra il 1971 e il 1974 la Trilogia della vita: il Decameron ottenne 80 denunce per la presenza della carnalità, tuttavia il regista dirà della Trilogia: “Ho fatto questi film per criticare indirettamente il presente, il presente consumistico che non amo”.
Negli anni Ottanta è arrivato il filone dei film trash, che grandi registi, come Quentin Tarantino apprezzano, ma basta metterli a confronto con quelli precedenti per capire che a livello emozionale non riescono a dare nulla agli spettatori. Non vorremmo aprire una “cineteca dei Rifiutati”, né fare censura o moralismo, ma sensibilizzare sul Bello e sulla Poesia di alcuni lavori artistici che trattano il tema dell’amore in modo profondo e delicato, come le Danae di Tiziano e di Klimt, fecondate mentre la donna dormiva – quindi non consenziente – da Zeus sceso su di lei in forma di pioggia d’oro.
Poi la deriva in televisione che ha esondato il trash dagli argini. La reazione del pubblico? Applausi ed esaltazione del più volgare perché anche questo è amore e, finalmente, ci siamo tolti il giogo della religione e del peccato originale che, una volta commesso, ci ha rivestiti da capo a piede a coprire le vergogne.
In questo panorama deprimente, lo scroscio della pioggia d’oro di Tiziano torna a bagnare Danae nel film Corpo e anima della regista ungherese Ildikó Enyedi, che ha spiegato le intenzioni del suo film, perfettamente raggiunte, affermando che il film è nato:
“dal desiderio di parlare della mia visione della condizione umana e delle nostre scelte di vita… sentivo la necessità di raccontare una storia d’amore passionale e travolgente nel modo meno passionale e spettacolare possibile”.
(Ildikó Enyedi)
Le prime particolarità insolite che caratterizzano questo film si scorgono innanzitutto nella direzione al femminile in un mondo che è prettamente maschile.
E forse soltanto una donna possiede la sensibilità e la delicatezza d’animo per tratteggiare la nascita di un amore ancora come lo avrebbe dipinto un pittore rinascimentale.
Poi la forma scelta per raccontare l’innamoramento tra Endre, direttore amministrativo, e Maria, responsabile del controllo di qualità in un mattatoio industriale alla periferia di Budapest.
“La meno passionale e spettacolare possibile” e, infatti: non una parolaccia, non una sbavatura, non una nudità, la normalità dell’eccezione. La possibilità di un incontro e in quell’incontro la condivisione di una quotidianità. Anzi Enyedi rinuncia persino a mostrare l’avvicinamento dei corpi dei due protagonisti, sostituendoli con quelli di due cervi bellissimi che entrambi sognano ogni notte cercarsi, perdersi, annusarsi per conoscersi, bere alla stessa fonte, così come nella realtà condividono la pausa pranzo.
Ci scriviamo
Va bene
Mi manca il suo odore
Ci parliamo quando dobbiamo
E questo ci si addice
(Laura Marling – What He Wrote)
La regista deve accedere all’onirico perché questo è davvero un amore da sogno e perché Endre e Maria nella realtà non sono come i due cervi da favola: l’uomo è mutilo di un braccio e scavato in volto dalla vecchiaia e dalla solitudine, Mária è mal sopportata al lavoro per il suo comportamento autistico e perché eccessivamente puntigliosa. Anche Endre si lamenterà con lei, per questo suo atteggiamento che le fa classificare i capi da macello come di livello B, mentre per lui è carne di primissima scelta. Oltre al comportamento affatto asociale, Maria mostra anche un aspetto strambo: con i suoi capelli biondissimi e un pallore malato da cui escono due occhioni da cerbiatta, quasi pare un alieno, è, infatti, estranea al mondo. Non sa quale musica le piaccia, né cosa sia il contatto fisico, ma dopo i suoi incontri in sogno con il cervo Endre dal corpo vigoroso e corna rampicanti l’aria innevata, cerca di imparare, recandosi dallo psicologo che la seguiva nell’infanzia, stadio in cui è rimasta ferma nella realtà.
Io ero bella, sì, e di biondo avrei avuto anche gli occhi, ma povera di soldi, di carte, di tarocchi per la strada.
(Stefano Vergani, Io ero bella)
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Quando la psicologa Klára arriva al mattatoio per indagare le personalità dei lavoratori al fine di scoprire il colpevole di un furto dall’inventario, Endre e Mária riferiscono entrambi lo stesso sogno: una coppia di cervi, maschio e femmina, in una foresta silenziosa e innevata, Klára presume che si stiano prendendo gioco di lei. Venuti a sapere della strana coincidenza, sebbene inizialmente scettici, Endre e Mária decidono di non ignorare l’intimità che li lega nei loro sogni e, per quanto il comportamento disturbato di Mária allontani temporaneamente Endre, alla fine formano uno stretto legame superando la difficoltà di ricreare nella realtà il rapporto intimo e tenero dei cervi sognati. Fino a che le loro solitudini fanno i primi tentativi di unirsi per non essere più soli, ma essere un tuttuno.
https://www.mymovies.it/film/2017/onbodyandsoul/trailer/
Tu pensi che si possa vivere da soli? Sempre da soli?
No, non mi pare che sia possibile. È assurdo vivere da soli. Proprio per quello che dicevo prima, che si ha bisogno di tenerezza, se no c’è da spararsi. Guardami negli occhi. Se un giorno ti dicessi che potrei amarti, tu saresti felice? Certo che lo sarei.
(Jean-Luc Godard, Il maschio e la femmina – Masculin, féminin ).
Nel film, dunque, i corpi nella realtà fragili dei due innamorati, sono sostituiti nel sogno da quelli di due bellissimi e vigorosi cervi. La macchina da presa insiste particolarmente sulle corna (definiti “palchi”, perché di tessuto corneo) del cervo maschio, che non sono permanenti, ma cadono ogni anno, alla fine della stagione degli amori, per riformarsi tutti gli anni nello stesso modo, dicendoci che nell’innamoramento dei due protagonisti non si intravvedono le disabilità o le imperfezioni dell’altro.
“Se ti prendessi un’ala e la sentissi
scricchiolare
non potrei riconoscerti come faccio
nel sonno, nella veglia, nel mattino
perché tra il vero e il falso non una cruna
può trattenere il bipede o il cammello”
(Eugenio Montale, L’angelo nero)
La regista rincara la dose, con la contrapposizione tra i due bellissimi cervi liberi e i bovini rinchiusi in attesa d’essere macellati.
Il macellaio è iconografia tipicamente espressionista per dipingere ricchi oppressori che instaurano rapporti con le donne basati sulla pura fisicità, suggeriscono l’immagine di rudi dai grugni suini che brandiscono a piene mani pezzi di carne.