La poesia è un processo profondamente intimista tant’è che a scuola fin da piccoli ci insegnano a imparare a memoria le poesie, ma non a scriverle, semmai a parafrasarle trasformandole così in prosa e quindi distruggendone il contenuto lirico, al quale, così facendo, ci disabituano. Basti pensare, poi, che cercando sui dizionari non c’è alcuna definizione univoca del termine poesia, perché è ineffabile, essendo espressione di un’emozione, un’immagine, un fatto, un pensiero o un sentimento. L’etimo viene dal greco poièsis, ossia creazione.
A tutti i giovani io raccomando:
aprite i libri con religione,
non guardateli superficialmente,
perché in essi è racchiuso
il coraggio dei nostri padri.
Soprattutto amate i poeti:
essi hanno vangato per voi la terra
per tanti anni, non per costruire tombe
o simulacri, ma altari.
Pensate che potete camminare su di noi
come dei grandi tappeti
e volare con noi oltre
la triste realtà quotidiana
(Alda Merini)
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La storia della poesia
Le origini della poesia sono da ricercare ancor prima della scrittura.
Perché l’esigenza di esternare la propria interiorità è già presente nelle civiltà più antiche: la prima poetessa della storia di cui abbiamo notizia è la sacerdotessa sumera Enheduanna (il cui nome significa “ornamento della dea”), vissuta nel XXIV secolo a.C. in Mesopotamia. Come Saffo, si fa portavoce della cultura e della letteratura tutta al femminile. Scrive di argomenti biografici: d’amore prima, dopo la perdita di due fratelli, emergono temi più dolorosi, il dramma dell’esilio, il lutto, la perdita.
Nei caratteri geroglifici del papiro Chester Beatty si leggono i versi d’amore di una coppia di innamorati che si pensano a vicenda: le sue origini sono da ricercare ancor prima della scrittura.
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Perché l’esigenza di esternare la propria interiorità è già presente nelle civiltà più antiche: la prima poetessa della storia di cui abbiamo notizia è la sacerdotessa sumera Enheduanna (il cui nome significa “ornamento della dea”), vissuta nel XXIV secolo a.C. in Mesopotamia. Come Saffo, si fa portavoce della cultura e della letteratura tutta al femminile. Scrive di argomenti biografici: d’amore prima, dopo la perdita di due fratelli, emergono temi più dolorosi, il dramma dell’esilio, il lutto, la perdita.
Nei caratteri geroglifici del papiro Chester Beatty si leggono i versi d’amore di una coppia di innamorati che si pensano a vicenda:
«L’unica, l’amata, la senza pari,
la più bella di tutte,
guardala,
è come la stella fulgente
all’inizio di una bella annata»«Con la sua voce,
Il mio amato turba il mio cuore […].
Galoppa il mio cuore,
quando penso al mio amore.
Non mi permette di camminare come una persona umana,
e trasalisce»
(L’inizio delle parole della grande gioia del cuore, Papiro Chester Beatty)
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La storia della poesia tocca uno dei suoi apici con i poemi omerici, quando la scrittura era ancora ignota e i poeti erano praticamente costretti a ricordare tutto a memoria e spettava tramandarle agli aedi o cantori, figure sacre equiparate ai profeti. L’Iliade è tradizionalmente datata 750 a.C. circa, e Cicerone afferma nel suo De oratore che Pisistrato avesse disposto la sistemazione in forma scritta già nel VI secolo a.C., ma per oltre un secolo fu tramandata oralmente. E anche il primo verso dell’Iliade chiama la diva a cantare l’ira del Pelide Achille. Nelle origini c’è uno stretto legame tra i poeti e l’aspetto divino, perché il poeta è proprio l’intermediario tra le divinità e gli uomini. Il poeta attiva il suo genio con l’ispirazione delle Muse figlie del dio Apollo. La musa della Poesia è Calliope (dal greco «dalla bella voce»), che nell’iconografia tradizionale è raffigurata con stilo e tavolette in mano. Cosmè Tura mette in mano a quella destinata allo studiolo di Belfiore un ramoscello sottile gravido di ciliegie mature.
Per favorire la trasmissione orale della poesia, gli autori, oltre che di strumenti grazie ad alcune figure retoriche, conferivano una musicalità al testo messo in metrica rimata, Omero usò gli esametri, che da lì in poi diventeranno il verso tradizionale di tutta la poesia greca e latina, di cui furono esponenti di spicco Saffo, che scrisse soprattutto di amore non corrisposto, motivo per cui si tolse la vita gettandosi da una rupe, e Catullo, che compose poesie leggere, brevi e con tematiche – soprattutto amorose – semplici e quotidiane, e che per questo rompevano con la tradizione omerica, divenuta a suo parere ormai stancante.
La lirica latina di età augustea è erede diretta di quella greca. Ne è esempio evidente l’Eneide di Virgilio, caposaldo per i successivi poemi della nostra penisola. Virgilio è anche autore delle Bucoliche, che daranno spazio anche ad un altro tipo di poesia, quella elegiaca — di cui il più famoso cantore è Ovidio (Amores e Ars amatoria) — che si distanzierà dalla epica e politica, mettendo al centro di tutto, invece, l’ozio e l’amore.
Passiamo in rassegna soltanto la poesia nazionale perché la storia della Poesia internazionale è altrettanto vasta e basterebbe leggere i versi dei poeti dell’Italia, terra di santi, poeti, navigatori.
Le radici della nostra poesia sono da cercare nella poesia volgare, cristiana con Francesco d’Assisi, giullaresca con Cielo d’Alcamo.
I secoli bui del Medioevo furono abbagliati dai più grandi poeti di sempre: il Sommo poeta Dante, Boccaccio e Petrarca, precursore dell’Umanesimo nel quale c’è un ritorno all’epica con i poemi di Ludovico Ariosto e di Torquato Tasso.
E, dopo Dante, i più grandi poeti italiani sono Giacomo Leopardi, Giovanni Pascoli e i poeti del Novecento Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo.
Oggi la poesia è osteggiata talvolta dagli studenti forse per l’immancabile compito di doverla memorizzare a tutti i costi, o studiare, senza invece quasi mai cercare di farla comprendere realmente, probabilmente perché venendo dal profondo dell’animo di chi la scrive, solo l’autore e chi con lui è in sintonia può sentirla fino in fondo.
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A dialogo con Daniele Cargnino, un poeta contemporaneo
I poeti di oggi più noti sono i cantautori così evocativi già nell’etimo dei cantori delle origini. Ma non soltanto: ancora molti sentono la necessità di versificare i sentimenti della propria anima e vita. Come Daniele Cargnino con il quale abbiamo parlato di poesia in occasione della Giornata mondiale della Poesia fissata dall’Unesco il 21 marzo per riflettere sul potere del linguaggio e sul pieno sviluppo delle capacità creative di ogni persona. Per l’Italia, questo giorno coincide in particolare anche con la data di nascita della nostra più grande poetessa: Alda Merini nel 1931. Non nostra: la poesia è di tutti. La Giornata mondiale della Poesia supporta anche la diversità linguistica attraverso l’espressione poetica e offre alle lingue a rischio di estinzione l’opportunità di essere ascoltate all’interno delle loro comunità.
Parliamo di poesia con Daniele Cargnino, poeta torinese di 34 anni che ha già pubblicato tre raccolte liriche per Ensemble: Blu oltremare, La sposa nella pioggia e I depressi odiano l’estate. Daniele Cargnino lavora come videomaker e sceneggiatore di cortometraggi, bassista punk e dj per Blackout, una radio indipendente torinese, ottimo fotografo della sua Torino, di cui si possono ammirare i suoi scatti metafisici. Una vita all’insegna delle arti, in primis dell’ars poetica, di cui è anche accanito divulgatore.
Se per molti la poesia è considerata una forma di scrittura antica e sorpassata e il genere poetico è sottovalutato, non lo è affatto per Cargnino.
Forse non è facile diventare poeti. Su Pier Paolo Pasolini diceva Alberto Moravia:
“Un poeta, e ne nascono pochi in un secolo, uno o due al massimo
(Alberto Moravia)”
Invece secondo il poeta Daniele Cargnino: “Secondo me sono cambiati i modi, semplicemente la poesia si è evoluta”. I suoi autori preferiti? “Io sono un giovane vecchio nel senso che preferisco quelli del passato. Tra i miei preferiti ci sono Cesare Pavese e Jack Kerouac. Tuttavia ho la fortuna di essere una persona molto curiosa: guardo tanti film, ascolto tanta musica e leggo moltissimo. Tutto questo mi dà stimoli e suggestioni a scrivere”.
Lo scrittore si è avvicinato alla poesia al liceo classico, quando ha iniziato a scrivere racconti da lui definiti “veramente brutti”, per poi passare alla poesia quando alle superiori ha iniziato a leggerne.
Poche persone, finite le scuole, leggono raccolte poetiche, prediligendo la narrativa. E anche stavolta Cargnino ammonisce: “Vale la pena di leggere per scoprire qualcosa di nuovo. E vale anche la pena di scrivere, ognuno ha il suo motivo. Per esempio, per me scrivere poesie è una forma terapeutica che fa uscire fuori, qualche volta lenire quello che c’è dentro, alle volte è il contrario: scrivo proprio per alimentare queste patologie”.
“I lettori sono fortunati: non saranno mai soli o annoiati”.
(Natalie Babbitt)
Scrittore, lettore e divulgatore, così da condividere la sua conoscenza. Spiega Cargnino: “È importante promuovere ogni forma d’arte perché è bella e il Bello va condiviso e soprattutto reso accessibile a tutti. Fosse per me i miei libri non li farei pagare”.
Daniele Cargnino ci racconta che i suoi argomenti traggono ispirazione dalla sua vita: “Scrivo delle mie esperienze, di quello che ho provato, momenti della mia vita, dai ricordi fino all’esperienza, ai pensieri semplicemente trasposti dalla testa alla carta”. Cargnino scrive anche tanto di amore, tema prediletto dai poeti, ma il poeta de I depressi odiano l’estate precisa: “Ci sono tanti tipi d’amore, ognuno ne scrive indirizzandolo a una donna, a un uomo, alla natura, oppure amore per il proprio paese”. Gli altri temi su cui a Cargnino piace scrivere sono :“il mio vissuto, attingo da quello che ho vissuto, o sto vivendo, dal tema del ricordo e della memoria fino a situazioni più leggere”.
“Chissà come sarebbe stato
vivere una vita diversa da questa
Senza mal di testa
con grandi aspettative
senza essere così egoista
senza farmi odiare per ogni giorno che passerà
e il tempo che avanza
mi fa così tanta paura
non sono chi avrei voluto essere
non so nemmeno chi sono ora
bloccato da piccoli sabotaggi
che compio verso me stesso
forse credendo così di vincere la guerra”
(Daniele Cargnino in I depressi odiano l’estate, editore Ensemble)
Quest’anno si celebra il centenario di Pier Paolo Pasolini che cominciò la sua carriera da poeta con poesie dialettali e la Giornata mondiale della Poesia intende proprio salvare le lingue a rischio d’estinzione.
È importante questa necessità, anche Daniele l’ha avuta? “No, perché non sono in grado di scrivere in dialetto, sebbene lo abbia sentito parlare sia dai miei genitori, che da mio nonno. Lo capisco sicuramente, lo parlo poco, scrivere assolutamente no, però ammiro chi lo parla lo scrive e lo promulga”. Quindi anche Cargnino sostiene l’intento della giornata mondiale della Poesia di salvare le lingue a rischio di oblio, “Perché le radici sono tutto, senza radici noi non siamo niente. Le radici e la memoria sono tutto ciò che abbiamo”.
Le fonti di ispirazione del poeta
Per Eugenio Montale, il male di vivere era una fonte di ispirazione
“Spesso il male di vivere ho incontrato”
(Eugenio Montale)
Il male può essere una fonte d’ispirazione? Quali sono le fonti di ispirazione del poeta? Dentro le poesie di Cargnino c’è sempre tanta nebbia e malinconia: “La nebbia fa parte di Torino, anche oggi è una giornata grigia. Sono una persona malinconica, poi specialmente l’ultimo anno è stato molto duro per me, diciamo che forse non potrei essere altrimenti. Però cerco sempre di equilibrare questa malinconia con qualcosa di più felice e spensierato. Cerco di essere sincero con me stesso, altrimenti chi andrà a leggere i miei scritti, si accorgerebbe che fingo”.
E poi ci spiega la sua poetica: “Potrebbe essere come una ricetta di cucina, con vari ingredienti: ci sono temi che possono andare dalla tristezza, malinconia, al passato che non vuole passare. Un elemento che torna spesso è il mare, in tante poesie che ho scritto ci sono ambientazioni e paesaggi marini, così come è molto presente Torino: devo attingere da ciò che conosco. Situazioni sentimentali quasi tutte finite male e quindi sensi di colpa, fallimenti, delusioni”. La prima raccolta di Daniele Cargnino si intitola Blu oltremare.
“Giulia, nuda
È una pioggia estiva che accarezza il corpo del mare
È la periferia di una città fatta di nervi e carne
Senza la sua maglietta preferita persa in chissà quale viaggio”.
(Daniele Cargnino in Blu oltremare)
Cargnino è poetico in tutte le forme d’arte cui si dedica: in musica è punk, ma da quando ha riscoperto il cantautoriato si è convinto che anch’esso sia una forma poetica, le sue fotografie sono metafisiche, le sue poesie lampi. “Allora – mi ferma Cargnino – la definiamo temporalesca” E spiega il suo segreto:
“La poesia devi averla un po’ dentro di te, se qualcuno riesce a sentirla, meglio ancora. Raggiungo uno dei miei obiettivi quando qualcuno riesce a trovare se stesso dentro quello che scrivo”.
“Amarti m’affatica
Mi svuota dentro
Qualcosa che assomiglia
A ridere nel pianto”
(Giovanni Lindo Ferretti)
La giornata mondiale della Poesia si celebra nel primo giorno di primavera. La poesia ha un rapporto privilegiato con questa stagione? “Non saprei – risponde Cargnino – perché quello che scrivo io è molto autunnale”.
Cargnino sottolinea che il 21 marzo, oltre ad essere il primo giorno di primavera “è il giorno in cui è nata Alda Merini”.
“Poi fate l’amore.
Niente sesso, solo amore.
E con questo intendo i baci lenti sulla bocca,
sul collo, sulla pancia, sulla schiena,
i morsi sulle labbra, le mani intrecciate,
e occhi dentro occhi.
Intendo abbracci talmente stretti
da diventare una cosa sola,
corpi incastrati e anime in collisione”
(Alda Merini)
Al posto della primavera, nelle poesie di Cargnino c’è tanta nebbia, pioggia e autunno “probabilmente perché –spiega l’autore – nel momento in cui le ho scritte avevo dentro tutto questo, perché se in certi momenti della vita ti senti piovere dentro, ti senti tutto bagnato”.
“Ricorda il motivo per cui scrivi
l’illusione che i ricordi
possano tornare dal fondo di ogni parola.
(Daniele Cargnino ne I depressi odiano l’estate)
I motivi per scrivere
Qual è il motivo per cui scrivi? “Innanzitutto per me stesso, poi perché mi sembra che posso avere qualcosa di interessante da dire, e infine per far uscire fuori lo stato d’animo che ho dentro, come per esorcizzarlo”.
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