L’ansia è uno dei motivi più comuni per i quali le persone si rivolgono ad un professionista della salute mentale. Alcuni studi condotti sugli esiti delle psicoterapie sono però giunti a conclusioni decisamente inaspettate: l’ansia non veniva affatto eliminata ma continuava a far parte dell’ “arsenale” emotivo di questi pazienti anche dopo aver concluso un percorso psicoterapeutico (Gabbard, 2005).
Sembra fra l’altro che alcune predisposizioni genetiche possano rendere alcune persone più vulnerabili di altre a reagire in modo ansioso di fronte agli eventi. Tali tratti “innati” non sembrano affatto risultare controproducenti per l’adattamento della specie umana dato che si sono evidentemente mantenuti nel nostro patrimonio genetico fino ad oggi.
L’ansia dunque è tutt’altro che da eliminare e sembra anzi importante ai fini evolutivi e dell’adattamento. Possibile?
Beh dipende cosa ce ne facciamo della nostra ansia, come la utilizziamo o se, al contrario, ci facciamo “usare” da essa. Le “ansie” non sono affatto tutte uguali…
“L’ansia è come una sedia a dondolo: sei sempre in movimento, ma non avanzi di un passo.”
(Jodi Picoult)
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Come si capisce se si soffre di ansia?
L’ansia non è una semplice emozione ma uno stato psicosomatico di allerta sollecitata da cause variegate e multifattoriali. Potremmo pensare l’ansia come una sorta di proto-emozione: una matrice indifferenziata di reattività agli eventi (interni e/o esterni) ancora non definita in uno specifico stato emozionale. Si compone di tutta una serie di elementi psichici e fisici che fanno parte della modalità innata con la quale il nostro organismo produce una reazione di allarme quando presagisce il possibile avvicinarsi di una minaccia.
In questa caratteristica di “previsionalità” sta tutto il potenziale adattivo e distruttivo dell’ansia.
Questa reazione generale di adattamento, infatti, impone all’organismo di spendere una grande quantità di energia:
– i muscoli si contraggono (per prepararsi ad una reazione tipo “combatti o fuggi”)
– il respiro di fa corto e affannoso
– il cuore batte all’impazzata
– lo stomaco si contrae
– psichicamente aumentiamo l’attenzione e la vigilanza
– proviamo una sensazione di disagio, siamo in attesa del sopraggiungere di una possibile minaccia o di un compito gravoso e dedichiamo tutte le nostre energie a prevenirli o prepararci ad affrontarli.
Pensiamo ad uno studente che debba sostenere un esame: sarebbe un gran problema se non avesse alcuna ansia perché non sarebbe motivato a concentrarsi e a dare la precedenza allo studio in vista della prova che lo attende.
I problemi sorgono quando la nostra reazione ansiosa è sproporzionata e/o “fuori tempo” rispetto alla portata del reale pericolo o alla sua durata.
Alcune persone poi permangono cronicamente in uno stato di ansia di base: questa è la loro modalità di affrontare gli eventi col risultato che finiscono col non avere idea di cosa le renda ansiose. L’ansia disfunzionale può essere senza oggetto e presentarsi come uno stato di agitazione fluttuante e fuori controllo che domina la vita della persona. È quello che accade ad esempio a coloro che soffrono di un disturbo d’ansia come il disturbo di panico o di DAG (ansia generalizzata).
In questi casi l’ansia è un problema perché esaurisce progressivamente le risorse fisiche e psichiche della persona e le impedisce di avere la giusta dose di lucidità per pensare.
“La nostra ansia non viene dal pensare al futuro, ma dal volerlo controllare.”
(Khalil Gibran)
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Cosa fare contro gli attacchi d’ansia?
L’ansia disfunzionale non va confusa con una sorta di paura eccessiva degli eventi: non è attraverso rassicurazioni e spiegazioni razionali che potrà essere smorzata, non c’è nulla di ragionevole nell’essere preda di disturbi ansiosi.
Per affrontare l’ansia e rimodularla in termini adattivi tre sono le dimensioni su cui, a seconda dei casi, può essere utile intervenire.
1. Riconoscere l’ansia come parte di sé e non come parte aliena al sé.
Chi sperimenta un’ansia disfunzionale (attraverso sintomi dell’attacco di panico, della preoccupazione generalizzata, dei disturbi psicosomatici più vari o di fobie o ossessioni più o meno invalidanti) percepisce questo stato come totalmente al di fuori del proprio controllo. Si sente passivo, impotente e vittima di quanto gli accade scambiando spesso i sintomi psicosomatici per malesseri corporei. Il primo passo è riconoscere tali sintomi come segnali di uno stato della mente smettendo di ricercare cause e soluzioni “somatiche” ad un disagio psichico.
2. Invertire i circoli viziosi psicosomatici e della “paura di avere paura”.
Chi soffre d’ansia spesso è talmente in apprensione per gli effetti invalidanti che questa può comportare da vivere in perenne attesa della crisi successiva. Questa sorta di ansia secondaria è caratteristica di coloro che soffrono di attacchi di panico ricorrenti, ma anche di coloro che soffrono di fobie e che monitorano costantemente le situazioni per evitare di ritrovarsi a dover affrontare l’oggetto o la situazione temuta. Inoltre, chi sperimenta gli aspetti somatici più importanti dell’ansia (come le reazioni neurovegetative del panico o il rossore al volto della fobia sociale), può finire col distorcere e mal interpretare i segnali corporei. Questi ultimi finiranno con l’essere interpretati come segnali di un pericolo (chi ha un attacco di panico può aver paura di morire o di avere un infarto in atto ad esempio, chi soffre di agorafobia o di fobia sociale può essere annichilito dall’idea che gli altri vedano il proprio rossore o le mani che sudano e temere che non ci l sarà nessuno a soccorrerlo). Il risultato è che appena insorge un stato d’ansia il corpo manda dei sintomi che non fanno altro che alimentare un ulteriore stato di allerta e preoccupazione aggravando in tal modo l’ansia e la reattività somatica stessa in un circolo vizioso senza fine.
Molti metodi di rilassamento, come ad esempio il Training Autogeno (Schultz, 1932) o il Rilassamento Muscolare Progressivo (Jacobson,1938) possono essere utilizzati per invertire questo circolo vizioso. Rilassando il corpo la persona prende confidenza con i propri stati di reattività somatica, impara a riconoscere tali meccanismi e a disinnescarli raggiungendo progressivamente un rilasciamento corporeo che porterà secondariamente anche a calmare la mente.
3. Esplorare le motivazioni (alcune sono solo apparenti o pretestuose).
A volte l’ansia insorge senza un apparente motivo (si pensi agli attacchi di panico durante i sonno), altre volte vaga di meta in meta senza circoscriversi ad un ambito specifico (è i caso dell’ansia generalizzata), altre ancora ha un oggetto ben definito (come nelle fobie) che tuttavia non costituisce di per sé alcun pericolo “reale”, l’allerta e l’evitamento messi in atto dalla persona risultano quindi sproporzionati e ingiustificati su un piano oggettivo.
Insomma che ci sia o meno una causa, nei disturbi d’ansia essa appare a volte “pretestuosa”: in alcuni casi quindi,oltre ad un trattamento sintomatico e cognitivo dell’ansia, può essere utile un percorso più esplorativo che affronti anche le motivazioni inconsce e relazionali di tale disturbo. Non è infrequente, ad esempio, che il sintomo ansioso rappresenti una soluzione di “compromesso” che la psiche trova fra due motivazioni /bisogni in contrasto tra loro, un esempio è il conflitto tra bisogno di autonomia e paura dell’abbandono. Molti disturbi d’ansia in età adolescenziale o nella prima età adulta segnalano questi conflitti relativi all’autonomia e vanno affrontati nel più ampio contesto dello “stallo evolutivo” che il ragazzo o la ragazza sta attraversando.
“Tensione è chi pensi che dovresti essere. Rilassamento è quello che sei.”
(Proverbio cinese)
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Cristina Rubano