La vulvodinia è una delle problematiche più frequenti, ma non sempre correttamente diagnosticate e trattate, del tratto genitale femminile. Si tratta di una sindrome dolorosa cronica che riguarda l’area vulvare associata a dolore e dispareunia non sostenuta da alcun processo patologico diagnosticabile a livello corporeo.
Sulla componente psicosomatica di questo disturbo si sono avvicendate negli anni diverse posizioni che hanno spesso portato a convinzioni e credenze errate o fuorvianti su questa patologia.
Vulvodinia psicosomatica: non è una malattia “immaginaria”
La vulvodinia può essere spesso sottodiagnosticata o diagnosticata in ritardo, specie se il personale sanitario collude con la paziente alla ricerca di un agente infettivo, di un’eziologia somatica che debba a ogni costo rendere ragione, a livello esclusivamente somatico, di questo problema. Questo atteggiamento rischia di generare ancora più frustrazione e impotenza nella donna che facilmente si convincerà di essere affetta da un misterioso “male” che tiene in scacco la sua vita affettiva e sessuale.
Anche l’ipotesi della componente psicosomatica viene ancora troppo frequentemente interpretata in termini sminuenti e colpevolizzanti dalle donne. Il fatto che alla base di un dolore pelvico cronico possano esserci componenti psicosomatiche non significa né che la donna abbia una sorta di “male immaginario” (il dolore è reale), né che ne abbia una qualche tipologia di “colpa” e neanche che si tratti allora di una questione di poco conto per la quale basta “rilassarsi un po’” (come se, poi, per farlo bastasse sentirselo ordinare dal dottore!).
Se una donna soffre di vulvodinia soffre di una patologia complessa e multifattoriale, con implicazioni sia fisiche che psicosomatiche e psicosessuologiche: necessita di un ascolto clinico e di un approccio terapeutico ancor più attento e complesso.
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Vulvodinia psicosomatica: cause e conseguenze
Possiamo individuare in questa patologia tre ordini di fattori: i fattori predisponenti, quelli di mantenimento e quelli relativi a problemi causati secondariamente dal perpetuarsi della vulvodinia.
- Fattori predisponenti alla vulvodinia
Gli studi condotti su vaste popolazioni di donne con dolore vulvare cronico hanno rintracciato diversi fattori pregressi che sembrerebbero rappresentare elementi di rischio e maggior vulnerabilità al manifestarsi di questa problematica. Alcuni riguardano eventi traumatici direttamente implicanti l’area genitale come: pregresse infezioni, disturbi organici, pregressi aborti o eventi patologici e/o chirurgici relativi all’area genitale, parti traumatici o difficoltosi. Altri riguardano più squisitamente l’area affettiva come conflitti relazionali nella coppia, esperienze sessuali traumatiche o di abuso, disagi psicologici o altre disfunzioni sessuali.
- Fattori di mantenimento della vulvodinia
Il dolore pelvico cronico non è fatto tutto dal corpo e neanche tutto dalla mente ma si produce e si auto mantiene (spesso in un circolo vizioso che aggrava il problema) grazie alla sinergia di queste due dimensioni. Tutti noi possiamo avere un’area del corpo o un organo bersaglio su cui automaticamente scarichiamo lo stress. È stato documentato come nelle donne con vulvodinia sia presente un assetto di anomala contrazione a livello della muscolatura della pelvi e dell’area genitale che tende a mantenersi nel tempo (senza cioè tornare mai ad uno stato di completo rilassamento) e ad intensificarsi nei momenti di maggiore stress (non soltanto relativi all’area della sessualità). La contrazione muscolare aumenta la percezione del dolore (se stiamo contratti sentiamo più dolore questo vale per qualsiasi distretto corporeo) e questo a sua volta costituisce un elemento di stress e paura che induce il corpo ad aumentare ulteriormente lo stato di contrazione. Si tratta di un meccanismo psicobiologico che non può essere compreso o trattato solo da un punto di vista somatico o psichico ma necessita evidentemente di un approccio integrato.
- Problematiche secondarie legate alla vulvodinia
Poiché la vulvodinia coinvolge e condiziona in maniera importante l’area della sessualità e quindi dell’identità sessuale e degli affetti, se il problema diventa cronico può invalidare pesantemente la vita affettiva e l’autostima della donna. Questa potrebbe essere portata a provare vergogna, a sentirsi in qualche modo colpevole o “difettosa” a causa del suo problema, impotente e scollegata dal proprio corpo e dal proprio desiderio sessuale (poiché un’area che dovrebbe consentire di provare piacere è associata ad esperienze nocicettive spiacevoli). Per questi motivi è importante che di questa problematica si possa parlare più diffusamente e che il personale sanitario sia preparato al meglio non solo nelle terapie ma anche nelle modalità migliori di gestire la relazione con le pazienti.
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Come si può curare la vulvodinia?
La terapia richiede un approccio sia medico-ginecologico che psicologico. È utile che si insegni alla paziente a ritrovare il corretto stato di rilassamento della muscolatura pelvica e genitale e interrompere il circolo vizioso tensione-dolore-tensione. A trattare i fattori traumatici eventualmente associati e migliorare l’autostima e il senso di padronanza del proprio corpo.
Da questo disturbo guarire è possibile, parlarne con sensibilità e rispetto è un dovere.
“È stato provato che chi si trova in una condizione di umore favorevole guarisce dalle malattie in modo più rapido e completo rispetto a chi è di umore negativo. Peraltro il vecchio detto mens sana in corpore sano e la più recente psicosomatica collegano la salute all’insieme corpo e personalità.”Vittorino Andreoli, La gioia di vivere, 2016
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Cristina Rubano