Il significato di maieutica etimologicamente fa riferimento all’arte ostetrica, e riguarda il metodo socratico fondato proprio sull’arte di “tirar fuori” dall’allievo la sua verità piuttosto che persuaderlo o indottrinarlo dall’esterno con saperi precostituiti.
Si tratta di un metodo dialettico di indagine filosofica, descritto nei Dialoghi di Platone che hanno appunto come protagonista il filosofo greco Socrate.
Il dialogo socratico si basava su un’interazione dialogica nella quale il filosofo fingeva, mediante l’ironia socratica, di situarsi sullo stesso orizzonte culturale del proprio allievo (senza dare a vedere di essere dunque colui che ne sapeva di più) ponendo delle domande e interloquendo con le risposte dell’interlocutore attraverso la confutazione delle ipotesi illogiche o infondate. In tal modo egli aiutava l’allievo a mettere in discussione credenze, opinioni e assunti dati fino a quel momento per assoluti e scontati in modo che potesse autonomamente individuare una sua verità più aderente alla realtà.
Cosa può insegnarci il dialogo socratico ancora oggi?
“La prima condizione perché il dialogo sia possibile è il rispetto reciproco, che implica il dovere di comprendere lealmente ciò che l’altro dice.”
(Norberto Bobbio)
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La maieutica socratica ai giorni nostri
La maieutica si fonda su due principi fondamentali: il rispetto per l’interlocutore e la fiducia nelle sue capacità di pensiero e comprensione della realtà. Assenza di giudizio dunque, ma anche assenza di autoritarismo o di imposizione di saperi.
Un esempio di maieutica è, o dovrebbe essere, insito nella relazione educativa, soprattutto in ambito scolastico dove il fine non dovrebbe essere quello di trasferire semplicemente delle nozioni da una mente (quella del docente) ad altre (gli allievi), ma di rendere questi ultimi in grado di comprendere, assimilare quelle informazioni e utilizzarle come strumenti per pensare con la propria testa, per orientarsi nella realtà. Che non sia sufficiente saper “leggere, scrivere e far di conto” lo vediamo bene oggi quando sempre più spesso sentiamo parlare di “analfabetismo funzionale”: quell’utilizzo sterile e replicativo delle conoscenze di base che molte persone fanno senza mostrare di saper esercitare un pensiero critico, una comprensione profonda di ciò che accade nel mondo in cui vivono. A che serve leggere un giornale se non si è in grado di comprendere ciò che si sta leggendo o se non si è in condizione di porsi domande o interrogativi? A che serve apprendere date e nomi della Seconda guerra mondiale se non si è compresa la complessa dinamica storica e sociale che ha reso possibile l’avvento dei totalitarismi del ‘900?
La maieutica nella relazione educativa prevede invece che proprio attraverso il dialogo, il confronto, le domande e il pensiero critico si possano comprendere e fare propri i concetti che danno senso a quell’insieme di date, nomi, fatti asetticamente elencati in un libro di testo. La maieutica è l’arte di interagire con l’altro e stimolare la sua capacità di pensare cosa che, come ci ricorda Hannah Arendt, molti durante il periodo dei totalitarismi smisero di fare aderendo burocraticamente alla “banalità del male”.
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La maieutica nella psicoterapia
Spesso all’inizio di una psicoterapia alcuni pazienti aspettano di ricevere “risposte”, consigli, soluzioni operative su cosa fare, cosa dire o cosa pensare per iniziare a risolvere i propri problemi. È un’aspettativa tutto sommato legittima nel contesto delle professioni sanitarie: dal medico ci attendiamo risposte, prescrizioni, ordini… Siamo cioè più spesso abituati a demandare la nostra salute nelle mani di un esperto che, compreso il problema, ci dirà che cosa fare per risolverlo. Se tutto questo rimane valido, almeno in parte, nelle relazioni medico-paziente, la relazione fra psicologo e cliente deve fondarsi su basi differenti. In ballo non c’è un meccanismo fisico, un processo somatico obiettivo, concreto e oggettivabile da “aggiustare” e riportare all’equilibrio precedente. In ballo, detta in altri termini, non ci sono i fatti ma i vissuti. Non ci sono gli accadimenti fuori dalla persona, ma come la persona stessa li sta vivendo emozionalmente in virtù della propria storia di vita, del proprio carattere, delle proprie aspettative o timori.
In questo senso la maieutica può essere in parte accostata al colloquio psicologico o psicoterapeutico (alcuni orientamenti come la psicologia cognitivo-comportamentale vi fanno esplicito riferimento). Non si tratta cioè di dire dall’esterno cosa una persona debba fare o quale sia l’opzione migliore, ma di aiutarla a pensare sulle proprie modalità di fronteggiare gli eventi e su perché in quel momento della sua vita non stiano risultando più funzionali. Non si tratta di dare risposte o consigli, ma di mettere la persona in condizione di pensare e intraprendere autonomamente le proprie scelte.
Aspetti contraddittori, irrazionali, eccessivamente difensivi della psiche o risorse personali ed emozionali non sufficientemente sfruttate potranno tutti venir discussi e posti al centro del colloquio affinché il paziente, imparando a conoscersi e comprendersi meglio, possa avere le idee più chiare sui propri reali obiettivi e sulle risorse per perseguirli.
“lo psicologo non dà soluzioni, mette piuttosto la persona in condizione di poterle pensare .“
(Montesarchio, 2012)
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Cristina Rubano