La preghiera della Gestalt di Fritz Perls può ponderarsi una sorta di manifesto dei principi su cui opera la psicoterapia della Gestalt.
Nella terapia della Gestalt infatti si pone molto l’accento sui concetti di responsabilità e su come gestire le aspettative degli altri. Responsabilità significa, in questa accezione, essere in grado di riconoscere ciò che ci appartiene da ciò che non ci appartiene, ciò su cui possiamo esercitare un controllo da ciò che è al di fuori di esso, ciò che dipende dalla nostra volontà da ciò che si pone al di là di essa.
In questa cornice, le aspettative degli altri, le manipolazioni, i ricatti affettivi che tanto possono influenzare la sofferenza nelle relazioni, vengono passate al vaglio della consapevolezza e riconosciute sempre più prontamente per ciò che sono: qualcosa che appartiene alla mente dell’altro ma non alla nostra, un peso che riguarda il bagaglio di qualcun altro ma che non dobbiamo assumerci come nostro.
Vediamo allora, più che una spiegazione della preghiera della Gestalt, alcuni spunti che possono indurci a riflettere sulle nostre relazioni passando in rassegna, man mano, la preghiera completa.
“Io sono io. Tu sei tu.
Io non sono al mondo per soddisfare le tue aspettative.
Tu non sei al mondo per soddisfare le mie aspettative.
Io faccio la mia cosa. Tu fai la tua cosa.
Se ci incontreremo sarà bellissimo;
altrimenti non ci sarà stato niente da fare.”
Questo incipit ci pone a confronto con un tema nodale delle relazioni, soprattutto di quelle affettive: le aspettative dell’altro/a. Le aspettative in psicologia riguardano qualcosa che ci si sente nella condizione di attendersi, di veder accadere nella misura in cui l’altro si comporterà in linea con quelli che sono i nostri piani, i nostri bisogni, le nostre fantasie o i nostri obiettivi. Spesso tutto questo avviene a livelli fortemente impliciti nelle relazioni e le imbriglia in una sorta di “ricatto emotivo” che può provocare molta sofferenza perché dentro quei legami affettivi domina il senso di colpa e le persone non sono in condizione di esprimersi liberamente, di manifestare la propria natura più autentica, di crescere. Nessun legame rimane uguale a sé stesso nel tempo: le persone inevitabilmente cambiano (figli che crescono, coniugi che diventano genitori ecc.) e le “regole” che mantengono quel legame devono cambiare con esso.
“Se ti assumi la responsabilità di quello che stai facendo,
del modo in cui produci i tuoi sintomi,
del modo in cui produci la tua malattia,
del modo in cui produci la tua esistenza
– al momento stesso in cui entri in contatto con te stesso –
allora ha inizio la crescita, ha inizio l’integrazione“
“Assumersi responsabilità per un altro,
interferire con la sua vita e sentirsi onnipotenti, sono la stessa cosa”
“Sarò con te. Sarò con te con il mio interesse,
la mia noia, la mia pazienza, la mia rabbia, la mia disponibilità.
Sarò con te […] ma non ti posso aiutare.
Sarò con te. Tu farai quello che riterrai necessario”
Quando un nostro caro ha un problema emozionale, in disagio affettivo o un problema di alcolismo o ancora manifesta chiari segni di depressione ad esempio; potremmo essere portati a sostituirci a lui, ad accudirlo in tutto, a tollerare ogni sua angheria o passività nei confronti di ciò che gli accade. Ma così non lo stiamo aiutando: stiamo solo, inconsapevolmente, nutrendo il nostro ego, ponendoci nel ruolo onnipotente del “salvatore”, di colui o colei che eserciterà il potere di “guarire”, “cambiare”, “aggiustare” l’altro. Questo è comprensibile, dona sollievo a chi combatte col dolore e la paura di vedere la sofferenza psichica in un proprio caro. Più difficile è rimanere presenti, senza interferire o pretendere di eliminare la sua sofferenza, e riconoscere/restituire a lui/ lei – con tutta la nostra fiducia magari – la responsabilità di prendere posizione rispetto alla propria sofferenza.
“La consapevolezza di per sé può essere curativa.
Dato che con una piena consapevolezza si diventa autoconsapevoli
dell’autoregolazione dell’organismo,
si può lasciare che l’organismo prenda in mano la situazione senza interferire,
senza interrompere: della saggezza dell’organismo ci si può fidare.
Di contro a questo atteggiamento troviamo l’intera patologia
dell’automanipolazione, del controllo ambientale e via dicendo,
che interferisce con i sottili meccanismi dell’autoregolazione dell’organismo”
Friedrich Salomon Perls -“Preghiera della Gestalt”
La preghiera della Gestalt termina con un meraviglioso inno di fiducia nella consapevolezza umana, intesa come capacità non solo di osservare sé stessi, ma anche di affidarsi ai processi rigenerativi e trasformativi della propria persona. Ogni momento di sofferenza non è mai fine a sé stesso, se saputo attraversare con responsabilità e consapevolezza avrà molto da insegnarci e da esso trarremo le energie e la forza per riparare le nostre ferite.
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Cristina Rubano