Psicologia

Sindrome di Peter Pan: quando l'uomo ha paura di crescere

Di Cristina Rubano - 14 Giugno 2021

The Peter Pan syndrome: men who have never grown up, è questo il titolo del libro con cui lo psicologo Dan Kiley inaugurava nel 1983 la sindrome di Peter Pan, un’espressione frequentemente utilizzata per alludere a quelle persone che si mostrano incapaci o riluttanti ad assumersi responsabilità e scelte pienamente adulte, sia nelle proprie realizzazioni personali che nei rapporti con gli altri.

Non per niente, secondo lo stesso Kiley, questa sindrome si assocerebbe spesso a quella denominata in via complementare come sindrome di Wendy. Non è raro infatti che accanto ad un uomo immaturo si affianchi una donna che tende a prendersi cura di lui in modo sollecito e quasi “genitoriale”.

Secondo l’Autore gli eterni fanciulli sarebbero soprattutto uomini probabilmente perché, a suo dire, le donne hanno maggior dimestichezza con la vita emotiva e si mostrano più mature sotto questo punto di vista.

Forse le distribuzioni nei due sessi potrebbero non essere così nette, va considerato ad esempio che un comportamento fortemente dipendente, che cerca aiuto e guida in un altro, è sicuramente più accettato e normalizzato in una donna piuttosto che in un uomo. Gli stereotipi di genere potrebbero dunque coprire delle Peter Pan “sommerse”: non lasciatevi ingannare dalle apparenze!

“Fra tutte le isole amene l’Isola-che-non-c’è è la più accogliente e varia; non immensa ed estesa, con spazi noiosi tra un’avventura e l’altra, ma tutta ben stipata. Quando ci giocate di giorno con sedie e tovaglia, non è un posto per niente pauroso, ma nei due minuti prima di andare a dormire, quasi quasi diventa vero. Ecco perché esistono le lucine da notte.”

(Peter Pan)

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Le caratteristiche della sindrome di Peter Pan

uomo con occhiali e tatuaggi

Credit foto
© Pexels

Ma perché alcune persone sembrano aver paura di crescere?

I cosiddetti sintomi della sindrome di Peter Pan (benché non si tratti di un disturbo codificato) rimandano in effetti a tutta una serie di caratteristiche e comportamenti che fanno apparire una persona “fuori tempo” come ad esempio:

  • tende a eludere responsabilità troppo gravose
  • mantiene impieghi salutari senza raggiungere una realizzazione e una stabilità lavorativa
  • mostra la stessa incostanza anche in amore passando “di fiore in fiore” senza mantenere relazioni stabili o arrivare ad “impegnarsi” seriamente
  • può mostrare un irragionevole idealismo
  • vulnerabilità narcisistiche che lo rendono eccessivamente bisognoso di conferme esterne e poco capace di mettersi nei panni degli altri
  • eccessiva delega ad altri di mansioni, responsabilità o incombenze che spetterebbero a lui/lei.

Questi atteggiamenti possono risultare normali e fisiologici in un adolescente, ma del tutto fuori luogo, e in qualche caso francamente patologici, in una persona adulta che rischia di rimanere bloccata su un’“isola che non c’è”, in una sorta di limbo, di eterno presente assolutamente improduttivo rispetto ai compiti della vita adulta.

“Se l’adulto rimpiange l’infanzia, è perché non la ricorda o perché la ricorda male.”

(Joan Fuster)

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Come lasciare “l’isola che non c’è”?

Gli eterni adolescenti sono un po’ la cifra distintiva della società post moderna in cui fattori sociali, culturali ed economici contribuiscono posticipare di molti anni la piena indipendenza, economica, abitativa e affettiva, dei giovani.

Sebbene sia molto facile riconoscere un/una Peter Pan, non è detto però che queste persone siano tutte uguali.

Alcuni prolungano sostanzialmente un’adolescenza fuori tempo e si rendono conto del proprio stallo evolutivo quando si confrontano con gli amici di un tempo magari e si rendono conto che le loro priorità o le loro modalità conviviali sono cambiate. È cambiato il modo di stare insieme, sono cambiati i discorsi che si fanno, sono mutate le esperienze di vita condivisibili… Questa fase avviene spesso intorno ai 40 anni e può rappresentare un piccolo “shock” per i/le Peter Pan perché iniziano a sentirsi, spesso loro malgrado, fuori posto.

Alcune persone riescono a far tesoro di questo e, per guarire dalla sindrome di Peter Pan, cercano un modo per fare il famoso “giro di boa” che hanno eluso per tanti anni. Alcune iniziano una psicoterapia che le aiuti a comprendere le ragioni del loro stallo evolutivo e consente loro di “riprendere il largo”. Altre, più o meno inconsapevolmente, si mettono improvvisamente in situazioni che le costringono ad assumersi responsabilità di vita prima impensate: l’arrivo di un figlio, un lavoro decisivo magari all’esterno o altro. Non è detto che sia un azzardo: a volte la mente recupera il tempo perduto di fronte ad un improvviso “stato di necessità” e scopre risorse che neanche immaginava di avere.

In alcuni casi invece il comportamento infantile negli adulti è solo uno dei segnali di un più ampio disturbo di personalità. Alcune persone patologicamente narcisiste, ad esempio, sono così bisognose di conferme da parte degli altri da sentire un improvviso calo della loro autostima non appena questo sostegno venga a mancare. Altre più patologicamente dipendenti possono mantenere per tutta la vita il bisogno di una persona di riferimento a cui delegano ogni decisione perché incapaci di fare scelte autonome. Altre ancora possono essere così insicure da aver dolosamente bisogno di essere costantemente al centro delle attenzioni altrui, tanto da adottare comportamenti seduttivi anche inconsapevoli, e mostrarsi facilmente influenzabili e manipolabili con conseguenze spesso dolorose nelle relazioni interpersonali.

In questi casi la psicoterapia è un percorso che si rivela essenziale per modificare tratti e schemi di personalità disfunzionali e, con essi, l’eterno Peter Pan.

Lasciare “l’isola che non c’è” non vuol dire però rinnegare il proprio bambino, o la propria bambina interiore. Si tratta infatti di un lato estremamente creativo e fecondo della personalità, che può rappresentare una preziosa risorsa se posta al servizio della parte adulta e consapevole della persona. Ogni volta che ci affidiamo al pensiero creativo, ad esempio, stiamo attingendo al fanciullo che è in noi…

“Una volta credevo, anche se adesso non lo credo più, che crescere e diventare adulti fossero due cose analoghe, due processi inevitabili e incontrollabili entrambi. Adesso penso che diventare adulti sia una cosa dominata dalla volontà, che si possa scegliere di diventare adulti, ma solo in determinati momenti. Questi momenti capitano piuttosto di rado – durante i periodi di crisi nelle relazioni, per esempio, o quando si ha la possibilità di ricominciare tutto da capo da qualche altra parte – e si può ignorarli o prenderli al volo.”

(Nick Hornby)

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Cristina Rubano





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