Quando si parla di morte e di persone defunte solitamente si pensa a qualcosa di molto triste, alla perdita di qualcuno di caro, a un lutto oppure a qualcosa di lugubre, macabro, e scandaloso. La morte è spesso un tabù, qualcosa di cui non si può parlare, o meglio, si preferisce non parlare perché genera sofferenza e sensazioni negative fino a vera paura e terrore.
Ma non è sempre così, ci sono testi, racconti ed opere letterarie che parlano della morte attraverso rime, melodie, immagini, versetti, cercando in qualche modo di normalizzarla, di renderla qualcosa che è parte della vita e di cui si può parlare. Uno degli scritti che ha fatto nel tempo più scalpore, poiché ha dato vita e voce a persone defunte è l’Antologia di Spoon River di Edger Lee Masters.
L’Antologia di Spoon River, una raccolta di poesie
Scritta da Edger Lee Masters e pubblicata tra il 1915 e 1916 negli Stati Uniti, L’antologia di Spoon River è un insieme di 248 Epitaffi ispirati all’ Antologia Palatina. Epitaffio è generalmente una breve iscrizione funebre volta a celebrare il defunto. L’autore utilizza questa forma per dare voce ai morti attraverso versi liberi scritti in prima persona.
Lo scopo è quello di raccontare la storia di vita delle persone defunte, molte delle quali realmente esistite nei paesini di Lewistown e Petersburg, vicino a Springfield nell’Illinois in cui lui trascorse molti anni della propria vita.
I protagonisti dei racconti sono uomini e donne con differenti mansioni nella società che si raccontano in prima persona mettendo a nudo la propria persona, le fragilità e fatiche. Questo aspetto creò parecchia indignazione in alcune persone del tempo che videro le poesie di Spoon River come un attacco all’intimità di defunti e dei lori cari.
Nonostante questo, l’antologia racchiude alcune tra le poesie più belle riguardanti anche il sentimento dell’amore che siano mai state scritte attorno ad un tema forte e di impatto come la morte, ed ebbe un grande successo in tutto il mondo. In Italia è celebre l’album di Fabrizio De Andrè “Non al denaro non all’amore né al cielo” in cui ha cantato alcune delle poesie più significative del testo.
“Il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura; l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.”
(Edgar Lee Masters)
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Il racconto di vita nelle rime di Edgar Lee Masters
Edger Lee Masters, noto come “lo scrittore che diede voce ai morti” è riuscito nei sui racconti a far parlare “nuovamente” personaggi defunti, smascherandoli, talvolta in modo lampante e forte, mostrando le loro più intime debolezze, caratteristiche, fatiche, limiti e la loro vita.
Sono lavoratori e lavoratrici in questi piccoli paesini, persone del popolo che partecipano alla vita del paese ognuno con i propri vissuti.
L’intento dell’autore è quello di rendere senza tempo le passioni tanto personali quanto universali dell’essere umano in una narrazione senza filtri, senza limiti perché in fondo non hanno più nulla da perdere, possono finalmente essere loro stessi, senza mentire e indossare la maschera che una società e il decoro impone loro. L’autore voleva infatti demistificare e togliere l’alone di mistero e riportare alla realtà gli eventi e le vicende di un piccolo paesino americano, in un contesto volto al successo e alla perfezione.
“La mente vede il mondo come cosa a sé, e l’anima unisce il mondo al proprio io.”
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La voce dell’essenza umana
Per quanto discussa e discutibile, l’opera di Edgar Lee Masters è stata innovativa e ha rotto alcuni canoni etici e tabù tipici dell’epoca e non solo. La voce data ai defunti è sicuramente qualcosa di sconvolgente e di grande scalpore ma è altrettanto vero che permette ai personaggi di raccontarsi e di esprimersi nella loro profonda verità.
Il fatto che sia un altro, l’autore, mettere in parole questi fa riflettere sul fatto che per quanto ognuno di noi cerchi di celare aspetti intimi, limiti, fatiche e difficoltà, forse la maschera non è così solida e spesso questi aspetti possono essere visti o intravisti. La società impone canoni e comportamenti ma molte volte si fatica a restare nei limiti, chi più chi meno. Nei racconti il poeta dà a queste persone un’altra possibilità di raccontarsi senza paura del giudizio altri, perché ormai morti. Certamente c’è chi accetta questa cosa come una possibilità di apertura e chi invece la coglie come uno smascheramento nudo e crudo. È sicuramente soggettivo, tanto che molte sono state le critiche ma anche tantissime le lodi.
Sicuramente nei versi e nelle parole di queste persone, vere, realmente esistente è possibile trarre spunti di riflessione su sé, sulla vita e sul senso della vita. Di seguito una delle tante poesie scritte dallo scrittore che diede voce ai morti
COLUMBUS CHENEY.
Questo salice piangente!
Perché non ne piantate qualcuno
per i milioni di bimbi non ancora nati,
così come per noi?
Non sono forse inesistenti o cellule addormentate senz’anima?O giungono alla terra, spezzando
col loro nascere il ricordo di ciò che era prima?
Rispondete! È questo un campo d’intuizione inesplorata.
Ma perché, in ogni caso, non piantate salici per loro,
come per noi
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Milena Rota