Psicologia

Coltiva l'imperfezione per far fiorire la tua vera bellezza

Di Cristina Rubano - 11 Maggio 2021

Vivere nella costante preoccupazione di essere belli, apparire più giovani, inseguire maggiori successi, in una corsa all’automiglioramento perpetuo e costante… La tensione verso la perfezione spesso nasconde la non accettazione della propria natura più autentica. Questo rischia di rendere vani ed effimeri i traguardi raggiunti. Accettare sé stessi così come si è, con i propri pregi e difetti, non è debole autoindulgenza, ma la saggezza di riconoscere che l’imperfezione è ciò che ci rende unici, autentici, ciò che ci rende persone.

Quando i giapponesi riparano un oggetto rotto, valorizzano la crepa riempiendo la spaccatura con dell’oro. Essi credono che quando qualcosa ha subito una ferita ed ha una storia, diventa più bello. Questa tecnica è chiamata “Kintsugi”

Cit.

Riparare come forma di bellezza

Si chiama wabi-sabi, è una filosofia giapponese che fonda la propria visione del mondo sull’accettazione dell’imperfezione e della transitorietà delle cose. La bellezza delle cose imperfette risiede nella storia che queste hanno da raccontare, nell’assoluta unicità che rappresentano, nella valorizzazione di ciò che è stato e che ha trasformato l’iniziale illibatezza del nuovo in qualcosa di vissuto, provato dal tempo e plasmato dalla storia che ha attraversato.

L’arte giapponese del kintsugi si rifà a questa concezione: la bellezza autentica non è quella dell’oggetto nuovo, privo di difetti e sbavature: finché rimane tale è uguale, identico a tutti gli altri oggetti. Ma le sue crepe, quelle accumulate nel tempo, saranno uniche perché frutto della sua storia. Valorizzarle con dell’oro significa introdurre un nuovo concetto di bellezza: quella derivata dalle nostre ferite esteriori ed interiori dalle quali abbiamo tratto la forza e il carattere che abbiamo oggi…

“Lasciami tutte le rughe, c’ho messo una vita a farmele!”

Anna Magnani

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Diffidare dalla finta perfezione

donna con lentiggini che ride

Credit foto
© Pexels

Smettere di volersi perfetti e iniziare ad amarsi è un po’ come riconoscere le crepe della propria anima e anziché nasconderle, valorizzarle con dell’oro.

Quelli che riteniamo essere i nostri errori o i nostri difetti possono rappresentare un’opportunità di crescita e di esprimere una propria creatività innata, accettare le “crepe” significa accettare l’imprevisto, quell’inciampo che fa deviare le cose dal percorso che ci eravamo immaginati e fare di ogni difficoltà un’opportunità. Non solo perché i nostri difetti e le nostre debolezze ci rendono “umani”, più amabili e accessibili agli occhi degli altri, ma anche perché solo accettando i nostri limiti e tenendone conto potremo realmente intraprendere la strada per il cambiamento.

Molte delle invenzioni e delle scoperte che hanno fatto la storia sono nate da imprevedibili “errori”: dalla penicillina alla colla “difettosa” dei post-it! Da un certo punto di vista, quello delle attese prevedibili, questo oggetti sarebbero considerati imperfetti, difettevoli, eppure hanno rappresentato grandi e piccole innovazioni che influenzano la vita che conduciamo ancora oggi.

Anche nella moda si tende troppo spesso a inseguire una finta bellezza: i media ci propongono continuamente immagini “false”, perfette solo all’apparenza perché frutto del fotoritocco e dunque assimilabili più a dei disegni che a corpi reali. Eppure se ci pensiamo i nostri corpi non sono fatti per essere modellati sulla base di un prototipo unico, ognuno ha la sua forma, i suoi colori, i suoi segni del tempo. Ogni corpo è bello perché ha una storia da raccontare, perché è in movimento nello spazio e nel tempo (cosa che le immagini delle top model non sono), perché è, in altre parole, vivo

“C’è una crepa in ogni cosa. E’ da lì che entra la luce.”

(Leonard Cohen)

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Accettarsi così come si è

Ma come fare per imparare ad accettarsi, e poi a valorizzarsi, così come si è?

Che sia l’errore che non riusciamo a perdonarci, il difetto fisico che dobbiamo nascondere o una difficoltà emozionale che viviamo come pericoloso segno di “debolezza”… come fare ad integrare queste “crepe” nella nostra identità senza che l’immagine che abbiamo di noi ne risulti pericolosamente sconvolta?

C’è un curioso fenomeno che si attiva nella mente umana quasi ogni volta che ci condanniamo per i nostri errori o difetti ed è un particolare tipo di spiegazione che tendiamo a darci su ciò che ci accade. Attribuiamo cioè quell’errore, quella nostra mancanza, non già all’esito di un singolo comportamento, al risultato di uno specifico evento, ma prendiamo questo “incidente” a pretesto per mettere in discussione tutto il nostro valore personale. In altre parole: se quando percepiamo di aver commesso uno sbaglio o ci accorgiamo di un difetto fisico, sentiamo di essere difettevoli e inadeguati nella nostra globalità di persone vuol dire che siamo caduti nella trappola!

Come uscirne?

L’autoironia può essere un buon modo per “sdrammatizzare”, assumere un atteggiamento di benevolenza verso noi stessi e mettere una sufficiente distanza emotiva dalle nostre imperfezioni. Imparare insomma a starci “simpatici” anche per i piccoli e grandi difetti che ci caratterizzano può essere un ottimo modo per iniziare a riconciliarci con noi stessi.

Will, è morta da due anni e questo è quanto mi ricordo. Momenti stupendi, sai, piccole cose così. Però… sono queste le cose che più mi mancano. Le piccole debolezze che conoscevo soltanto io. Questo la rendeva mia moglie. Anche lei ne sapeva delle belle sul mio conto, conosceva tutti i miei peccatucci! Queste cose la gente le chiama imperfezioni, ma non lo sono. Sono la parte essenziale.

– Dal film: “Will Hungtin – Genio Ribelle”.

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Cristina Rubano





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