C’era un tempo in cui sulla nostra penisola venivano celebrate feste di cui oggi non abbiamo più memoria. È il caso della festa che avrebbe avuto luogo oggi, 13 novembre, dedicata ad una divinità italica di epoca pre-cristiana: Feronia.
Il culto di questa dea legata alle nostre terre, e in particolare all’Italia centrale, fu introdotto nel 217 a.c e a lei era dedicato un tempio circondato da un boschetto nel Campo Marzio, oltre ad un santuario, il Fanum Feroniae, situato tra il Tevere e il monte Soratte, sull’Ager Capens (nel comune di Capena); ma molti erano i luoghi di culto e i boschi sacri dedicati alla dea in antichità perché Feronia era venerata sia dai Romani che dai Sabini, dai Capenati, e dai Falisci, un antico popolo di Etruira meridionale.
Ma chi era la dea Feronia e perché era celebrata il 13 novembre?
Le origini: etimologia e storia
Partiamo con l’etimologia del nome della dea che ci aiuterà a comprendere qual era il suo ruolo. Il nome di Feronia deriva probabilmente da un aggettivo in lingua sabina relativo al latino fĕrus. La radice della parola, fer- è presente in molte lingue indoeuropee e si trova nel latino fĕrus che significa “selvaggio, non addomesticato”, “incolto, proveniente dal bosco ”.
Ed ecco che qui ritroviamo una caratteristica dei santuari dedicati alla dea: i boschi sacri, luoghi di culto dove ognuno era il benvenuto a patto di rispettare la pace che lì vi trovava.
Il suffisso -onia invece aveva la funzione di comunicare un senso di pericolo. La dea era tremenda, terribile, potente, ma allo stesso tempo era questo suo essere terribile a permettere ai suoi devoti di essere portati fuori dal pericolo.
Tuttavia Feronia, l’indomabile, esigeva il rispetto della natura selvaggia e prometteva di permettere alla terra di nutrire gli uomini soltanto se questi la rispettavano offrendole in sacrificio i primi frutti dei loro raccolti.
Plinio il Vecchio, raccontava in proposito un aneddoto nella sua Naturalis Historia: quando si tentò di costruire fortificazioni e torri di guardia tra Terracina e il Santuario di Feronia, questi furono sistematicamente distrutti da un fulmine. La dea avrebbe così manifestato il suo rifiuto di essere attaccata al mondo cittadino, civilizzato, per mezzo di un bastione, desiderando così rimanere nel mondo selvaggio.
George Dumézil, famoso antropologo francese e storico delle religioni, assimilava la dea al dio vedico Rudra nel suo aspetto della forza selvaggia della natura, sia pericolosa che fonte di rimedi e cibo.
Feronia, la traghettatrice dal buio alla luce
Le origini della dea Feronia sono incerte. Alcuni studiosi la identificano con una dea etrusca chiamata Cavatha, sposa di Suri o Soranus (“del luogo nero”), e come tale ritenuta regina degli Inferi. Quello che sappiamo oggi è che Feronia era una dea della fertilità e di tutto ciò che dai luoghi oscuri sotto terra usciva allo scoperto per giungere alla luce, sia al livello puramente materiale, come i germogli, che metaforico.
In effetti, era venerata anche come dea guaritrice: nel suo santuario, lucus Feroniae, furono ritrovate moltissime statuette votive in terracotta raffiguranti diversi parti del corpo umano datate del III sec. a.c testimoniando l’importanza che questa dea rivestiva per i malati che vedevano in questa dea “traghettatrice” una via verso la guarigione e la salvezza.
Feronia, sotto le vesti di Feronia dea Libertorum, era la dea protettrice delle donne liberate, le “Liberte”, le schiave che avevano riscattato la propria libertà presso le matrone romane.
In tutti questi aspetti della vita antica, possiamo riconoscere un filo conduttore: Feronia come dea liberatrice che traghetta i vivi verso la salvezza, la luce, la guarigione.
La dea che ci porta alla soglia del Solstizio
Feronia era una dea che portava i devoti da uno stato di prigionia, di malessere, ad uno stato di liberazione fisica e simbolica. Questo tema è evocativo se prendiamo in considerazione il fatto che siamo a metà strada tra le celebrazioni dedicate agli Antenati e le feste dedicate al Solstizio d’inverno centrate sulla rinascita del Sole, il Sol Invictus, dopo la sua discesa nella notte più lunga dell’anno.
La celebrazione delle Feroniae, le festività dedicate alla dea, si rivestivano quindi di un significato importante e profondo, non soltanto legato ai temi agresti ma anche ai moti interiori delle persone che allora fluivano ancora assieme alla natura: la dea era la liberatrice dalle catene consce ed inconsce, era portatrice dell’energia archetipica che portava alla liberazione ed a una nuova vita. Era il riscatto dopo la prova, dopo aver attraversato il buio, la schiavitù, la malattia, la notte più lunga.
Questa dea selvaggia era la liberatrice della forza vitale, antica e indomita, che richiedeva di poter vivere in armonia con la natura. Guardandoci intorno, non stupisce che il ricordo di questa antica dea sia quasi del tutto scomparso, sommersi come siamo da catene mentali, culturali ed ideologiche, sepolti da tonnellate di plastica e cemento che hanno relegato la natura a parchi di periferia dove la chioma degli alberi viene piegata al volere umano.
Tuttavia, stanno riemergendo le immagini antiche dal nostro inconscio collettivo e tra queste vi è Feronia, l’energia liberatrice, guaritrice, selvaggia, che flebilmente richiama la nostra attenzione dalle profondità dell’inconscio. In questo periodo buio, ascoltiamo la sua voce, il suo invito a posare lo sguardo fuori dai recinti della civilizzazione: lì fuori c’è una natura terribile, ma vi è anche la nostra salvezza.
Fonti:
• Mythology: Feronia
• Il calendario pagano
• Il culto di Feronia
Sandra “Eshewa” Saporito
Autrice e operatrice in discipline bio-naturali
www.risorsedellanima.it