La maggioranza di noi cerca di vivere una vita felice, ma in cosa consiste la felicità? Nessuno di noi ha le idee molto chiare in proposito: sappiamo ciò che la felicità non contempla per noi ma non riusciamo a definirla con precisione. In poche parole, sappiamo ciò che la felicità non è e a partire da questo tentiamo di costruirci un’idea vaga, approssimativa, di ciò che potrebbe essere.
Già nell’antica Grecia i filosofi discutevano della sostanza della felicità: di cos’era composta, come si esprimeva nella vita delle persone, quali erano i suoi effetti nella società. Alcuni tipi di felicità dipendevano dagli uomini, come l’Olbos o L’Eudaimonìa, altri dipendevano da fattori esterni, come l’Eutychìa o la Fortuna.
Oggi parleremo della felicità che ognuno di noi può raggiungere e che dipende esclusivamente da noi: l’Olbos (la prosperità), L’Eudaimonìa (la realizzazione della propria natura) e la Makarìa (la beatitudine), così che tu possa comprendere un po’ meglio il tipo di felicità che vuoi raggiungere nella tua vita.
Olbos, la ricchezza materiale, la prosperità
“Per me, la felicità è non dover più preoccuparmi a fine mese, poter viaggiare sempre e andare in luoghi lontani…”; in molti attribuiscono alla felicità una dimensione materiale che colma tutti i loro bisogni e desideri. La ricchezze diventa il metro di misura di una felicità che appaga i piaceri materiali e di immagine: i vestiti firmati, le case lussuose, le macchine potenti diventano altrettanti status symbol in una società centrata sull’apparire in cui sembra che nulla sia più importante di questo.
Ma bastano i soldi per essere felici? Purtroppo no. Sono molte le persone ricche o di fama internazionale che vivono una vita poco felice, che affogano nella depressione, scatenando in migliaia di persone un comportamento verbalmente aggressivo ed invidioso; perché? L’immagine di questo tipo di felicità si scontra con la realtà e cade a pezzi, mostrando la sua inconsistenza e svelando il grande inganno: saresti felice lo stesso se tu fossi ricco ma con una cattiva salute? Saresti felice con tutti questi soldi se tu non avessi la salute per goderne, se tu fossi solo, senza una persona vicino a te in grado di apprezzarti per ciò che sei realmente e non per ciò che possiedi? Saresti felice lo stesso se tu sapessi che potresti scomparire da un giorno all’altro come se nulla fosse perché non hai lasciato nulla di buono o utile dietro di te?
La ricchezza dimostra la sua limitatezza nel rispondere ai bisogni delle persone; il soddisfacimento dei piaceri è volatile, dura poco; ecco perché Olbos non può essere considerata come il fine ultimo dell’esistenza umana, ma può tuttavia essere considerata un ottimo mezzo per giungere ad una felicità più grande, inserita in un quadro più ampio, come lo ha dimostrato Ashley Willhans nel suo studio sulla felicità Time for Happiness pubblicato dalla Harvard Business Review. I soldi contribuiscono a raggiungere la felicità se si ha uno scopo che va al di là della materia stessa.
“Lo scopo del lavoro è quello di guadagnarsi il tempo libero.”
(Aristotele)
Eudaimonía, la felicità attraverso la realizzazione del Sé
Eudaimonìa (εὐδαιμονία) è una parola greca che deriva da “bene” (εὖ, èu-) e (δαίμων dàimōn), inteso come “genio”, “spirito guida”‘, “coscienza”. Questa felicità si esprime nella vita condotta con coscienza, seguendo il proprio daimon, come aveva spiegato James Hillman nel suo libro “Il codice dell’anima”. Lo Spirito buono guida la persona virtuosa nella sua vita, che agisce con coscienza e responsabilità non soltanto per soddisfare i piaceri momentanei ma per esprimere il suo potenziale attraverso un processo di realizzazione. L’Essere autentico agisce nel mondo ed è attraverso quest’azione in linea con la sua identità profonda che può provare la felicità eudemonica: la realizzazione della propria natura grazie, secondo Aristotele, alla ragione e alla virtù.
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Per provare questo tipo di felicità, Aristotele illustrava l’importanza fondamentale della moderazione in quanto il giusto mezzo, posto tra estremismi, permetteva di evitare la sofferenza e di vivere in maniera virtuosa.
Makarìa: la beatitudine, il contatto con l’essenza della Vita
Makarìa era la felicità degli dei, quella che si poneva al di sopra di tutte le preoccupazioni umane legate ai beni, alla salute, agli affetti. Si tratta forse del più alto livello di espressione di ciò che potremo definire come felicità, non perché riservata al divino ma perché rappresenta la più alta forma di evoluzione dell’essere umano. Makarìa non significa non avere problemi terreni quanto riuscire a provare felicità malgrado questi problemi; significa che si è arrivati ad un contatto con l’essenza stessa della vita (l’anima) da riuscire a godere sia delle sue manifestazioni positive che dolorose perché semplicemente si è vivi, si esperisce la vita nelle sue molte forme senza giudizio alcuno. Si giunge ad uno stato di liberazione dalle passioni e di imperturbabilità dell’anima.
È il tipo di felicità alla quale accedono a volte le persone della “seconda possibilità”, quelle che hanno visto la morte in faccia e le hanno risposto “Non oggi!”, oppure quelle che dopo anni di lavoro interiore, di introspezione, di meditazione, giungono ad una comprensione tale del significato della vita da accogliere ogni tipo di esperienza con la pace nel cuore. Ogni attimo, ogni secondo diventa un presente prezioso perché la vita è il più grande dono che si può avere.
Sono diverse le tipologie di felicità che si può cercare di raggiungere nella vita, l’importante è fare chiarezza su ciò che vuoi fare tu del tempo che hai a disposizione e viverlo al meglio, secondo la tua verità interiore.
Bibliografia
AA.VV, La felicità degli antichi: Idee e immagini di una buona vita. Feltrinelli Editore, 2018.
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Marinoff, Lou. Aristotele Buddha Confucio. Per essere felici ora. Edizioni Piemme, 2011.
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Sandra “Eshewa” Saporito
Autrice e operatrice in discipline bio-naturali
www.risorsedellanima.it