Riconoscere ed accettare la propria vulnerabilità rappresenta un atto di consapevolezza che può aiutarci a resistere ai colpi duri della vita perché ciò che ci rende fragili, vulnerabili, è anche ciò che ci rende umani e ci obbliga ad evolvere, rimanendo umili. Tuttavia, la vulnerabilità ha cattiva reputazione: è nascosta, rinnegata, ignorata quando invece nel suo cuore si cela una forza così rara che sono pochi quelli che ne capiscono il valore.
“Quando eravamo bambini, pensavamo che una volta cresciuti non saremmo più stati vulnerabili. Ma crescere vuol dire accettare la vulnerabilità. Essere vivi significa essere vulnerabili.”
(Madeleine L’Engle)
Accettare la propria vulnerabilità è anche un atto di coraggio, forse l’unico in grado di mantenerci nella sacra via di mezzo dove gli estremismi propinati da un illusorio perfezionismo svaniscono; forse è lì che si trova la nostra umanità e il dono che ognuno di noi porta dentro di sé e che può risplendere nel mondo attraverso la breccia fatta nell’armatura che vorremo che ci difendesse da ogni ferita.
La ferita ha una ragione di essere, ed è forse la consapevolezza di questa vulnerabilità che può aiutarci a metterci in contatto con l’altro e con noi stessi, che può incentivarci a sviluppare una necessaria empatia; la vulnerabilità è ciò che ci rende permeabili al mondo e che ci costringe al cambiamento, all’evoluzione.
La vulnerabilità e l’accettazione del nostro lato nascosto
Affermare che la vulnerabilità possa in qualche modo costituire un punto di forza potrebbe sembrare un’eresia, motivo per il quale ho deciso di illustrarti questo concetto grazie all’aiuto di una favola alquanto suggestiva: la Canna e la Quercia di Jean de la Fontaine.
Disse la Quercia ad una Canna un giorno:
– Infelice nel mondo è il tuo destino:
non ti si posa addosso un uccellino,
né un soffio d’aria ti svolazza intorno,
che tu non abbia ad abbassar la testa.
Guarda me, che gigante a un monte eguale,
non solo innalzo contro il sol la cresta,
ma sfido il temporale.
Per te sembra tempesta ogni sospiro,
un sospiro a me sembra ogni tempesta.
Pazienza ancor, se concedesse il Cielo
che voi nasceste all’ombra mia sicura:
ma vuole la natura
farvi nascer di solito alla riva
delle paludi, in mezzo ai venti e al gelo.
– La tua pietà capisco che deriva
da buon cuore, – rispose a lei la Canna. –
Il vento che mi affanna
mi può piegar, non farmi troppo male,
ciò che non sempre anche alle querce arriva.
Tu sei forte, ma chi fino a dimani
può garantirti il legno della schiena? –
E detto questo appena,
il più forte scoppiò degli uragani,
come il polo non soffia mai l’uguale.
La molle Canna piegasi,
e resiste la Quercia anche ai più forti
colpi del vento, per un po’, ma infine
sradica il vento il tronco,
che mandava le foglie al ciel vicine,
e le barbe nel Regno imo dei morti.
La differenza fondamentale tra la Quercia e la Canna non è solo la resistenza in sé, ma la consapevolezza. La quercia conosce assai bene la sua forza ma non la sua debolezza, non è pienamente consapevole di sé in quanto guarda solo all’aspetto che più le fa sentire forte e al sicuro, dimenticandosi che non è invulnerabile: c’è un’altra parte del suo essere che essa ha tendenza ad ignorare e che costituirà, ahimè, la sua fine.
Ciò che contraddistingue invece la forza della canna è la sua capacità di adattarsi, di chinarsi senza rompersi, dimostrando una grande resilienza. Lei conosce la sua vulnerabilità, conosce il suo punto debole così bene che ne ha scoperto il dono. È riuscita ad andare oltre il giudizio tra buono e cattivo, tra Luce e Ombra, ed ha accettato l’integrità del suo essere. È la conoscenza profonda che ha maturato dentro di sé attraverso le diverse prove ed esperienze di cui fa menzione che la portano a resistere ai peggiori eventi, a trasformare la sua debolezza in forza.
La vulnerabilità è il rimedio contro la perenne staticità della perfezione
L’accettazione della nostra vulnerabilità ci aiuta a conoscerci a fondo e a comprendere che la realtà non è divisa in due parti opposte e lontane, tra forza e debolezza, tra luce e ombra, ma bensì in parti che si completano e si mescolano in una trama dinamica che lascia spazio all’esperienza, all’errore che permette di continuare ad imparare, a migliorarsi. Ecco che la vulnerabilità si fa portatrice di evoluzione e permette alla vita di continuare a scorrere in noi.
La perfezione dell’invulnerabilità costringerebbe la vita alla staticità; non ci sarebbe più né crescita, né caduta; ogni sforzo creativo mosso con la volontà di superare le difficoltà verrebbe inesorabilmente ucciso sul nascere. Cosa si potrebbe mai aggiungere alla perfezione? Niente.
La perfezione basta a se stessa, ogni aggiunta la ucciderebbe, ma se nulla può cambiare nello stato di perfezione, è la vita che non può continuare ad essere, ecco perché l’imperfezione è un dono prezioso, ecco perché la vulnerabilità è un dono di vita: solo ciò che può morire è vivo davvero. Quindi chi è vulnerabile possiede dentro di sé la forza nascosta della saggia Canna della favola che, grazie alla consapevolezza, è giunta al punto in cui si scorge in ogni debolezza una grande forza. È rimanendo dinamici, continuando a fluire come l’acqua, come la vita dentro di noi che si adatta alle circostanze, è accettando il cambiamento, che possiamo superare le avversità, sfruttando anche all’occorrenza ciò che pensavamo essere il nostro tallone d’Achille ma che in verità è la sorgente della nostra resilienza. Non è forte chi non cade mai, ma chi non teme di cadere e con consapevolezza si rialza.
Sandra “Eshewa” Saporito
Autrice e operatrice in discipline Bio-Naturali
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